The Regime: Kate Winslet cancelliera folle in una satira di dubbio gusto

The Regime **

Se potessimo isolare l’interpretazione di Kate Winslet da tutto il resto, The Regime, serie HBO in sei episodi distribuita in Italia da Sky, meriterebbe un giudizio diverso, assai più lusinghiero. A fronte di una produzione con troppe debolezze, quantomeno rispetto alle attese iniziali, l’attrice inglese dà vita a un personaggio memorabile. Già il dettaglio anatomico del labbro storto, pendulo e tremolante, basterebbe a codificare la follia di Elena Vernham, psicopatica cancelleria di un’immaginaria repubblica dell’Europa centrale. Scollata dalla realtà, ipocondriaca all’ennesima potenza, ossessionata dall’eredità paterna, sdegnosamente distaccata dal popolo, di cui odia soprattutto gli odori, Elena è un concentrato del peggio del peggio di tutte le figure autocratiche che ci possono venire in mente.

Nel primo episodio facciamo conoscenza del caporale Herbert Zubak, detto il Macellaio dell’Area 5. Il simpatico nomignolo gli è rimasto addosso a causa della solerzia dimostrata nel reprimere una pacifica protesta di minatori. O almeno, così si dice. Matthias Schoenaerts, attore belga noto in Italia per aver interpretato Django nell’omonima serie di Francesca Comencini, costruisce un personaggio spesso sopra le righe. Imbarazzato, autolesionista, violento, manipolatore (nonchè manipolato) e ottuso, Herbert viene assunto nel labirintico Palazzo del potere per sovrintendere a un’indispensabile operazione di bonifica. Indispensabile, ovviamente, solo per Elena. Secondo la cancelliera le pareti complottano contro di lei. Traboccano di muffa velenosa. Trasmettono un veleno mortale. Minacciano la sua salute.

Il venerabile padre di Elena e storico fondatore del Partito, deceduto qualche anno prima a causa di una malattia ai polmoni, rappresenta il metro di paragone del suo delirio paranoico. Il cadavere, in lenta decomposizione, è gelosamente conservato in una teca. Una surreale festa a Palazzo ne celebra il compleanno. Elena lo odia. E lo insulta con sboccata veemenza.

In occasione della visita della senatrice americana Holt, Elena ricorda alla sfortunata ospite che un tempo il Palazzo era un hotel. La struttura è il baricentro fisico e simbolico di quasi tutto il racconto. Non a caso, il primo titolo della serie era The Palace.Con la sua sala di comando simile a un bunker antiatomico, con i suoi lunghi corridoi attraversati da servitori e lacché, con le sue camere stuccate e decadenti, il Palazzo è un incubo totalitario, la concrezione purulenta di uno stato di alterazione mentale.

The Regime è una satira dalla grana grossa. Dialoghi e battute non vanno per il sottile. Gli autori hanno frullato nella figura della cancelliera un insieme di caratteristiche estrapolate dai profili di vari leader autoritari. La stessa evoluzione del movimento politico dei Vernham, favorito da un’improvvisa esplosione di consenso popolare, ricalca la storia recente di molte formazioni populiste di estrema destra. Ci viene detto che Elena ha ereditato un partito ridotto ai minimi termini ed è stata in grado di portarlo al governo attraverso regolari elezioni. Poi le elezioni non sono servite più, anche perché l’unico oppositore credibile al regime, l’ex cancelliere di sinistra Edward Keplinger (definito un “ratto neomarxista”), è rinchiuso in una cella, giù, nelle segrete del Palazzo.

Keplinger è interpretato da Hugh Grant. Il celebre attore di Notting Hill e Quattro matrimoni e un funerale sembra un po’ a disagio nel ruolo. La barba del giorno dopo e gli occhiali da intellettualoide anni Settanta lo riscattano esteticamente, ma non sollevano la complessiva credibilità del personaggio. È pur vero che la sua presenza nella serie dura poco più di un cameo…

La terza figura chiave di The Regime è Nicholas, il marito della cancelliera. Il talento dell’attore francesce Guillaume Gallienne (Yves Saint Laurent, Tutto sua madre) risulta sacrificato accanto all’argento vivo diKate Winslet. I due formano una coppia improbabile. Nicholas prova in tutti i modi a contenere le bizzarrie della moglie. Che non sono poche. Si inizia dal terrore assoluto per la presunta muffa sui muri per arrivare alle scalmane in pieno inverno, con tanto di bagni nell’acqua ghiacciata.

