Bob Marley – One Love

Bob Marley – One Love *1/2

L’azzeccagarbugli televisivo Reinaldo Marcus Green ha colpito ancora e dopo un fiacco biopic motivazionale sul padre delle sorelle Williams, Una famiglia vincente – King Richard, ci propina un altro fiacco biopic su una delle maggiori icone della musica novecentesca, il giamaicano Bob Marley, morto a 36 anni per un melanoma.

Marley nato a Nine Mile da padre bianco, abbraccia presto la religione Rastafari, un movimento politico e religioso nato negli anni Trenta da una costola del cristianesimo ortodosso e cresciuto nel culto dell’imperatore etiope Hailé Selassié (Ras Tafari), considerato come una seconda incarnazione di Cristo e diretto discendente del Re Salomone e della Regina di Saba.

La musica reggae di Marley e di Peter Tosh contribuisce all’ampia diffusione del movimento rasta verso la fine degli anni ’70, ma il clima politico in Giamaica in quegli anni è caratterizzato da scontri violentissimi tra laburisti e conservatori, sfruttati anche dai criminali locali per inasprire la tensione che sta dilaniando il Paese.

Il film si apre appunto nel dicembre del 1976 quando il tentativo di Marley di pacificare le due fazioni con il concerto Smile Jamaica, viene frustrato da un attentato in cui Bob, la moglie Rita e il manager Don Taylor rimangono feriti.

Marley è costretto a lasciare la Giamaica, trasferendosi in Inghilterra e registrando qui uno dei suoi album più noti, Exodus. Il successo del disco, la crescente estraneità con la moglie Rita e un incidente apparentemente insignificante durante una partita di calcio, segnano invece gli ultimi suoi anni.

Nel 1978 Bob Marley organizza un nuovo concerto politico in Giamaica nel tentativo di arrestare l’ostilità tra i partiti in lotta. I due leader rivali, Michael Manley ed Edward Seaga, questa volta si incontreranno sul palco stringendosi la mano.

Il film di Green è davvero modesto e tutto piegato sulla performance del protagonista, Kingsley Ben-Adir, e sui suoi duelli con la moglie, interpretata da Lashana Lynch.

La dimensione cinematografica del film è del tutto assente, in un biopic anonimo e anodino, che isola un momento specifico nella breve carriera di Marley, ma poi cede alla tentazione del flashback a più riprese costruendo un racconto che nasce vecchio e risaputo.

Anche la sofferta dimensione identitaria e religiosa del protagonista sono oggetto di rappresentazioni stereotipate e simboliche, che restano costantemente in superficie, in quello che sembra un testo “for dummies” sul musicista giamaicano.

Pudico nel mostrare tradimenti e passioni di Marley, probabilmente costretto dall’appoggio dei familiari a dare al suo racconto una dimensione strettamente agiografica, Green è incapace anche di esaltare la musica e di restituire l’energia sciamanica di Marley sul palco.

Quello che rimane è brutto sceneggiato tv, che sarebbe sembrato vecchio persino nella Rai degli anni ’80. Un prodotto pastorizzato, senz’anima, una sigaretta elettronica che sostituisce un po’ umido di vapore al sapore acre della marijuana fumata copiosamente dal protagonista.

Dei dodici figli solo il co-produttore Ziggy si ritaglia uno spazio autonomo.

Non una sola idea di cinema in questo Bob Marley – One Love. 

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