Cristóbal Balenciaga e The New Look: così la creatività salvò l’Europa.

Cristóbal Balenciaga **1/2
The New Look **1/2

Dopo The Assassination of Gianni Versace (2018) e Halston (2021), il connubio tra narrazione seriale e biografie di grandi stilisti di moda ci regala due nuovi capitoli molto interessanti: Cristóbal Balenciaga, distribuita da Disney+, e The New Look, centrata sulla vita di Christian Dior, disponibile sulla piattaforma AppleTv+. La curiosa coincidenza genera incroci inevitabili. I due maestri della moda del Novecento erano al contempo rivali ed amici. Non stupisce, quindi, il fatto di ritrovare, l’uno e l’altro, in entrambe le serie.

I due racconti sembrano voler affermare una comune esigenza, tanto più forte oggi, alla luce del nostro tempo ferito, nuovamente caratterizzato dalla cieca violenza di guerre a noi prossime. Il messaggio è limpido e segna una differenza rispetto ad altre opere, non solo quelle già ricordate, legate al tema della moda. Balenciaga e Dior, grazie al proprio lavoro, risaltano quali figure in grado di portare una promessa di rinascita, nel quadro di un mondo sprofondato nella sofferenza, in particolare di un’Europa alla ricerca di una via d’uscita dagli orrori del nazismo. La risposta è data dalla bellezza, dall’arte, dalla creatività, dallo splendore che la vera moda, sartoriale, artigianale, preserva nella sua essenza. I quattro anni di occupazione di Parigi rappresentano lo spartiacque storico e morale delle due vicende.

La serie dedicata a Balenciaga inizia nel 1971. Nella chiesa della Madeleine si celebrano i funerali di Coco Chanel, grande amica dello stilista basco (a dire il vero figura non priva di ambiguità e doppiezze giocate anche nei suoi confronti). A pochi passi da Balenciaga siede la giornalista inglese Prudence Glynn, fashion editor di The Times. All’uscita, Glynn avvicina Balenciaga, noto per la sua riservatezza quasi patologica, nella speranza di estorcegli un’intervista. Sorprendentemente, la ottiene. Da qui, il nastro del tempo scorre all’indietro.

Nel 1937 Cristóbal Balenciaga arriva a Parigi accompagnato dal suo socio e compagno di vita Wladzio D’Attainville. Figlio di un pescatore del piccolo comune costiero di Getaria e di una sarta (la sua prima maestra), Balenciaga all’epoca è uno stilista già affermato. I suoi atelier di San Sebastian e di Madrid sono frequentati dall’aristocrazia. Tuttavia la Spagna, devastata dalla sanguinosissima guerra civile destinata a concludersi nel 1939 con la caduta della Repubblica e la vittoria del fascista Franco, è una nazione che occupa le periferie dei circuiti della moda. Molti uomini e donne di talento, per necessità, decidono di lasciare il Paese. Gli esuli trovano ospitalità nelle nazioni libere. I più sono oppositori politici, socialisti, repubblicani, anarchici. Non ultime, però, anche persone le cui tendenze sessuali suscitano sospetti in patria. La meta scelta da Balenciaga è quasi d’obbligo. Parigi è la capitale mondiale dell’Haute Couture, del lusso e dello stile.

In Francia i modelli di Balenciaga all’inizio riscuotono meno entusiasmo di quanto atteso. A differenza della Spagna, la concorrenza è feroce e i giudizi della stampa sono fondamentali nel decretare il prestigio di uno stilista. La lezione è dura. Per emergere non basta la bravura affinata con l’esperienza: serve il genio. Nel primo episodio Balenciaga pare quasi sul punto di cedere (“sono di un’altra categoria”, dice, con riferimento ai francesi), quando è proprio Chanel a rassicurarlo. Di più: ad elogiarlo, coniando una definizione che gli resterà addosso per sempre, quella di ultimo, vero fabbricante di abiti.

Nicolás Bizkarrondo, ingegnere e politico repubblicano rifugiato con la moglie Virgilia a Parigi, crede in Balenciaga e lo sovvenziona. Il tocco unico del maestro è visibile, ad esempio, anche in un banale accorgimento: una piega sulla schiena, all’altezza del collo, funzionale a far apparire una donna più alta. Nel dettaglio si nasconde il guizzo che separa l’imitatore dall’innovatore. E poi le maniche, l’ossessione totale di Balenciaga… tagliate alla perfezione, si può considerare l’opera realizzata. Altrimenti, è tutto uno scucire e ricucire, fino allo sfinimento.

Perfezionista, maniacale, ossessivo, Balenciaga affronta grandi sfide. Nel secondo episodio Balenciaga si rifiuta di confezionare un abito con un tessuto non suo. Siamo nel 1941 e Parigi è stata appena occupata. La commessa proviene dall’amante di un ufficiale delle SS. “Io sono apolitico e ho tutto il diritto di esserlo”, dirà più tardi a Bizkarrondo. Benché l’alta moda sia sempre stata “al servizio delle classi dominanti” (parole sue) vi è pur sempre un limite da non valicare. Un limite che corrisponde a una differenza di valore tra l’originalità e la mediocrità. La serie ci ricorda che i nazisti, consapevoli di non avere stile e desiderosi di fabbricarsene uno, tentarono di trasferire la capitale della moda in Germania, fallendo miseramente.