Sul piano delle decisioni politiche è difficile trovare il bandolo della matassa. “Non puoi essere il re e Robin Hood allo stesso tempo”, dice Nicholas a Elena nel terzo episodio, tentando di dissuaderla dall’accettare una proposta di riforma agraria avanzata dal suo fidatissimo Herbert. Il triangolo classico, lui, lei e l’altro, è appena accennato. Il marito non nasconde una maldestra gelosia davanti all’irruenza del caporale. Tuttavia gli autori preferiscono non affondare i colpi in questa direzione. Allo scontro diretto con il rivale, Nicholas preferisce… la poesia.

“Ottanta parole di deliri da tossici per descrivere un ca..o di salice”. Eloquente, Elena, nel definire la sua considerazione dell’arte poetica. A differenza del marito, che approfitta dei fondi pubblici per istituire, appunto, effimeri “centri di poesia” (ventisei come i Canti dell’Innocenza di William Blake), con i soldi estorti se non proprio rubati ai contribuenti, la Cancelliera preferisce finanziare i suoi vizi privati. Tra i reati che le saranno elencati figurerà anche questo: procurarsi all’estero alimenti mentre il popolo sopravvive con 200 grammi al giorno. E non è nemmeno il capo d’imputazione più grave. Compiere atti incompatibili con la dignità umana, agire in modo dispotico e criminale, minaccia all’economia nazionale, genocidio… C’è da chiedersi come si sia arrivati a tutto questo…

The Regime è un bignami delle mostruosità politiche del ventunesimo secolo. La repubblica delle banane dei Vernham oscilla tra l’antiamericanismo viscerale, il nazionalismo becero e l’avventurismo geopolitico. Il caporale Zubak entra di prepotenza nelle grazie di Elena. Un discorso motivazionale basato sull’orgoglio fa breccia in lei. Da buffone di corte, con un ridicolo misuratore di umidità in mano, a consigliere ultrapotente ed eminenza grigia il passo è breve.

“Costruito alto quanto volete ma che sia sulla nostra terra”. Il motto che Zubak ripete allo sfinimento è semplice e insensato. Nel richiamo alla terra risuonano le parole d’ordine dell’estrema destra, mentre l’odio per l’imperialismo yankee sembra echeggiare le sirene del populismo sudamericano in stile Maduro. Non può sfuggire la caricatura del salutismo, con la continua ossessione per i veleni corporei da espellere per ritrovare il perduto benessere. Nè viene risparmiata la nazione in sé, quale concetto evidentemente costruito. Quattro uomini, recita il mito, fondarono la patria. Di tre si conosce la destinazione, del quarto si persero le tracce. Il caporale Herbert Zubak potrebbe essere il discendente di questo mitico fondatore.

In fondo, Elena ha cercato a lungo di corroborare la tesi della repubblica come punto d’arrivo e palingenesi storico-politica del sacro romano impero. Con eccessiva disinvoltura, considerato lo squilibrio psichico del soggetto, i suoi consiglieri l’hanno convinta di essere l’erede legittima di Carlo Magno. Farsa, satira, motteggio di attuali follie: in The Regime c’è davvero troppo e alla fine se ne esce scombussolati. Prendiamo il tema dei sogni rivelatori. La cancelliera e il caporale vivono esperienze oniriche comuni, deliri erotici compresi. È una bella idea, destinata però a sfarinarsi poco per volta. Forse il limite principale  della serie sta proprio in questo esaurimento repentino di spunti, anche interessanti, mai però completamente centrati.

Con il procedere degli episodi la linea narrativa si fa aggrovigliata. Vi sarebbe una storia promettente. Riguarda Agnes, direttrice del palazzo e madre di un bambino affetto da epilessia. Agnes ha un amante, Peter, di professione infermiere. È lui che procura sotto banco ad Agnes i farmaci salvavita per combattere le crisi di Oskar. Nell’ordinamento della repubblica la scienza ufficiale deve cedere il posto all’antico potere della patata e del ravanello nero…e la salute del piccolo Oskar peggiora.

