Emilia Pérez

Emilia Pérez ***1/2

Rita Mora Castro lavora come giovane avvocata in un agguerrito studio legale messicano. I suoi successi accrescono solo la sua frustrazione, costretta dietro le quinte dalle gerarchie interne dello studio.

L’occasione della vita le arriva con la telefonata di uno sconosciuto e un appuntamento al chiosco dei giornali. Incappucciata e portata in una località ignota, incontra Manitas del Monte, uno dei più potenti jefe del narcotraffico.

Il boss le fa una proposta che non si può rifiutare: due milioni dollari per curare la sua uscita di scena. Deciso da molto tempo a cambiare sesso, il boss inscenerà la propria morte, rinascendo in una clinica israeliana come Emilia Pérez, mentre la moglie Jessica e i figli verranno trasferiti ignari in Svizzera.

Passano gli anni e Rita si è rifatta una vita a Londra con i soldi della transazione con Manitas.

Una sera a cena incontra una donna di origini messicane, pian piano si accorge che la signora elegante con cui si sta intrattenendo è lo spietato boss di un tempo. Emilia vuole tornare a casa, ma vuole con sé anche la sua famiglia e Rita, che è l’unica a sapere.

Tutti devono credere che Emilia sia la cugina di Manitas, erede del suo potere e dei suoi contatti. Solo che la transizione cambia radicalmente anche la personalità del jefe che fonda con Rita una ONG per le madri dei desaparecidos del narcotraffico, approfittando anche dei contatti con i killer pentiti che conoscono le fosse e possono ricostruire le storie di chi non è mai stato ritrovato.

Tuttavia l’adattamento ad una realtà completamente diversa non sarà indolore per Emilia e per i suoi cari: il vecchio mondo criminale con le sue logiche la insegue ancora.

Il nuovo, decimo film del Maestro Jacques Audiard, scritto per la prima volta da solo, ma con la collaborazione creativa del sodale di sempre, Thomas Bidegain, è un musical, costruito sulle canzoni di Camille, le musiche del suo compagno Clément Ducol e le coreografie di Damien Jalet.

L’idea era quella di costruire la sceneggiatura, quasi tutta in spagnolo, con qualche intermezzo in inglese, come un libretto d’opera in quattro atti, il cui personaggio principale viene da un capitolo del libro di Boris Razon, Écoute.

Le riprese si sono protratte per due mesi da maggio a inizio luglio 2023 quasi interamente in studio.

Sposando appieno la lezione di Demy, Emilia Perez è un film cantato, sussurrato, recitato nel senso più autentico del termine, da attori comuni che prestano la propria voce, non sempre impeccabile, a questo melò criminale fiammeggiante, a cui Audiard dona il suo tutto il suo talento di metteur en scène.

Il film abbraccia generi diversi fondendo nel musical il thriller di redenzione e vendetta, il racconto di formazione, la soap più popolare, il melò raffinato e fiammeggiante, senza paura di sfiorare il kitsch e sfidando continuamente il patto con lo spettatore. E’ la dimensione operistica che glielo consente, avvolgendo la storia anche quando forza alcune svolte. Il regista si muove leggero costruendo le scene come una serie di sequenze autoconclusive, spesso chiuse con una dissolvenza a nero, spostando lo sguardo fra le sue tre protagoniste, tutte meritevoli di un punto di vista proprio, tutte incapaci di esaudire sino in fondo i propri desideri.

Così come accade in Sulle mie labbra, Il profeta o Un sapore di ruggine e ossa, i personaggi di Emilia Perez sono chiamati ad adattarsi ad un contesto ambientale completamente nuovo, dislocati in una realtà a cui tentano invano di uniformarsi, imparando le nuove regole d’ingaggio. Solo che, come nei migliori noir, il peso del passato rimane un fardello inestinguibile e l’istinto di sopravvivenza spesso non è sufficiente.

In questo caso il cambiamento è tanto più radicale perché è innanzitutto identitario e sessuale: con grande sensibilità Audiard immagina che il passaggio dal maschile al femminile, sia anche metafora di uno sguardo nuovo su quella stessa tragica realtà messicana, un passaggio dalla ferocia del capo alla compassione di una madre.

E’ il corpo di Manitas/Emilia che cambia verso alla (sua) storia, consentendogli di uscire da quel “porcile” in cui era il più feroce dei narcotrafficanti. Ma il passaggio ad un corpo matronale è solo un passaggio verso una nuova trasformazione: la statua che i parenti dei desaparecidos portano in processione nel finale è l’ultimo stadio di una beatificazione impropria.

Non è un caso che le cose precipitino per Emilia quando Jessica decide di rompere l’unità della sua nuova famiglia, sposando l’amante Gustavo e portando via i figli dalla casa della “zia”. Il tentativo di ricostruire su basi nuove un rapporto familiare allargato, femminile e inclusivo, si scontra con l’idea di possesso e con l’ingresso di un nuovo elemento maschile, che viene a riportare un antico ordine patriarcale. Ma non tutto è perduto, l’esempio rimane, le cose fatte lasciano il segno nella comunità.

Non è solo Emilia a subire una trasformazione, perché anche Rita segue un percorso altrettanto radicale, da praticante di studio sotto-pagata a avvocata d’affari e socialite nella Londra del capitale internazionale, quindi di nuovo a Città del Messico, a capo di una ONG a fianco degli ultimi. Tutto questo però è possibile grazie ai soldi sporchi di Manitas, vero strumento trasformativo, che non consente salvezza vera: quella è forse relegata ad una sorta di religione civile, pagana e popolare, che arriva tuttavia solo a fuochi finiti.

Interpretato da Karla Sofia Gascón, un’attrice spagnola transgender, con una capacità magnetica di restituire le sfumature e le scoperte di Emilia, il suo calore, il senso di realizzazione e compiutezza tanto ricercato, il film è anche un manifesto del talento di Zoe Saldana, costretta per troppo tempo in ruoli d’azione o in cui è quasi irriconoscibile (come nei Guardiani della Galassia o in Avatar), e qui finalmente capace di mostrare nel ruolo di Rita molti registri diversi, oltre a cantare e ballare la maggior parte dei numeri musicali del film, senza sfigurare accanto a Selena Gomez, che interpreta Jessica.

Le protagoniste di questo film che tanto sarebbe piaciuto ad Almodovar, sono donne in cerca di redenzione e di affermazione: la delicatezza con cui Audiard racconta la trasformazione di Emilia e poi la sua relazione con Epifania, una donna abusata, incontrata nella sua ONG, dona al film e al personaggio una credibilità che si nutre di ironia, romanticismo e pienezza ritrovata. E’ facile comprendere quindi come Rita dimentichi il passato di Emilia e le resti accanto, nell’associazione La lucecita.

Il film è travolgente, commovente, animato da una passione che esplode in ogni inquadratura anche grazie al lavoro sontuoso di Paul Guilhaume come direttore della fotografia che illumina di colori caldissimi e contrasti primari le scene recitate, mentre quando gli attori cantano le luci si fanno più bianche e fredde, mostrando esplicitamente la finzione teatrale.

Questo è stato possibile grazie alla scelta di Audiard di girare gran parte del film in studio a Parigi, come un vecchio musical, avendo maggiore flessibilità per immaginare le coreografie e i numeri musicali.

Applausi scroscianti alla fine della proiezione stampa di Cannes.

Premio collettivo al festival per le migliori attrici e Prix du Jury. 5 premi EFA per il miglio film europeo dell’anno e 4 Golden Globes. In attesa degli Oscar.

In Italia con Lucky Red dal 9 gennaio.

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