L’opposizione al nazismo non sarà mai esplicitata da Balenciaga in atti di aperto dissenso politico, quanto, piuttosto, nella conservazione gelosa del proprio talento, mai disposto a venire a patti con esigenze di commissione, e nell’esaltazione di un modello di lavoro artigianale irripetibile, non esportabile, non imitabile.

La necessità di non perdere di vista nemmeno un passaggio del processo di produzione di un abito rappresenterà la maledizione di Balenciaga. Con la diffusione del prêt-à-porter, sostenuto da altri maestri dell’Haute Couture, in particolare Pierre Cardin, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, la moda cambia per sempre. La serie ci mostra come lo stilista basco, ancora una volta, si ostini nell’andare in senso contrario. Balenciaga cerca e trova il tessuto perfetto, o meglio ancora lo inventa, in condivisione con il designer Gustave Zumsteg. Il nome del materiale, straordinariamente malleabile e pienamente rispondente al tratto di matita di Balenciaga, è gazar. Con questo tessuto, gli abiti si fanno architettura tridimensionale, sogno, capriccio, sempre nel “rispetto dell’individualità del corpo” (anche quando non è gradevole nelle proporzioni, come nel caso della futura regina del Belgio), un rispetto che la moda, fattasi industria e catena di montaggio, dimentica e disconosce.

La serie racconta pure il Cristóbal più intimo e privato, dal rapporto con la madre, motivo di ispirazione e architrave della sua intera formazione, fino alle relazioni con gli uomini della sua vita. Straordinaria la scena in cui il protagonista scopre il volto di Wladzio in obitorio: è un momento tragico, di perdita di compostezza e, nel volgere di un breve istante, di ritrovato equilibrio. Un momento stupefacente per intensità. Alberto San Juan, l’attore scelto per interpretare Balenciaga, due volte vincitore del Premio Goya, è superbo.

Nella serie compaiono Audrey Hepburn, Givenchy, Colette, Carmel Snow (redattore capo di Harper’s Bazaar), oltre a Dior e a Coco Chanel. Figure importanti e tuttavia utilizzate in maniera funzionale per disegnare il personaggio principale. Il peso del racconto gravita tutto attorno alla figura di Balenciaga. “Ognuno è padrone del proprio silenzio e schiavo delle proprie parole”, dirà a Prudence Glynn, al termine della sessione di interviste durata tre giorni.

Altre parole segnano invece l’esordio di The New Look. Università della Sorbona, 1955: Christian Dior pronuncia un discorso davanti a centinaia di studenti. Si afferma un concetto. Con la prima collezione del 1947, Dior ha riportato la bellezza dopo gli orrori della guerra.

The New Look sottolinea il trauma vissuto da Dior. È un episodio noto della sua biografia che qui assume grande rilievo narrativo. La sorella Catherine, attiva nella Resistenza francese, fu catturata dalle SS, torturata affinché rivelasse i nomi dei suoi complici (non lo farà) e poi spedita in un campo di lavoro in Germania. Lo stilista, confortato dalle visioni di una cartomante, attese con fiducia, infine ripagata, il ritorno a casa dell’amata Catherine, anche a dispetto dei resoconti circolanti attorno a terribili e reali “marce della morte”. Il primo profumo di Dior sarà dedicato a lei.

I periodi dell’occupazione di Parigi e dell’immediato dopoguerra sono ritratti con vividezza. Nel terzo episodio assistiamo a una delle scene più forti dell’intera serie. I sopravvissuti vengono accolti, all’ultimo piano di un palazzo, da amici e parenti che impugnano fiori bianchi di lillà e intonano la Marsigliese. L’inno vittorioso si spegne nel momento stesso in cui si affacciano nella sala decine di scheletri umani barcollanti.

The New Look stringe il focus, con attenzione perfino eccessiva, sulla figura di Coco Chanel, evidenziando aspetti a dir poco ambigui della sua biografia. Grazie a Chanel, tra le due guerre, si afferma definitivamente la moda, nella società e nella stessa cultura europea del Novecento. Poi però subentrano i giorni dell’oscurità. Coco, che risiede in una suite del Ritz, diviene l’amante del barone Hans von Dincklage, alto ufficiale della Gestapo, detto “Spatz”, che la convince ad accettare il rischio di un’operazione segreta in territorio spagnolo. A Chanel, accompagnata da una donna legata al regime fascista, è richiesto di trasmettere una proposta di pace (in sostanza, una resa dei tedeschi all’insaputa di Hitler) al primo ministro Winston Churchill, suo amico di vecchia data. La missione fallisce.

