La quinta stagione di Fargo, nuovo capitolo della saga antologica che ha preso spunto dal film dei fratelli Coen del lontano 1996, porta a compimento una piccola operazione culturale. Questi dieci episodi segnano infatti un passaggio. Dopo la deviazione nel Missouri degli anni Cinquanta, Noah Hawley attualizza il discorso nel complicato qui-ed-ora di un’America divisa. Fargo 5 è un’ottima ripresa del filone, nonostante uno stile narrativo un po’ scontato e un finale (con tutti i tratti caratteristici della cinematografia western) a tratti confuso.
In una scuola di Scandia, Minnesota, in un giorno di metà autunno del 2019, esplode il caos. A scatenarlo è la casalinga Dorothy “Dot” Lyon, moglie di Wayne e madre di Scotty. Dorothy viene arrestata e le sue impronte digitali finiscono in un database accessibile alla polizia di tutti gli stati americani. In questo modo Roy Tillman, sceriffo “costituzionale” (ovvero patriota e antigovernativo) del North Dakota, scopre dov’è fuggita la sua seconda moglie, Nadine, ancora sposata con lui almeno sul piano legale. Nadine, ovviamente, è Dorothy. Roy Tillman incarica un primordiale cacciatore di taglie, Ole Munch, di riportarla a casa. Come solitamente accade in Fargo, la violenza riposa sotto la cenere e la guerra invade un’oasi di pace apparente.
Tutti considerano Dorothy una donna innocua e tranquilla. L’imbranato Wayne gestisce una concessionaria di automobili di una nota marca coreana, mentre Scotty è una bambina particolare che preferisce i ninja alle bambole e trova stupide le principesse. È un quadretto familiare da commedia di provincia.
La brutalità dello sceriffo Roy, nemico dei federali e ostile allo “Stato profondo”, ci viene platealmente sbattuta in faccia. Roy è un predicatore, un libertario estremo, un fanatico della Bibbia, uno che si vanta di “aver spezzato diverse donne nella sua vita”. Roy applica la legge a modo suo. Sconcerta soprattutto la meccanicità assassina dello sceriffo, tanto da ricordare l’ineffabile Anton Chigurt di No Country for Old Men, per restare all’interno dell’ecosistema dei Coen. Roy è convinto di poter vantare un diritto assoluto di proprietà nei confronti delle povere consorti. Le prime due sono scappate via: oltre a Nadine, anche Linda, che ha fondato Camp Utopia, un rifugio per donne maltrattate. La terza moglie corrisponde più delle altre ai suoi canoni. Figlia del capo delle milizie neonaziste locali, gli offre simulazioni erotiche su misura (“Stasera chi vuole papino? Un’autostoppista indifesa? Una femminista arrabbiata? Quel governatore cattivo?”)
Soffermiamoci sulla foto di famiglia che, come dice Lorraine, la terribile madre di Wayne, “rispecchia i nostri valori”: i Lyon posano davanti all’albero di Natale imbracciando ciascuno un fucile d’assalto. Lorraine ha fatto fortuna grazie all’indebitamento altrui. La sua società, la Redemption Services, acquista debiti dalle banche e li trasforma in miliardi di dollari. “I nostri offrono soluzioni, piani di rientro… tutto questo per restituire dignità alle persone”. La funzione della polizia, sempre secondo Lorraine, consiste nel “separare quelli che hanno soldi, classe e intelletto da quelli che non ce l’hanno”, i guardiani “stanno fuori dalle mura per evitare che la plebaglia entri”, ma all’interno delle mura “i poliziotti non hanno alcuna funzione”.
Se Roy è l’antisistema, il sistema è rappresentato appunto da Lorraine, che ha saputo distillare la sofferenza delle masse per estrarre forza e potere. La filosofia dell’imprenditrice è chiara: “quelli che si dichiarano vittime sono la rovina del paese”. Rovina e insieme fortuna, almeno per qualcuno. Non è forse un diffuso risentimento paranoico (verso minoranze, immigrati, ispanici, non bianchi, non binari) ad aver favorito Donald Trump nella sua scalata alla Casa Bianca? L’ex Presidente è l’innominato della quinta stagione. Non più democratici o repubblicani, destra o sinistra, progressisti o conservatori: l’America del 2019 è divisa tra vincenti e perdenti. Né può passare inosservato il momento temporale in cui sono ambientate le vicende, a poche settimane dallo tsunami del COVID, vero spartiacque tra il prima e il dopo del complottismo mondiale.
