New York, inizio degli anni ’80. La città è attraversata da forti tensioni sociali e segnata da una diffusa microcriminalità. Figlio di un immobiliarista senza scrupoli, Vincent è la mente creativa della trasmissione di pupazzi più amata dai piccoli newyorkesi, Good day sunshine! Una vera e propria boccata di aria fresca nella quotidianità alienante della grande metropoli. Creativo, ma scostante e respingente, Vincent (Benedict Cumberbatch) ha un pessimo rapporto con i colleghi; il suo matrimonio è in grande difficoltà e anche con il figlio di nove anni, Edgar, le cose non vanno molto bene. Il suo atteggiamenti nei confronti di Edgar è opprimente, ma sono soprattutto le continue lite tra i genitori a spingere il ragazzo a cercare scampo nel seminterrato, dove si rifugia a disegnare nell’appartamento dell’anziano custode. Proprio il giorno dopo uno di questi frequenti alterchi, Edgar va a scuola da solo e scompare. Inizia così una ricerca intensa e drammatica che metterà a dura prova Vincent e Cassie (Gaby Hoffmann), la madre di Edgar, ma anche l’ispettore incaricato delle indagini, Michael Ledroit (McKinley Belcher III). Vincent è peraltro convinto che per riportare a casa il figlio debba dar seguito ad un progetto del ragazzino a cui non ha mai prestato attenzione e così realizza il pupazzo Eric che lo accompagna nella sua disperata ricerca.
Se Vincent rappresenta lo stereotipo del ricco bianco newyorkese vissuto nell’agio e cresciuto da genitori incapaci di affetto, senza equilibrio né forza di volontà, Michael è invece l’espressione delle minoranze ghettizzate, essendo omosessuale e colored. Il suo volto pensieroso e la sua scarsa loquacità sono quelle di un uomo che non può permettersi di sbagliare e che deve sforzarsi di non mostrare le proprie fragilità, i propri sentimenti più intimi. I due non si comprendono e non sembrano nemmeno volerlo fare: i loro binari personali e narrativi più che incontrarsi si scontrano, senza che questo porti linfa al racconto.
Alcuni indizi lasciano infatti supporre un possibile coinvolgimento di Vincent nella scomparsa del figlio e quindi Michael lo arresta, per poi doverlo rilasciare il giorno successivo. Una situazione non originale che peraltro non modifica il rapporto tra i due uomini: lo scontro non fa germogliare niente e in effetti anche al termine della vicenda la sensazione è che i due mondi restino separati, senza punti di contatto. La serie non presenta quindi né collaborazione né comprensione tra l’universo dei bianchi e quello dei neri, come dimostra la scarsa considerazione che l’establishment cittadino mostra nei confronti della scomparsa di un ragazzo di colore. Solo grazie a Ledroit la madre del ragazzo riuscirà a scoprire la verità sulla scomparsa del figlio.
Certo è innegabile che qua e là la scrittura ceda a soluzioni facili e compia scelte poco credibili, come la magica comparsa del ricco padre di Vincent in situazioni altamente drammatiche o la semplicità dei rapporti di potere all’interno della città. Sono cedimenti che comunque non intaccano la sostanza di un racconto coinvolgente e con un buon equilibrio tra la parte di adrenalinica ricerca del bambino scomparso e il dramma familiare e personale che vive Vincent. E’ lui il fulcro del racconto: la storia lo descrive senza indulgenza, mettendone a nudo contraddizioni e limiti, ma anche accompagnandolo in un percorso di ricerca del figlio che lo porta ad una maturazione personale. Vincent appare a tratti perfino troppo travagliato e scuro, ma è un personaggio affascinante nel suo essere respingente e “tossico”. I suoi dialoghi con Eric, il pupazzo che crea per convincere il figlio a tornare a casa, sono tra i migliori della serie. Sotto molti aspetti è un bene che il racconto si poggi in modo così sbilanciato sulle spalle di questo carattere perché gli altri appaiono troppo codificati, troppo ascrivibili alla narrazione di genere per essere in grado di emozionare e coinvolgere.
La visione riporta alla mente film e serie tv del passato, con qualche spruzzata di contemporaneità nei temi trattati e nella sensibilità verso orientamenti sessuali diversi da quelli tradizionali, raccontati con un tocco delicato e mai volgare. Peraltro tutta la serie è tecnicamente ben realizzata, a cominciare dall’ottima fotografia e dalla coinvolgente colonna sonora, ma segue binari consolidati e opzioni già ampiamente sperimentate anche a livello tecnico. La stessa lentezza iniziale sembra seguire un canovaccio consolidato dei racconti televisivi di qualità che prevede partenze lente e macchinose in cui la trama resta “coperta” e lo spettatore è messo alla prova, come in un test di iniziazione. Da apprezzare la scelta di non alleggerire il clima narrativo con ironia o battute: il tono cupo ricercato dalla showrunner Abi Morgan lascia pochissimo spazio ad altre sfumature emozionali. La regia è affidata a Lucy Forbes (This is going to hurt, The End of the F***ing World Season 2) che segue in prima persona tutti gli episodi. Da citare anche l’ottima performance di Benedict Cumberbatch (Doctor Strange), notevole nel dar corpo al lato oscuro di Vincent, alla sua volontà di annientamento, come ai suoi goffi tentativi di essere un genitore presente per il figlio, cadendo però in un eccesso controproducente.
A fronte di un racconto equilibrato e a tratti emozionante, lo show resta troppo a lungo sui binari del già visto, cedendo a qualche cliché della Tv di qualità degli ultimi anni. Resta pur sempre una visione emozionante e coinvolgente, grazie soprattutto all’ottima performance di Benedict Cumberbatch.
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 60 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 6
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Drama Thriller Crime
CONSIGLIATO: a quanti sono alla ricerca di emozioni forti sull’asse padre-figlio e che credono nelle seconde possibilità.
SCONSIGLIATO: a quanti cercano un racconto adrenalinico: si parte con ritmo rallentato e la ricerca di Egar è attraversata da diverse trame minori che decentrano l’attenzione e richiedono molta disponibilità da parte dello spettatore. Anche chi si aspetta un tono leggero o momenti di ironia legati alla presenza dei pupazzi rischia di essere deluso.
VISIONI PARALLELE: sul tema del rapporto tra padre e figlio andiamo a ritrovare un classico della storia del cinema, Ladri di biciclette (1948). Forse i due diversi contesti economici e culturali offriranno anche qualche spunto per riflettere su come è cambiata nel tempo la rappresentazione di questo legame.
Sul tema della ricerca di un bambino scomparso invece rimandiamo a Gone Baby Gone (2007) tratto dall’omonimo romanzo di Danny Lehane; il film è il racconto di un’indagine che apre scorsi sulla psicologia degli investigatori, con forti tensioni drammatiche.
UN’IMMAGINE: in tutto il racconto si percepisce la necessità di scendere, di scavare, di andare in fondo. Che si tratti di guardare sotto il letto o nei tombini della metropolitana, di scendere nella cantina del custode del palazzo o di rovistare tra i rifiuti è evidente come questo gesto rispecchi uno scavo di natura psicologica. La serie non teme il tono drammatico e nemmeno di mettere a nudo i problemi, anche mentali, con cui dobbiamo convivere e che naturalmente influenzano anche il rapporto genitori-figlio.


