A Small Light: un racconto delicato e profondo che propone la storia di Anne Frank da un punto di vista originale

A Small Light ***1/2

Nell’ampio filone narrativo del racconto della Shoah, A Small Light si prende uno spazio originale analizzando la vita della famiglia Frank da una prospettiva specifica e cioè quella della segretaria di Otto Frank, Miep (Bel Powley) e del marito Jan (Joe Cole). Sono stati loro a nascondere la famiglia Frank per oltre due anni, portandoli ad un passo dalla salvezza. Miep ci viene presentata come una ragazza viennese adottata da una famiglia olandese e cresciuta quindi ad Amsterdam; una giovane donne piena di vita e di iniziativa che non sembra intenzionata a trovare un lavoro, almeno fino a quando i genitori non la minacciano di costringerla a sposarsi se non trova subito un’occupazione. Finisce così per fare un colloquio con Otto Frank (Liev Schreiber) e convincerlo, con la sua determinazione, di essere la persona giusta per il ruolo di segretaria nella sua azienda di marmellate. Tra Miep e la famiglia Frank si costruisce progressivamente un rapporto di fiducia reciproca e quando le circostanze lo rendono necessario, Otto chiede proprio a Miep di tenerli al sicuro. Cosa che la ragazza fa, nel retro dell’ufficio, supportata da Jan che non solo condivide la sua sensibilità verso i Frank, ma decide di esporsi in prima persona impegnandosi nella resistenza olandese al nazismo.

A Small Light è una serie in otto episodi trasmessa sulla piattaforma streaming Disney+, realizzata da National Geographic e prodotta da ABC Signature. Una produzione sull’olocausto è una sfida impegnativa perché si tratta di uno dei filoni narrativi più percorsi nella storia del cinema e della Tv. Sono davvero innumerevoli le produzioni sul tema, da quelle più didattiche a quelle più personali, dai racconti epici a quelli lirici, con punte di valore assoluto che restano saldamente non solo nella mente degli spettatori, ma anche nella storia del cinema (Schindler’s List, La vita è bella, Il diario di Anna Frank). Affrontare questo tema oggi con una serie televisiva vuol dire necessariamente dare spazio allo specifico del medium e cioè alla capacità immersiva e all’approfondimento dei caratteri. Entrambi aspetti che A Small Light riesce a sviluppare con coerenza ed efficacia. La serie infatti restituisce un quadro credibile della vita quotidiana ad Amsterdam durante l’occupazione tedesca, descrivendo la vita non solo degli ebrei, ma anche dei cittadini olandesi nei suoi aspetti drammatici, ma anche nel loro tentativo di godere comunque di un po’ di evasione. Un concerto, una serata al pub, una camminata lungo i canali sono momenti che rappresentano qualcosa di più di una semplice occasione per staccare la spina, essi ricordano ai protagonisti cos’è la vita e come potrà/dovrà tornare ad essere quando la guerra terminerà. Anche nell’inverno della storia, la natura regala giornate di primavera di accecante bellezza. I caratteri sono sviluppati con grande coerenza e gradualità. Se la storia della piccola Miep, abbandonata dalla madre, a tratti risulta un po’ enfatizzata e rischia di sembrare retorica, contribuisce a spiegare con chiarezza la forza e la determinazione che la muove la donna a non abbandonare i Frank e i loro amici.

La resistenza al nazismo è stata al centro di diverse ricostruzioni filmiche, ma in questo caso emerge più che la resistenza armata quella dei civili, dei tanti impegnati a dare il proprio contributo, rischiando la prigione o la morte. La dignità dei tanti olandesi (lo stesso vale anche per altre nazioni naturalmente) che non hanno voltato la testa dall’altra parte, ma che si sono impegnati direttamente per salvare ebrei o anche solo per alleviarne le sofferenze, è qualcosa di emozionante e di per sé vale la visione della serie. Peraltro la scelta di rappresentare questa forza morale di resistenza civile va di pari passo con quella di non voler traumatizzare lo spettatore con scene di violenza fisica esibita e ostentata, ma piuttosto di lasciare ai margini la violenza per soffermarsi su quella tensione quotidiana, su quell’ansia che avvolge tutto e tutti, gli ebrei come i cittadini olandesi.