L’incursione nel Galles del sedicesimo secolo, nel terzo episodio, potrebbe sembrare un’interpolazione narrativa forzata. A ben vedere, non si tratta di un salto improprio. Attorno alla figura del sin-eater, letteralmente mangiatore di peccati, Hawley costruisce un immaginifico parallelismo tra il rituale arcaico di purificazione, tipico della campagna gallese e di altre zone rurali d’Europa nell’era premoderna, e la gabbia di ferro del capitalismo contemporaneo, edificata sulla logica dell’accumulo del debito. Il sin-eater, spesso un individuo ai margini della comunità, povero o diseredato, era chiamato a divorare i peccati del defunto per affrancarlo da ogni pena. Il misero baccanale, generalmente, consisteva in croste di pane da ingoiare davanti al cadavere con l’ausilio di un sorso di birra.
La catena della colpa, sembra suggerire Fargo, giunge fino a noi, in altre forme, più sofisticate ma non meno terribili nelle conseguenze. Non esiste peccato senza espiazione e nell’America dei patrioti il motto del buon poliziotto, “proteggere e servire”, cede il passo al triviale “punire e schedare”, ovvero il vangelo della repressione riassunto in due parole da Gator, il figlio complessato di Roy Tillman. Ole Munch è un mostro reale, forse proveniente dal passato, mai morto o rigenerato dalle sue stesse ceneri, ma è anche il fantasma simbolico di un sistema politico ormai prossimo al cortocircuito.
La serie preserva la consueta ironia beffarda. Le maschere utilizzate per l’assalto alla casa dei Wayne sono quelle di Nightmare Before Christmas. L’adunata dei duri d’America, convocati dallo sceriffo Tillman per la difesa patriottica del proprio ranch, è accompagnata dalle note immortali di YMCA dei Village People. Lorraine esprime il massimo del cinismo quando si chiede che senso abbia essere miliardari se non si può ammazzare impunemente nessuno. La storia infelice di Nadine è raccontata attraverso le marionette, in quello che potrebbe essere (anche) un riferimento al mito della caverna di Platone.
È un gioco d’ombre in cui tutto è parvenza. O forse è un sogno. Nadine/Dorothy è mai stata a Camp Utopia? Aperti gli occhi in una tavola calda, esce per strada e in quel momento un autocarro… centra in pieno un’auto che carambola su di lei. Sopravvive all’urto e non è chiaro cosa sia più assurdo, se l’incidente reale o la visione precedente.
A tratti i piani si confondono. Ole Munch porta a guinzaglio il figlio di Roy in un deserto bianco. Poi scompare nel nulla, mentre attorno infuria la battaglia tra l’esercito e le milizie.
Il nonno di Roy uccideva gli indiani. “Faceva parte dei buoni”. Chi sono i buoni in Fargo 5? Certo non Roy, né Lorraine. Ole Munch, poi, è una creatura infernale accostabile ad altre maschere dell’antologia di Fargo, il punto caduta metafisico di un’agonia collettiva. Ci troviamo di fronte a un male diffuso, capillare, mutante. Una malattia si è impadronita dell’America e persone aberranti spuntano ovunque, metastasi di un disagio profondo. Dorothy alias Nadine, la donna in trappola, si merita l’appellativo di “tigre”, assumendo in sé tanto i caratteri della predatrice quanto le stigmate insanguinate della preda. Tornata a casa dopo il tentativo di rapimento e il fallito assedio nella stazione di servizio (un compendio di nera filosofia coeniana, fatta di sangue, fucili, pistole, gambe rotte, teste spaccate e ingenuità spazzate via da uno sparo), si mette a cucinare pancakes a piedi nudi, dialogando affabilmente con il marito Wayne, come se non fosse scomparsa nel nulla per ventiquattro ore.
I buoni, allora, sono identificabili nei poliziotti. Witt Farr è il perspicace state trooper del North Dakota che salva Dorothy dal rapimento per essere poi salvato da lei durante il conflitto a fuoco. Indira Olmstead è il volenteroso vice capo della polizia di Scandia. Tra i due, un afroamericano e una donna di origine indiana, gli autori si soffermano soprattutto sulla seconda. Indira è intelligente e sfortunata. Suo marito passa le giornate giocando a golf…virtuale, lamentandosi di non poter usufruire dei servizi di una “vera” moglie, laddove “vera” è una moglie che capisca i suoi bisogni, inclusi quelli sessuali, parli di ricette con le amiche e non spenda tutto il suo tempo lavorando fuori casa. La serie, ovviamente, bersaglia la subcultura reazionaria. Indira ha anche una montagna di debiti (ultimo acquisto inutile, una costosissima batteria). Grazie alle indagini su Dorothy, scopre l’identità della donna che la tiene al guinzaglio. Lorraine, si ricordi, è la suocera della “tigre”.
