Una ragazza brillante – Wild Diamond **1/2
Liane ha 19 anni, un enorme seno rifatto, un profilo instagram ammiccante e l’ambizione di cambiare la sua vita radicalmente, partecipando al reality Miracle Island.
Vive con la madre, incapace di occuparsi di lei e della sorellina Alice, nell’assolato ed elettrico sud della Francia.
Accanto a lei tre amiche, compagne di notti brave in discoteca e di piccoli furti, e giovane meccanico Dino, innamorato di lei, ma incapace di condividere l’assurdità dei suoi sogni di successo.
Eppure nella Francia del XXI secolo la scala sociale si sale velocemente anche in questo modo.
Punteggiato dai commenti social esagerati ed estremi che raccolgono i post di Liane, Wild Diamond è film che guarda tanto il cinema indie americano più marginale e contemporaneo, almeno quanto il pedinamento dei fratelli Dardenne.
Chiuso in un formato 4:3 che sembra incapace di contenere le forme esagerate della protagonista, costruito addosso a lei, senza mai indietreggiare, l’esordio nel lungometraggio di Agathe Riedinger ritorna alla protagonista del suo corto J’attends Jupiter.
Liane è un carattere ribelle, insolente, incapace di accettare una vita ai margini, un personaggio per molti versi animalesco nelle sue fughe e nelle sue corse, solo che l’unica dimensione che conosce per raccontare se stessa è il suo corpo, la sua bellezza, esagerata dai ritocchi estetici, da un trucco fortissimo, da tatuaggi fatti da sé, daa vestiti che non lasciano nulla all’immaginazione e tacchi vertiginosi.
Non ha altre armi, la cultura non ha nessun posto: tutto passa attraverso lo schermo del suo cellulare, attraverso gli sguardi che provoca e quelli che cerca, senza alcuna innocenza. Eppure lo sguardo a cui tiene di più è proprio quello che manca. La madre non riesce mai a comprenderla, a vederla, a riconoscerla.
Wild Diamond potrebbe apparire in fondo una favola per adulti, affine per molti versi al cinema del nostro Matteo Garrone, anche se la Riedinger rifiuta lo stereotipo della cenerentola e del suo principe azzurro. Liane infatti, pur comprendendo l’amore di Dino, non esita un solo momento a fuggire verso gli studi televisivi, dove la magia sarà tutta sua.
Pur piuttosto acerbo nella messa in scena e in alcune scelte narrative, piegate soprattutto al ritratto troppo affettuoso della sua protagonista, il film ha tuttavia una certa brusca necessità e alcune scelte decisamente originali, come nel contrasto della colonna sonora fra la musica ascoltata dalla protagonista, quella la accompagna, prevalentemente di violoncello, e quella che le canta a Dino, una passacaglia del XVI secolo.
Riedinger ha poi una bella capacità di immergere i suoi personaggi in un contesto urbano inedito, il Frejus, tra Cannes e Marsiglia scelto per la sua capacità di evocare contesti lontanissimi, dalle ville di lusso ai quartieri operai, dai ruderi abbandonati a una desolazione che sembra quella dell’america profonda. Molto interessante anche il modo con cui i personaggi attraverso gli spazi chiusi: sia quelli ordinari come il club, la casa di Liane, il salone di bellezza o il centro commerciale, sia quelli imprevedibili come la casa borghese dove la protagonista si intrufola dopo una giornata campale o la villa con fregi neoclassici dove si svolge uno shooting fotografico. I primi sono difficili da ricordare perché la regista non li mostra mai appieno, lasciando che appaiano soffocanti come nella percezione di Liane, i secondi invece sono mostrati in modo diverso, proprio attraverso lo sguardo estatico della protagonista.
Sorprendente e vitale.