 Non è però solo la spinta emotiva a invitare alla visione: il racconto è brillante, specie grazie al personaggio di Miep; le tonalità narrative sono molteplici, ma sempre lontane dal racconto moralistico o storico fine a sé stesso; ci sono momenti comici; ci sono colpi di scena che fino all’ultimo lasciano sperare possa accadere qualcosa, che la storia che conosciamo possa cambiare, anche e solo sul nostro schermo. La fotografia di Stuart Howell e Azul Serra è basata su contrasti intensi tra presente e passato, tra interno ed esterno, tra la quotidianità familiare e la spersonalizzazione burocratica  delle istituzioni. I tre registi, Fogel, Hope e Phelan, pur con diverse peculiarità, riescono a trasmettere un senso di unità formale che esalta nei primi piani le performance degli artisti e nelle riprese in grandangolo il senso collettivo di un momento storico che travalica il singolo e ne mette a nudo la fragilità. I maestri di scena hanno peraltro ricostruito gli interni delle abitazioni di Amsterdam con attenzione e cura per i materiali, il design, i colori: un lavoro prezioso per togliere la vita quotidiana dei civili dai libri di storia e farla rivivere in modo concreto davanti agli occhi dello spettatore.

Gli attori sono non solo immedesimati, ma anche in grande armonia tra loro.  La mimica, il non verbale, la prossemica sono calate perfettamente nelle rispettive parti e contribuiscono ad una descrizione psicologica lontana dai facili stereotipi. Interessante anche la prospettiva psicologica: ci sono passaggi in cui i protagonisti non esitano a mettersi sotto accusa, non solo per quello che avrebbero potuto fare in più, come fa Oscar Schindler nel finale del capolavoro di Spielberg, ma anche sulle motivazioni per cui hanno agito.

Miep/Bel Powley nel finale dell’ultimo episodio dice al marito: “Non sai che ho pensato che dovessero tornare (parla della famiglia Frank) perché questo avrebbe dato un senso alla mia esistenza. Ha senso nella mia testa” e, di fronte alla risposta di Jan, che sintetizza l’importanza del contributo di Miep elencando le piccole cose quotidiane con cui la moglie ha fatto percepire ai Frank il suo amore per ciascuno di loro, lei va alla finestra e si dice preoccupata perché il signor Frank non è ancora tornato dall’ufficio. Un modo per lasciare il discorso sospeso, per dar tempo al dolore di sedimentare, superando proprio quel senso di sconfitta personale che la fine del nazismo non ha lenito. Una scelta narrativa elegante per esprimere la complessità delle motivazioni che stanno alla base delle nostre azioni e per descrivere come le coppie abbiano dovuto affrontare anche all’interno della loro relazione quanto accadeva. C’è un passaggio non banale in cui questo tema viene proiettato anche sulla coppia dei genitori di Anna e sul loro rapporto durante il lockdown forzato nell’appartamento di Amsterdam: un rapporto che ad Anna sembra freddo e senza passione, tutto il contrario dal desiderio di amore che la pervade. Bastano poche pennellate come questa per lasciare nello spettatore il senso struggente di tutta l’intensità di vita che il nazismo ha tolto. A tutti, ebrei e tedeschi, civili e militari: a qualcuno è stata risparmiata la vita, ma tutti hanno dovuto fare i conti con una realtà denaturata, proprio come la desaturazione della fotografia lascia intendere a livello visivo.

Una serie da vedere, non solo per non dimenticare, come si dice spesso, ma anche e soprattutto perché è un prodotto piacevole, intelligente e avvincente.

TITOLO ORIGINALE: A Small Light

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI:  8

DISTRIBUZIONE STREAMING: Disney +

GENERE: Drama History Biography

CONSIGLIATO: a quanti amano le ricostruzioni storiche e non pensano che il racconto di una tragedia debba essere per forza deprimente.

SCONSIGLIATO: a quanti non concordano con le ultime pagine del diario di Anna Frank e con quelle frasi che prendono vita tra le scene della serie: “E’ molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tutt’ora all’intima bontà dell’uomo”.

VISIONI PARALLELE: questa visione spinge a leggere o, nel caso l’aveste già fatto, rileggere il Diario di Anne Frank, magari nella classica edizione di Einaudi arricchita da contributi interessanti sia a livello storico (Frediano Sessi) sia culturale (Natalia Ginzburg).

UN’IMMAGINE: sono tante le immagini iconiche. Jan e Miep decidono di volersi sposare quando sono in un campo di letame, dove Jan sta lavorando. Una situazione surreale che conferisce brio alla dichiarazione d’amore; nello stesso campo Miep ritrova il marito, dopo averlo creduto morto in un’azione della resistenza. Ora però al posto del letame ci sono tulipani, una meravigliosa distesa di tulipani.  E’ la speranza che il bello e il buono riescano se non a trarre dal male nutrimento, come i fiori con il concime, almeno a superarlo proprio come le parole del Diario di Anne hanno superato per potenza e durata le atrocità dei nazisti.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.