“Ho scalato sei gironi dell’inferno per arrivare fin qui e nessuna strafottente da Ivy League può scaricarmi solo perché non gradisce il mio odore”. Il confronto tra Dorothy e Lorraine è un duello di bravura tra le due attrici che interpretano i rispettivi personaggi, Juno Temple e Jennifer Jason Leigh. Fantastica, quest’ultima, nel dare spessore a una jena dell’era trumpiana (Lorraine finanzia il Presidente benché lo reputi un idiota dai capelli arancioni), perfettamente ritagliata in una silhouette di puro orrore antropologico. Magistrale la scena del pranzo con i due banchieri, costretti a vendere per non incappare nella peggiore delle punizioni. Nel capitalismo l’abisso più profondo è sempre la povertà… D’altronde, chi altro può vantare sei governatori tra le chiamate rapide del cellulare e un contatto stretto alla Federal Trade Commission?
Juno Temple, britannica, sembra aver lungamente atteso il ruolo di Dorothy Lyon per l’intensità infusa nel suo personaggio. Minuta ed espressiva, Temple ha saputo esprimere il furore di chi non ha nulla da perdere, la rabbia che deriva da anni di vessazioni e ingiustizie subite. Dot vuole essere libera dal passato, dalla violenza, dalla prepotenza degli uomini. La sua fuga dal regno incantato dello sceriffo Tillman è scandalosa, e altrettanto scandalosa, nel senso etimologico del termine (ostacolo, in questo caso, alla composizione di un mondo rigidamente binario) è l’indefinita personalità sessuale della figlia Scotty. “Gesù era un uomo e non una specie di donna barbuta”, sono le prime battute pronunciate da Roy in questa stagione. La ferrea tradizione opposta al caos della vita. Eppure, è proprio il tentativo di ricreare un presunto ordine naturale a scatenare il disordine. Gli eventi del mondo nuovo generano disorientamento e spingono verso un ancoraggio mitico, nel caso di Roy la promessa di eterna fedeltà matrimoniale infranta da Nadine.
Roy che picchia le mogli quando dicono qualcosa di impertinente. Roy che si è impossessato con la forza di Nadine ancora adolescente. Roy che amministra il suo territorio senza curarsi “del giusto e dello sbagliato”. Dobbiamo a Jon Hamm un’interpretazione mai sopra le righe di un uomo che, al contrario, si situa sempre oltre la linea della moralità e della legalità, un apostolo dello stato d’eccezione trumpiano, un concentrato di misoginia, ignoranza e razzismo. “Andate e vivete, restate e morite, a voi la scelta”, dice ai rappresentanti di una Repubblica corrotta, meticcia e socialista. “Ti farò stancare come un cavallo che sente il morso la prima volta”, dice a Nadine/Dorothy, catturata e rinchiusa in un capanno. Hawley disegna, con Roy e attorno a Roy, la costellazione di valori dell’alt-right americana, salita al potere pur restando all’opposizione del deep state di Hollywood, dei banchieri e dei miliardari democratici alla Soros.
Non meno significative sono le interpretazioni di Richa Moorjani (Indira), Lamorne Morris (Witt), David Ryshdahl (Wayne), Joe Keery (Gator), Dave Foley (Danish Graves, l’avvocato di Lorraine con l’occhio bendato) e, last but not least, Sam Spruell (Ole Munch). A lui, misterioso criminale peraltro di pochissime parole perché le ha esaurite, si può attribuire la miglior conclusione possibile, una frase pronunciata davanti a Roy che riassume il nichilismo sulfureo di Fargo, tassello della cultura cinematografica e seriale contemporanea: “quando un uomo scava una tomba la deve riempire, altrimenti è soltanto un buco”. Nella tomba ci finiscono le vittime ed è per loro, ancora una volta, che la storia è stata fedelmente riportata.
Titolo originale: Fargo – Season 5
Numero di episodi: 10
Durata: 45 – 60 minuti ciascuno
Distribuzione: Sky Atlantic
Uscita in Italia: 21 novembre 2023 – 16 gennaio 2024
Genere: Crime drama, Black comedy, Anthology
Consigliato a chi: sa cos’è un nome di transizione, è versato nella preparazione dei biscotti, pensa che la tranquillità non abbia prezzo.
Sconsigliato a chi: ha trovato una sorpresa nell’armadio, è convinto di avere una casa a prova di ladro, dubita dell’esistenza di un proprio clone sulla faccia della terra.
Visioni e letture parallele:
-
American Insurrection (2021) è un documentario del pluripremiato filmmaker Richard Rowley, disponibile al link https://www.pbs.org/wgbh/frontline/documentary/american-insurrection/
-
Libertà (Einaudi, 2011) è il quarto romanzo di Jonathan Franzen, ambientato in Minnesota.
-
Voglia di freddo e ghiaccio? Leggete Dentro l’inverno di Peter Geye (Einaudi, 2017).
Un concetto: la purezza.
Un simbolo: la vasca da bagno.

