The Shrouds – Segreti sepolti

The Shrouds – Segreti Sepolti **

Il nuovo film di Cronenberg, il secondo dopo l’addio annunciato ai tempi di Maps to the Stars nel 2014 è tutto nelle sue premesse narrative.

L’ispirazione nasce verosimilmente dal dolore per la perdita della moglie Carolyn e mai come questa volta il suo cinema si mostra nudo, indifeso, esplicito nel suo malinconico e impossibile desiderio d’amore.

Si immagina infatti che Karsh, un imprenditore nel campo dei filmati industriali, dopo la morte della moglie Rebecca per un tumore osseo, inventi una tecnologia grazie alla quale attraverso uno speciale sudario si possa continuare ad osservare il corpo in decomposizione dell’amato o dell’amata, sepolto in uno speciale cimitero high-tech, grazie a uno schermo posizionato su una lapide essenziale e una app sviluppata dal cognato Maury e poi implementata da un’azienda cinese.

Karsh vive inevitabilmente nel passato, non solo perché passa le sue giornate a progettare le aperture della sua Gravetech in mezza Europa, ma anche perché la sua unica confidente è Terry, la sorella gemella della moglie perduta, una veterinaria appassionata di teorie del complotto, che lo spinge a credere che ci sia stata una cospirazione dei medici che avevano in cura Rebecca. Sulle ossa della donna riprese in 8k si notano infatti degli strani segni.

Una notte poi il suo cimitero canadese viene vandalizzato: alcune lapidi rovesciate e la connessione con i defunti interrotta. Tra queste, anche quella di Rebecca.

Nel frattempo la moglie cieca di un facoltoso cliente ungherese, Soo-Min Szabo, vuole incontrarlo per conto del governo del suo Paese che teme che dietro la sua tecnologia ci siano potenze straniere in grado di manovrare e hackerare il pericolo network creato dalla Gravetech.

Tutte le informazioni essenziali e le connessioni tra i personaggi di questo The Shrouds (che possiamo tradurre con I sudari) ci vengono comunicate nella prima mezz’ora di quello che alla fine sarà il film più lungo della carriera del regista canadese.

Il resto dovrebbe muoversi verso la risposta ad un ovvio interrogativo: chi ha hackerato e vandalizzato il cimitero della Gravetech e perché?

Il film invece ne fa un semplice mcguffin e tra i più deludenti, muovendo i personaggi, facendo immaginare trame e cospirazioni, pericolose compromissioni della sicurezza, che coinvolgono anche l’assistente virtuale di Karsh, che sembra sapere troppo di lui.

In realtà la detection e il coté da spy story sono solo uno schermo, dietro cui Cronenberg si limita a osservare i suoi personaggi fare i conti con il proprio passato, elaborare il proprio lutto, ricominciare a vivere. Non c’è nessuna grande cospirazione internazionale dietro gli eventi alla Gravetech, ma piccoli e umanissimi sentimenti: l’invidia, la gelosia, la vendetta.

Quello che il regista immagina è un’altra deriva della visione, che sfida la morte continuando a mostrare in diretta la decomposizione del corpo al posto delle vecchie foto cimiteriali “immagini orribili, sbiadite, macchiate dalle mosche”.

Tutto il cinema di Cronenberg è attraversato da forme di voyeurismo che in questo caso assumono i connotati sinistri della necrofilia, con la possibilità di zoomare, ingrandire particolari ossei e coltivare un’ossessione scopica cimiteriale.

Eppure sembra dirci il regista canadese questa ossessione non è più sufficiente e la sparizione del corpo e del suo desiderio, ci lascia solo quest’illusione di poter fermare nelle immagini una realtà che ci è ormai sfuggita.

The Shrouds come molti degli ultimi Cronenberg è un film filosofico, più interessato a mostrare le riflessioni del suo autore e l’evoluzione che hanno avuto nel corso del tempo, che non a raccontarci davvero qualcosa.

Il film finisce così piano piano per girare vuoto dal punto di vista narrativo, svelando che oltre alla confezione deluxe, al suo interno potremmo non trovare quello che cerchiamo. Un po’ come accade nel paradosso del gatto di Schrödinger, citato dalla protagonista, il film può essere molte cose assieme, in modo contraddittorio eppure possibile.

L’idea inziale diventa così poco più che un innesco, che Cronenberg non riesce più a gestire e finisce quindi per abbandonare a se stessa, lasciando emergere una dimensione metafisica essenziale.

Forse non è del tutto un male, se non si trattasse per il sulfureo Cronenberg di un’ incongrua e serena accettazione di quella normalità che i suoi personaggi hanno sempre rifiutato, preda di allucinazioni, incubi, manipolazioni, trasformazioni, che qui alla fine si riducono alla più classica delle ossessioni d’amore.

Non traggano in inganno i soliti corpi martoriati, feriti, ricuciti, la consueta voyeristica osservazione del loro decadimento, della loro imperfezione. The Shrouds non è un horror e tantomeno un body horror, piuttosto una riflessione malinconica sulla necessità di archiviare il dolore, per ricominciare a fantasticare di teorie e complotti stranieri solo come forma di eccitazione per rendere più imprevedibile una vita ordinaria.

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