Il mio amico Robot

Il mio amico Robot ***

Pablo Berger dopo il bellissimo Blancanieves e il più incerto Abracadabra passa all’animazione e si affida al fumettista José Luis Ágreda e all’animatore Benoît Feroumont, per dare forma ad un piccolo grande film su un’amicizia speciale e sul rimpianto per il tempo perduto.

Siamo in una New York in cui campeggiano ancora le Torri Gemelle, nel mese di settembre.

Il solitario Dog, che passa le sue serata davanti alla tv, mangiando cibo surgelato, si decide ad acquistare un robot di compagnia. Quando arriva l’enorme pacco per posta, lo assembla pazientemente e poi scopre quanto la sua vita possa cambiare con un partner che condivida con lui il tempo libero, i pomeriggio al Central Park o le serata sotto il ponte di Brooklyn.

Una mattina i due vanno al mare a Long Island, ma dopo una lunga immersione Robot si risveglia la sera sulla spiaggia immobilizzato dalla ruggine.

Dog non riesce a spostarlo, la spiaggia è ormai chiusa e l’unica possibilità è di tornare a casa e recuperarlo la mattina dopo, con gli attrezzi necessari a sistemare il guasto.

Solo che l’indomani Dog si accorge che quello trascorso era l’ultimo giorno di apertura della spiaggia, il cui accesso rimarrà chiuso sino al maggio successivo. I suoi tentativi di spiegare l’accaduto e di superare le rigidità della guardia giurata che sorveglia la spiaggia si infrangono contro la burocrazia e l’ottusità.

A malincuore Dog è costretto ad abbandonare Robot. La vita dei due si separa per troppi mesi: l’automa è costretto a subire l’ingiuria del tempo e la stupidità di un gruppo di naufraghi che gli amputano una gamba, Dog invece tornerà alla sua solitudine riempita solo occasionalmente dall’incontro con una papera che poi si traferisce a Barcellona.

Nel film di Berger ritroviamo la dolcezza del suo cinema, la sensibilità di raccontare la vita senza orpelli, in un film costruito di immagini semplici, bidimensionali, che richiamano semmai le tavole di Tintin, più che le recenti evoluzioni dell’animazione computerizzata.

Il film è privo di dialoghi, ma non se ne sente mai la necessità, tanto chiari ed espliciti sono i sentimenti in gioco, le intenzioni dei personaggi e il loro mondo interiore, che le immagini e i sogni restituiscono senza bisogno alcuno di parole.

Mano a mano che il film avanza e che la separazione dei due personaggi diventa il cuore del racconto, capiamo quando Berger sia intenzionato a raccontare la storia di un addio, lo smarrimento di chi sembra aver perduto la propria anima affine, il pensiero di quello che avrebbe potuto essere e non è più stato, i percorsi imprevedibili del destino che piegano le volontà e che lasciano rimpianti e ricordi che sbiadiscono nel tempo.

Il film si nutre di altri immaginari cinematografici, a partire dal Mago di Oz, esplicitamente citato un paio di volte, come dei ritmi e delle coreografie del musical classico da Busby Berkeley in avanti, grazie anche ad una colonna sonora curata da Alfonso de Vilallonga in modo da ruotare attorno al classico degli Earth Wind & Fire, September, pieno della gioia della musica soul e disco di quegli anni, ma anche di una nota malinconica che ben si sposa con il destino dei personaggi.

Berger ha poi la capacità di trovare un finale perfetto, in cui l’odissea dei due protagonisti li riporta ad un incontro (im)possibile, subito negato, perché indietro non si torna e non si può sempre aggiustare quello che si è rotto.

Resta la dolcezza dei ricordi felici, ma per Dog e Robot la vita continua, in modo nuovo e con nuovi partner: smettendo di guardare indietro e accettando pienamente gli incontri della vita, forse è possibile trovare una serenità diversa, ma non meno appagante.

Presentato a Cannes nel 2023, premiato con l’EFA per la migliore animazione europea, Il mio amico Robot è stato candidato all’Oscar.

Dal 4 aprile in sala con I Wonder. Da non perdere, anche per i più piccoli.

 

 

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