Siamo nel 2046 e un meteorite ha compromesso l’abitabilità del nostro pianeta, costringendo molte persone a prendere la via dello spazio nella speranza di un futuro migliore. La famiglia Robinson fa parte del 24esimo gruppo di colonizzatori ed è diretta sul sistema di Alpha Centauri dove l’umanità spera di poter creare una nuova civiltà in grado di sopravvivere alla crisi che attanaglia la Terra. John (Toby Stephens già Black Sails), militare specializzato in missioni pericolose è sposato con Maureen (Molly Parker già House of Cards), brillante ingegnere, nonché pilota spaziale, nonché madre con i nervi d’acciaio. La famiglia Robinson è composta da tre figli: Judy (Taylor Russell), la maggiore, medico coraggioso e competente, nata da una precedente relazione di Maureen con l’astronauta Grant Kelly (Russell Hornsby), Penny (Mina Sundwall) introversa e creativa, con un forte senso di inferiorità verso la madre e la sorella maggiore e infine Will (Maxwell Jenkins), un ragazzino di 11 anni sensibile e maturo. Il più piccolo dei Robinson è stato peraltro incluso nella missione solo grazie all’intervento della madre, dato che non era riuscito a superare i rigidi test attitudinali. Durante il tragitto verso Alpha Centauri però la Resolute, l’astronave che trasporta i coloni, viene attaccata da un robot alieno e i colonizzatori scappano a bordo di piccole navi familiari, le Jupiter. Per i Robinson è solo l’inizio di una serie di disavventure che metteranno a dura prova la loro unione e la loro resistenza. Come spesso accade nella vita le difficoltà portano dei cambiamenti e così assistiamo ad un vero e proprio processo di maturazione e di definizione identitaria che riguarda i singoli, così come la famiglia che, con il passare degli episodi si allarga progressivamente. Entrano infatti nella sfera d’influenza dei Robinson due outsiders: il meccanico/contrabbandiere dal cuore d’oro Don West (Ignacio Serricchio) e la sfuggente psicologa Dr.sa Smith (Parker Posey), entrambi incontrati fortuitamente dopo il naufragio interstellare. Will riesce poi a stabilire un contatto con un robot alieno che si rivelerà non solo un prezioso compagno contro l’attacco di altri esemplari della sua stirpe, ma diventerà un membro della famiglia a tutti gli effetti. Sebbene il rapporto con la Smith e il robot non sia dei più lineari, i due sono accolti e integrati all’interno del gruppo e contribuiscono in misura rilevante, nel corso delle tre stagioni, a risolvere situazioni alquanto spinose.
La serie è il remake di una celebre produzione degli anni ’60 del secolo scorso, creata e prodotta da Irwin Allen e andata in onda tra il 1965 e il 1968 sulla CBS. Proprio come nella versione rilasciata da Netflix, la serie originale seguiva le avventure della famiglia Robinson, colonizzatori spaziali alla deriva tra pianeti sconosciuti, secondo il modello del celebre libro di Stevenson e di The Swiss Family Robinson, un testo del 1812 di Johann David Wyss. Le analogie peraltro non finiscono qui, dato che entrambe le produzioni si sono protratte per tre stagioni, sebbene con un numero di episodi molto diverso (84 contro 28).
Il tema principale di questa serie è chiaramente l’importanza della famiglia. La famiglia viene descritta in tutte le sue sfaccettature, analizzata e scandagliata nel rapporto genitori-figli, ma anche nel rapporto tra marito e moglie e tra fratelli e sorelle, spingendosi fino all’analisi della famiglia allargata, quando compare sulla scena il famoso astronauta Grant Kelly, già compagno di Maureen e padre di Julie, inizialmente creduto morto. Tra un’avventura e l’altra, scavando con flashback anche nel loro passato, il racconto descrive ciascuno dei membri della famiglia Robinson, singolarmente ricchi di talenti e insieme dotati di una capacità di problem solving davvero eccezionale. E’ difficile immaginare un quadro più completo delle dinamiche che si possono instaurare all’interno di una famiglia: nel periodo in cui tra la seconda e la terza stagione i ragazzi sono lontani, assistiamo anche all’elaborazione del lutto e di come questo possa compromettere il rapporto tra marito e moglie. La famiglia Robinson ci appare come rassicurante, protettiva e inclusiva, capace di esercitare una leadership positiva sulle decisioni della comunità, specie nei momenti di crisi. E’ una famiglia aperta al mondo, in grado di includere altre figure che non vengono cooptate nel gruppo per vincoli di sangue, ma piuttosto per un legame affettivo: è il caso di Dan e del robot. Più complessa la situazione della Wilson che, rispetto al perimetro della famiglia, compie diversi passaggi in-out, pur restando nello spettro di attrazione dei Robinson.
