Outer Range 2: una serie che scorre restando ferma

Outer Range 2 **

Quando ti toglierai i vestiti, chiedeva Allen Ginsberg in una delle sue poesie più famose, rivolgendosi direttamente alla sua nazione. Con Outer Range ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di spogliare l’America e rivelarla? Anche in questa seconda stagione la serie cela un messaggio nascosto, un messaggio da riportare in superficie. Non è un caso che il primo episodio si apra con l’icastica frase “l’oscurità è la cosa peggiore”.

Al termine della prima stagione una mandria di bisonti invadeva le strade di Wabang, una piccola cittadina del Wyoming. Un fatto inconcepibile. Tutti sanno che questi giganteschi e nobili animali, per secoli presenze caratteristiche delle Grandi pianure americane, furono sterminati sul finire dell’Ottocento. I coloni ne uccisero a milioni, per le carni, per le pellicce e per liberare i pascoli a favore dell’espansione delle ferrovie negli immensi spazi dell’Ovest.

Si aggiunga che nel medesimo periodo storico, oltre al massacro delle mandrie dei buffaloes, si realizzava una catastrofe sociale. Con la fine delle guerre indiane, il destino delle popolazioni native fu segnato dal loro confinamento nelle riserve. E proprio i nativi, in particolare la tribù scioscione, rappresentano il secondo fantasma della serie.

Chi ha detto però che i bisonti non possano tornare? Magari come elementi, fisici e simbolici, di un passato impossibile da eliminare. I bisonti, brutalmente, calpestano tutto e tutti. Verrebbe da definirli una piaga biblica. D’altronde, Outer Range mescola archetipi estrapolati dalle pagine del Vecchio Testamento ad atmosfere degne della tragedia shakesperiana.

Royal Abbott e Wayne Tillerson, nemici di lungo corso, non sono forse due pater familias, due sovrani assoluti, due re scolpiti nella pietra? Il primo deve affrontare due perdite simultanee. La nipote Amy è scomparsa, rapita da sua madre Cecilia (che a sua volta si credeva scomparsa nel nulla). Anche il figlio Perry, padre di Amy e marito di Cecilia, ha fatto perdere le sue tracce. Dall’altro lato della barricata, avevamo lasciato il vecchio Wayne in coma. Sorprendentemente, non lo è più.

Per completare i due quadri familiari, occorre aggiungere che Rhett, l’altro figlio di Royal, è reduce da un rodeo ed è ammaccato. Con lui è Maria. I due si amano e vorrebbero scappare nel Montana. Cecilia, la moglie di Royal, è disperata e cerca risposte nello sciamanesimo (vi avvertiamo, anche gli sciamani non sono più quelli di una volta). Billy e Luke, i figli di Wayne, sono sempre in modalità Caino e Abele. Ritroviamo Billy in ospedale perché Royal… gli ha sparato. Luke si risveglia ai margini di una voragine. La mandria gli è passata sopra ma lui è sopravvissuto. Rammentiamo che Trevor, il terzo fratello, è morto nella prima stagione, involontariamente ammazzato da Perry durante una rissa fuori da un bar. Restano due figure femminili da nominare. Autumn, la vagabonda delle stelle, ricerca ancora la sua vera identità ed è probabile che una ferita alla testa possa essere rivelatoria. La vicesceriffo Joy si risveglia, suo malgrado, nel 1882.

Joy, di etnia scioscione, vive per quattro anni con la sua tribù. La poliziotta incrocia la brutalità assassina dei bianchi e predice loro un cambiamento sociale inaspettato. In questo genere di racconti, è anche superfluo dirlo, gli autori propongono un patto allo spettatore, generalmente definito sospensione dell’incredulità. Noi lo accettiamo con il sorriso, anche perché in questo caso ci vengono regalate un paio di simpatiche trovate. Joy incontra un’altra donna venuta dal futuro, Martha, che per provare di essere parte della medesima assurdità mostra un tatuaggio… dei Led Zeppelin. Inquietante è la scena, tra Westworld e Black Mirror, in cui lo smartphone di Joy si spegne, senza alcuna possibilità di essere ricaricato.