Agnes, interpretata da Andrea Riseborough (protagonista di ZeroZeroZero, Waco e candidata all’Oscar nel 2022 per il filmTo Leslie), deve sottostare alla follia di Elena, che ad un certo punto decide di requisirle il bambino per tenerlo con sé. Nel ratto del rampollo, strappato dalle braccia della madre biologica per garantire alla casata una discendenza social (la foto di famiglia, il rito della carpa…), dovremmo leggervi solo l’ennesimo capriccio dell’amata leader oppure qualcosa di più…? Satira dell’antivaccinismo? Caricatura del concetto di famiglia naturale? Il peso specifico di Oskar nell’economia della trama non è chiaro.

L’incostanza degli eventi diventa regola. Accade di tutto e in fretta. Una classe dirigente viene decapitata. Le miniere di cobalto, unica vera fonte di ricchezza della repubblica e contese dalle superpotenze, sono oggetto di scambio politico. Il progetto di riunificazione riesce alla grande (leggi blitzkrieg a danni di pacifici vicini di casa). La gloria del caporale Zubak intanto attraversa fasi alterne. Da eroe precipita all’inferno. Da dannato delle prigioni è riportato su, alla luce. Si congiunge con Elena, stavolta non più solo in sogno. Infine, assume le vesti di agnello sacrificale.

Cosa resta fuori da questo quadretto kitsch a tinte forti del caos politico contemporaneo? Forse solo le tematiche migratorie, mai sfiorate. La farsa del populismo si evince, piuttosto, dall’odio covato da Elena per le classi medie. Quando la cancelliera accoglie l’invito dei lavoratori in sciopero di Westgate, la regione a vocazione agricola da lei detestata a causa dell’insostenibile puzza di barbabietola, a stento riesce a mettere il naso fuori dal finestrino dell’auto.

L’ultimo episodio si svolge fuori dal Palazzo. La trasmissione a reti unificate del barbiere di Siviglia anticipa il colpo di stato. I toni virano al drammatico. La repubblica è sconvolta dalla guerra civile. Elena, vestita di rosso, appare una facile preda per i rivoltosi. Le case della poesia si rivelano in stato di abbandono. I grattacieli incombono, sporchi, tristi. Impossibile rivolgersi a facce amiche. Il caporale ha una perplessità che non riesce a nascondere. Un’esitazione di Elena, poco prima della fuga. Lei vorrebbe andare in Cina, ma lui le fa presente che a piedi è troppo lontano. La falsa speranza, la cattura, le sorti di nuovo ribaltate… e quel discorso finale alle masse, protetta da un plexiglas. A suggellare il gattopardismo circolare, un nuovo culto è fondato.

Gli occhi, la mimica, le espressioni facciali di Kate Winslet sono da manuale. Sarebbe un delitto non assegnarle l’Emmy. Elena, la nostra protagonista assoluta, concede ogni possibile esibizione al pubblico adorante, incluse performance canterine e balletto in tv accompagnato da patetica coreografia, a significare l’ormai avvenuta fusione tra politica e spettacolo. Al di fuori della recitazione strabiliante della Winslet, la serie arranca. The Regime raramente fa ridere, non riesce a trasformarsi in satira feroce, non morde (a proposito ricordatevi: in amore niente morsi), non individua con nettezza i suoi bersagli e sfodera gag di dubbio gusto. Un dubbio è lecito. Che i putinismi striscianti abbiano ormai surclassato qualsivoglia possibilità di rappresentazione?

Titolo originale: The Regime

Numero di episodi: 6

Durata:45-55 minuti l’uno

Distribuzione: Sky Atlantic

Uscita in Italia: 4 marzo – 8 aprile 2024

Genere: Black comedy – Political satire

Consigliato a chi: ama tenere discorsi nelle occasioni conviviali, apprezza la pittura naïf, si fa sempre riconoscere dalle scarpe che indossa.

Sconsigliato a chi: non ha ancora trovato un rimedio contro l’insonnia, produce rumori di cui non si accorge, non ha mai considerato la radio un mezzo di tortura.

Visioni e letture parallele:

  • Un canale televisivo costretto a espatriare per sopravvivere: Dozhd, la televisione russa in esilio, disponibile su ARTE.
  • Il romanzo vincitore del Booker Prize2023 in cui si immagina una Repubblica d’Irlanda scivolata nel totalitarismo: Paul Lynch, Il canto del profeta, 66thand2nd.
  • Se vi siete mai chiesti cosa desiderassero Saddam Hussein o Fidel Castro per cena questo è il libro adatto a voi: Witold Szabłowski, Come sfamare un dittatore, Keller editore.

Una bandiera: rossa, azzurra e… ridotta a brandelli.

Una canzone: If you leave me now dei Chicago.

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