Recentemente anche il documentario Coco Chanel senza segreti, andato in onda su Sky Arte, ha alimentato il dibattito sul periodo “collaborazionista” della stilista. Cinica opportunista? Spia amorale? O solo una madre disposta a tutto pur di salvare André, spacciato come nipote ma, con ogni probabilità, figlio suo? The New Look racconta il salvataggio in extremis di André dalla fucilazione. Tuttavia, Chanel non si limita a sfruttare le frequentazioni altolocate in funzione della salvezza propria e dei suoi cari.

Coco agisce con spietato calcolo e non si fa scrupoli nel cogliere l’occasione, gentilmente offerta dal capo dei servizi segreti nazisti Walter Schellenberg, di veder applicate le leggi ariane a proprio vantaggio. Pierre e Paul Wertheimer, soci ebrei della Chanel Perfume, il ramo d’azienda che produsse il leggendario n. 5, furono effettivamente estromessi dal possesso delle quote di maggioranza della società. Nel sesto episodio, nel contesto di una festa in Svizzera a guerra finita, una Chanel ormai esule e squattrinata si abbandona a espressioni grondanti di pregiudizi antisemiti (“quelli come voi non sanno fare altro… soldi, soldi… non avete altro nella vita”… )

Il binomio Dior-Chanel significa antagonismo. Il contrasto è esplicito. Da una parte l’amoralità del fine che giustifica i mezzi, dall’altra la speranza resiliente. The New Look perde di vista, almeno a tratti, la doverosa centralità dello stilista originario di Granville, Normandia, nel percorso di rinascita europeo.

Il cast, d’altronde, è stellare. Juliette Binoche è una perfetta Coco. Con le sue movenze mimetiche, la Binoche attrae lo spettatore più di un magnete. L’attore australiano Ben Mendelsohn e l’attrice britannica Maisie Williams, celebre per il suo ruolo di Arya Stark nel Trono di Spade, intrepretano rispettivamente Christian e Catherine Dior. Claes Bang (The Square) e Emily Mortimer (diretta da Woody Allen e Martin Scorsese, tra gli altri) sono due comprimari di lusso. Lucien Lelong, padre nobile dell’alta moda parigina, è intrepretato dal grande John Malkovich.

L’intento di fare di The New Look un prodotto cool è rintracciabile anche nella compilazione della colonna sonora. L’original soundtrack è formata da dieci cover di brani “classici” del repertorio europeo del primo Novecento. Ogni episodio si chiude con una canzone. Qualche nome degli artisti invitati? Lana Del Rey, Perfume Genius, Florence Welch… E se la scelta, nel complesso, può sembrare un po’ furba, basta la voce di Nick Cave, chiamato a interpretare La Vie en rose, a riconciliarci con tutta l’operazione.

Sia per Dior che per Balenciaga (in questa seconda serie interpretato dall’attore portoghese Nuno Lopes) creare equivale a sopravvivere. Creatività contro distruzione: la morale di The New Look e di Cristóbal Balenciaga sta in questa antitesi valoriale, nell’affermazione di un mondo nuovo in opposizione all’orrore e al disfacimento morale. Si consideri un esempio. Per mettere in ginocchio la produzione francese i nazisti in fuga bruciano le riserve di stoffa. Lelang, allora, ha un’idea geniale. Con il poco tessuto rimasto propone di vesteri delle bambole, ossia modelli, da cui far ripartire, nel piccolo, l’intero sistema. Gli scenari della mostra sono affidati a Jean Cocteau e a Christian Bérard.

L’arte aspira all’eternità. E la moda? La moda è fatta di pochi elementi, “il corpo di una donna, una stoffa e l’aria”. Manca qualcosa, maestro Balenciaga? Si, “le cuciture”. Per sostenere il tutto.

Titolo originale: Cristóbal Balenciaga

Numero di episodi: 6

Durata: cinquanta minuti l’uno

Distribuzione: Disney+

Uscita in Italia: 19 gennaio 2024

Genere: Biopic, Drama

________________________________

Titolo originale: The New Look

Numero di episodi: 10

Durata: tra 45 minuti e un’ora minuti l’uno

Distribuzione: AppleTv+

Uscita in Italia: 14 febbraio – 3 aprile 2024

Genere: Biopic, Drama

Consigliato a chi: pensa che l’abito oltre al monaco faccia anche l’hostess.

Sconsigliato a chi: non crede che un cappello possa rappresentare un problema.

Letture e visioni parallele:

  • Un esauriente libro sull’argomento: Sofia Gnoli, Moda. Dalla nascita dell’Haute Couture a oggi, Carocci, 2020.

  • L’artista deve per forza soffrire? Forse no. La creatività può rendere felici? Forse sì: Unhappy di Ronja von Rönne, disponibile sul canale Arte.

  • Raccontare la distruzione e immaginare il futuro attraverso la fotografia, il giornalismo e la letteratura: Tre donne, una guerra di Luzia Schmid, disponibile su Prime Video.

Un segnale: il suono delle campane.

Un gesto: condividere una tavoletta di cioccolato.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.