Le linee narrative inseguono gli svarioni temporali dei protagonisti. La misteriosa apertura circolare spalancata come una bocca nella pianura è una porta, ormai è chiaro, per altre dimensioni. Perry si getta nel buco con la speranza di ritrovare sua moglie Rebecca e incoccia in una linea temporale interessante. Siamo negli anni Ottanta (circa) del Novecento. Royal, il padre di Perry, è un uomo giovane. I due si incontrano. Perry gli racconta tutto e Royal gli crede. Per chi se lo fosse dimenticato: anche Royal è un viaggiatore nel tempo, nato nel 1878… Joy lo incontra nell’Ottocento, bambino, e deve a lui la vita. Perry invece lo ritrova, padrone di ranch, insieme a Cecilia, sua madre. In quegli anni, però, Cecilia è la donna di Wayne.

Confusione? È normale. Illuminante la battuta dell’anziana commerciante di abiti western: “un cowboy con il cappello sbagliato è un uomo che non conosce il suo posto nel mondo”. In Outer Range tutti sembrano fuori posto, fuori di testa e irrequieti. Perfino oppressi da un dolore metafisico. In origine, fu la colpa.

La colpa di Royal, aver ucciso suo padre, è la crepa nell’ordine delle cose. Lui ricorda di avergli sparato al petto durante una battuta di caccia al cervo. Un tragico incidente. Tuttavia, la presenza di Joy, là dove non avrebbe dovuto essere (in un tempo non suo), modifica gli eventi donando loro un senso nuovo. Le motivazioni interiori alla base del gesto sono finalmente portate allo scoperto. La morte del detestabile e manesco genitore non risponde al caso, ma a un bisogno. La liberazione dalla violenza, in forme così sfacciatamente edipiche, è scandalosa eppure necessaria. Il piccolo Wayne fugge gettandosi nella voragine.

Outer Range sfiora la deriva mistica. La pietra contenuta nelle viscere della terra, se assunta tipo droga sciamanica, permette di penetrare l’essenza della realtà. Billy, Luke e Autumn ci danno dentro, a voler imitare un triangolo sballato e lisergico. Sì, i due fratelli amano la stessa donna. Visioni, frammenti di futuro… Luke interpreta le allucinazioni a modo suo. È lui il prescelto per fondare insieme alla bionda ragazza hippy un culto nuovo o qualcosa del genere. Billy però ha visto tutt’altro. I suoi deliri somigliano ai videoclip del periodo d’oro di MTV. Nel caos generale, Autumn deve dare ragione a Wayne: è legata ad Amy, la bambina smarrita, da un filo rosso assai speciale. Volevo che vedessi te stessa, le dice Luke porgendole la manna nera. Non si sottrae al sortilegio del tempo nemmeno il vecchio Wayne, che scopre di essere stato colpito duramente al setto nasale da Perry… quarant’anni prima.

Al centro di tutto c’è il dissidio tra i due anziani patriarchi, Royal contro Wayne. Per una compagna sottratta all’altro, Cecilia. Per un figlio ammazzato dalla progenie altrui, Trevor (sebbene Autumn non sia d’accordo sull’inesorabilità della morte…) Per una terra contesa che contiene il sacro graal dei minerali, i pascoli occidentali degli Abbott. Royal rischia di perdere il ranch a causa di cinquecentomila dollari che nessuno gli vuole prestare. La maledizione è in agguato ed è indecisa su chi colpire. Infine, cade su Wayne. La punizione somiglia a un castigo. Come una parabola che sprigiona il suo significato alla fine dei tempi, Wayne perde tutto. Cecità, fiamme, distruzione. Cos’altro chiedere a Outer Range?

Nel penultimo episodio Royal ci regala una riflessione filosofica sul tempo. “La Terra è stata creata in sei giorni. Come sanno che erano sei? Come si fa a definire un giorno prima di sapere cosa sia? A parole si definiscono lo scorrere, il piegarsi e il ripetersi del tempo, ma sono solo parole. Nessuno comprende il tempo e cosa sia veramente, se è governato da Crono o se si muove autonomamente. Nessuno capisce che nella Creazione il tempo è stato rotto per far esistere l’uomo”. Dio ci avrebbe creato per vedere come avremmo affrontato il problema. L’uomo è lasciato libero di rifare gli stessi errori o di redimersi. Il buco nella pianura rappresenterebbe quindi, metaforicamente, il salto nel vuoto che solo la fede, nell’universo o nell’inesorabilità di qualche legge divina, può colmare. Fede, perché l’azzardo di Perry non ha alcun senso. Fede, infine ripagata, nel caso di Joy, che torna a casa. Fede equivalente a disperazione, per Wayne, spinto sull’orlo dell’abisso da una tragedia immane. Nulla però sarà come prima, per loro come per tutti.