Soffermandoci sulla dimensione collettiva, emerge che non è la struttura sociale a salvare la famiglia, ma il contrario. I Robinson non solo risolvono praticamente da soli svariate emergenze, ma si contrappongono, con la loro apertura alla chiusura e all’egoismo del gruppo dirigente, della politica. Fa poca differenza che a capo della nave spaziale Resolute o della colonia di Alpha Centauri ci siano delle donne, che siano di una razza o di un’altra: l’esercizio del potere sembra incompatibile con la capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo. I Robinson trasmettono quei valori di inclusione (ad esempio verso il robot) che mancano alla società. Là dove la collettività appare debole e divisa, in ogni caso poco propensa a collaborare, sulla Terra come nella nuova colonia, è l’unità della famiglia ad apparire come determinante per il successo della missione. Una famiglia in cui non ci sono gerarchie immutabili, ma piena fiducia l’uno nell’altro, a prescindere dall’età: è questa peraltro una forma di risposta alla crisi delle figure genitoriali e, più in generale, dell’autorità che abbiamo descritto in tante serie degli ultimi anni.
Il mondo in cui vivono i Robinson è certamente un riflesso del nostro quotidiano trovarci sospesi tra inquinamento, violenza, riscaldamento climatico, oligarchie al potere e fragilità di vario tipo. Lost in Space riassume i dubbi e le paure dell’uomo contemporaneo, in primis quelle ambientali, e cerca di superarle partendo dal nucleo familiare. La risposta alla crisi climatica non può certamente venire solo dalle famiglie, ma la produzione di Zack Edtrin sembra suggerire che non è vero nemmeno il contrario e che non è scaricando tutte le responsabilità fuori dal nucleo familiare che si risolvono i problemi, anzi …
Qualcuno potrebbe del resto obiettare che si tratta di una famiglia di privilegiati, benestante, tutti con QI altissimi, dotati di una tempra fuori dal comune e anche di una buona dose di fortuna .. e pure in questa famiglia, apparentemente perfetta, non mancano gli scheletri nell’armadio (Il modo illegale in cui Maureen ha assicurato a Will un posto nella spedizione o il passato di John in guerra). Ebbene, per quanto l’obiezione sia pertinente, dobbiamo ricordare che il vero valore aggiunto della famiglia Robinson non risiede nelle capacità del singolo, ma piuttosto nel gioco di squadra, nel rispetto reciproco, nell’aiutarsi vicendevolmente. Valori desueti e poco pubblicizzati, ma che possono cambiare il volto di una società.
Viene da chiedersi se questa prospettiva, applicata alla famiglia o alla società, non sia fuori dal tempo. Per una volta però possiamo dire che interrogarsi è già un successo, un primo passo verso qualcosa di diverso. Intanto godiamoci le avventure picaresche e adrenaliniche dei Robinson, mettendo da parte le pretese di verosimiglianza e precisione scientifica. La prospettiva migliore per godersi la visione – e anche per questo riteniamo che sia particolarmente adatta la periodo delle festività natalizie – è adottare il punto di vista di un giovane pre-adolescente appassionato di sci-fi e di avventure. La stessa prospettiva che ha guidato Christopher Lennertz nella realizzazione della colonna sonora, una delle cose più riuscite. Lennertz ha creato una melodia carica di emozione, che dà spazio alla performance orchestrale, in cui emergono ottoni e archi. Per una storia carica di coraggio e azione, con molti momenti eroici, era del resto una scelta naturale puntare su di una musica coinvolgente ed avvolgente, mantenendosi nel solco del tema originale, realizzato da John Williams, per lo show del 1965.
Dal punto di vista tecnico non manca qualche passaggio a vuoto, sia rispetto alla verosimiglianza (sia narrativa che scientifica) che alla frequenza delle situazioni disastrose in cui si trovano coinvolti i Robinson. In generale è la scrittura ad apparire troppo telecomandata, sia nell’esito delle avventure, sempre sostanzialmente positivo, sia nella descrizione dei personaggi, i cui archi narrativi risultano abbastanza prevedibili. L’effetto destabilizzante della Dr.sa Smith (e per qualche puntata della seconda stagione, di Ben Adler) è troppo timido per risultare efficace.
La serie punta tutto sull’avventura, sul fascino di mondi lontani, sul brivido dello spazio profondo e ignoto. Non ci sono parolacce, espressioni volgari e nemmeno scene di nudo o di sesso: è tutto a misura di famiglia, come in un romanzo di formazione per giovani adulti.
E, proprio come in molti libri letti da adolescenti, il bello sta nel viaggio più che nel giungere alla meta.
TITOLO ORIGINALE: Lost In Space
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 28
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Adventure Sci-fi Space Mystery
CONSIGLIATO: a quanti hanno un’anima semplice e avventurosa e guardando un cielo stellato sentono un richiamo intenso.
SCONSIGLIATO: a chi cerca un godimento intellettuale, qualcosa di nuovo e caratteri complessi: qui è tutto molto semplice, quasi basico perfino.
VISIONI PARALLELE: con un po’ di tempo a disposizione il riferimento è obbligato: Lost in Space del 1965, 84 episodi che sono un piccolo cult per gli appassionati del genere Sci-Fi. Volendo, c’è anche un film del 1998 che, nonostante un cast di tutto rispetto con William Hurt, Gary Oldman e Matt LeBlanc (Friends) non ha riscosso grande successo.
UN’IMMAGINE: la sigla racconta il rapporto tra le famiglie americane e lo spazio attraverso i decenni, a partire dagli anni ‘60 per giungere fino alla missione della Resolute, intorno agli anni ’50 del XXI secolo, unendo immagini di repertorio e foto del cast. Fin dalla sigla è insomma chiaro quali sono le polarità del racconto: famiglia e spazio.

