Il nuovo film dell’australiano Justin Kurtzel (Macbeth, True History of the Kelly Gang, Nitram) è un poliziesco serrato e competente, che ci trascina nel mondo del suprematismo bianco e della nazione ariana.
Siamo in Idaho nel 1983: l’agente newyorkese dell’FBI Terry Husk viene mandato per punizione in una stazione apparentemente isolata, nel pittoresco paese di Coeur d’Alene.
Qui tuttavia si accorge che una serie di rapine e attentati esplosivi è riconducibile ad un gruppo radicale di terroristi, appartenenti alla galassia neonazista.
Assieme a Jamie Bowen, giovane deputy dello sceriffo, comincia a mettere in ordine fatti e circostanze, a partire dalla scomparsa di Walter, un affiliato alla chiesa di Richard Butler, l’anziano leader della Nazione Ariana locale.
Ad aiutare Terry nella sua caccia all’uomo, la collega Carney dell’ufficio di Seattle.
Il successivo omicidio dello speaker radiofonico ebreo Alan Berg mostra tutta la ferocia delle azioni del gruppo, guidato da Bob Matthews, un giovane leader che mette in discussione le strategie attendiste di Richard Butler e sulla base della profezia descritta nel romanzo I diari di Turner, cerca di mettere in pratica una teoria del terrore, per la presa del potere negli Stati Uniti.
The Order è un thriller che affonda le sue radici nell’odio razziale, ma quella che davvero vediamo sullo schermo è più semplicemente una banda criminale che accumula ricchezze dalle rapine, per obiettivi politici che rimangono per lo più nelle parole.
Il film segue le indagini della task force messa in piedi da Husk, ma rimane all’interno di un poliziesco classico, in cui azione criminale e reazione delle forze dell’ordine appaiono solidamente prevedibili.
Se è vero che I diari di Turner hanno ispirato per moltissimi anni le attività terroristiche interne agli Stati Uniti, dall’attentato ad Oklahoma City sino alla presa di Capitol Hill del gennaio 2021, in realtà il film di Kurtzel è assai meno interessato alla dimensione politica dei gruppi del suprematismo bianco, quanto a identificarli semplicemente come i fascinosi villain di questa storia, con Nicholas Hoult nei panni di Bob Matthews, da contrapporre al poliziotto che cerca redenzione dopo gli errori e l’esilio.
Siamo all’interno di una logica piuttosto ordinaria, mentre forse il film avrebbe meritato una riflessione diversa. Non basta certo il fervorino di Matthews alla conferenza di Richard Butler per mostrare la radicalità oscena delle sue idee: anzi quella scena serve solo a esaltarne lo spirito d’azione a confronto con la “ragionevolezza” attendista dell’anziano leader.
Il film di Kurtzel rimane così pericolosamente in superficie e mette sullo stesso piano i due poli narrativi della storia, in modo francamente inaccettabile.
Con ben altra forza e spessore polemico, Oliver Stone aveva raccontato l’omicidio di Alan Berg nel suo epocale Talk radio del 1988. Qui invece è solo contorno di un lavoro di genere come se ne trovano troppi su qualsiasi piattaforma.
Ottima la scelta controintuitiva di Jude Law nei panni sformati dell’agente Husk, mentre il fascino glaciale di Hoult è un po’ troppo ambiguo per i vaneggiamenti criminali di Matthews.


