Cassandro

Cassandro **1/2

Dopo il debutto al Sundance a gennaio, arriva su Amazonil primo film del documentarista premio Oscar Roger Ross Williams (Music For Prudence, Life Animated, Love to Love You), sulla vita del wrestler Saúl Armendáriz, a cui già aveva dedicato il corto The Man Without a Mask.

Nel Texas della fine degli anni ’80 Saúl è un ragazzino biondo che vive a El Paso con la madre e la sera attraversa la frontiera combattendo la lucha libre su ring scalcagnati con la maschera di El Topo.

Destinato a prevedibili sconfitte contro il beniamino locale, le cose cambiano radicalmente quando incontra Sabrina, una wrestler a sua volta, che decide di allenarlo e lo convince a diventare un exotico, ovvero un luchador vestito da drag queen e apertamente omosessuale.

Di solito gli exotico erano lottatori perdenti, ma le cose cambiano con Saúl che prende il nome di Cassandro, da una nota telenovela e conquista il favore del pubblico.

Anche grazie all’organizzatore Lorenzo, il suo nome scala le gerarchie della lucha libre, fino ad arrivare a Mexico City, dove incontrerà il leggendario El Hijo del Santo.

Nel suo percorso di affermazione personale e come luchador, sulle spalle di Saúl pesa l’assenza del padre, che non ha mai accettato la sua omosessualità e che non vede da molti anni.

Il film di Williams è un bel ritratto queer di un personaggio fuori scala: immerso in una dimensione melodrammatica, che il tono leggero del film cerca di stemperare continuamente, Cassandro è film di libertà, che cerca di evitare il santino del suo antieroe, ma che certamente ne è affascinato e sedotto.

Saúl è realmente un personaggio sfaccettato, tenerissimo nel suo rapporto con la madre, determinato quando decide di fare sul serio col wrestling, timido e impacciato nei suoi rapporti personali, incapace di superare la vergogna del padre eppure esempio per molti altri ragazzi.

Gael García Bernal è formidabile nel regalargli innocenza e stupore nella vita privata, estro e carisma sul ring, in una performance anche molto fisica, che trascende il suo aspetto minuto.

Il film di Williams usa quasi sempre focali corte e un formato stretto che esalta la singolarità e la centralità del personaggio, rispetto al suo mondo.

Immerso nella musica disco della fine degli anni ’70 e nel mondo coloratissimo dei luchador, come nella luce calda della frontiera di El Paso, il film è esattamente come ce lo saremmo aspettato: generoso, esemplare, compassionevole.

Un feel good movie che funziona perfettamente, raccontando ancora una volta la storia di chi trova tra le corde il riscatto di una vita ai margini.

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