Il cast della prima stagione, confermato in blocco, non sprigiona mai il suo potenziale per intero. Josh Brolin (Royal) è un monumento vivente di un certo cinema americano. Nel deserto, o meglio nella versione più feroce del deserto, quella che corrisponde a uno stato d’animo, Brolin si trova a suo agio, basti ricordare il ruolo di Moss in Non è un paese per vecchi. Will Patton (Wayne) trasmette al suo personaggio una fibra grezza, ben concretata dall’amata pelle d’orso indossata a mo’ di vestaglia. Difensore di valori familiari ormai frantumati dall’odio e re incontrastato del suo castello kitsch, Wayne esprime le caratteristiche della rapacità. Lili Taylor (Cecilia) guadagna spazio nella trama, imbraccia il fucile, segue piste in autonomia, eppure il suo personaggio è sempre un po’ troppo imbrigliato.

Tra i figli di Royal, Tom Pelphrey interpreta con buona lena il fuggiasco Perry, mentre Lewis Pullman si arena insieme al suo personaggio, il dolorante Rhett, nelle sabbie mobili di Wabang. Tra i fratelli Tillerson, le performance country di Noah Reid brillano di luce propria e rendono Billy la figura forse più anomala di Outer Range. Reid, cantautore canadese, nel 2024 ha inciso un EP dal titolo T for Tillerson. Shaun Sipos (Luke) incarna un archetipo classico, il figlio surclassato dalla personalità del padre.

Imogen Poots (Autumn) gioca a fare la pazza. Il suo interesse per le citazioni bibliche, associato al disprezzo per il bigottismo delle congregazioni religiose, attende una spiegazione. Se Outer Range fosse un libro, in esergo si potrebbe inserire una sua frase: “è difficile non sembrare pazzi”. Tamara Podemski è il vicesceriffo Joy. Nativa americana, sposata con una donna e madre di una bambina, Joy è un personaggio che pare sbucato da qualche film dei Coen (un mix di caratteristiche che non fa più troppo effetto). Il suo viaggio nel passato è una bella parentesi che avrebbe potuto regalare maggiori sviluppi.

La matassa di Outer Range è ingarbugliata, confusa, piacevole da seguire solo a tratti. I generi si confondono. L’esito, da ultimo, è incerto. I difetti prevalgono sugli aspetti virtuosi. La terza stagione potrà illuminare i lati oscuri e e tirare i fili del discorso verso una conclusione, magari concedendo una chance alla dottoressa Bintu (interpretata dall’attrice e poeta Yrsa Daley-Ward).

Il tempo è un fiume. Lo dice qualcuno a Royal, nel finale. Anche la serie, creata da Brian Watkins, è un fiume. L’impressione è che ci si bagni troppe volte nello stesso punto.

Titolo originale: Outer Range – Season 2

Numero di episodi: 7

Durata: 45 – 60 minuti l’uno

Distribuzione: Prime Video

Uscita in Italia: 16 maggio 2024

Genere: Western, Sci-fi, Thriller, Mistery

Consigliato a chi: ha un talento per le intermediazioni, scambierebbe una mucca per un paio di scarpe, a volte sente le voci.

Sconsigliato a chi: non sopporta una mosca nella stanza, è allergico al pelo del gatto, reagisce con stizza all’aumento dei prezzi.

Letture e visioni parallele:

  • Un western anomalo che corrisponde a una riflessione politica sulla nascita di una nazione, il Cile: Los Colonos di Felipe Gálvez (2023). Disponibile su Mubi.

  • Il viaggio nel tempo reinventato da un maestro del fumetto americano contemporaneo: Daniel Clowes, Patience, Coconino Press (2023).

Una sequenza: l’incubo di Cecilia nel quinto episodio.

Un oggetto a cui prestare attenzione: l’attizzatoio.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.