Per la nobile Luise la strada del matrimonio sembra l’unica praticabile. Siamo in Germania, nel pieno dell’era guglielmina (1890 – 1918). Per una donna dell’epoca, indipendentemente dalla classe di appartenenza, è comunque la scelta più semplice e scontata.
Tuttavia, c’è un piccolo inconveniente. A Luise, figlia del barone von Kummerveldt, non interessa affatto sposarsi. Superfluo sottolineare che l’unione con il ricco conte di turno, come da prassi, è combinata. Luise preferisce la scrittura, la pagina, la poesia. Mela, forchetta, zoccolo è il titolo del libro che desidera pubblicare. Di colpo, suo padre muore. Da quel momento le redini di famiglia passano al fratello Veit, di ritorno dalla scuola ufficiali, rigido militare infatuato del Kaiser Guglielmo. La fase storica, caratterizzata da un nazionalismo esasperato ed esasperante, condurrà a breve l’Europa nel vicolo cieco della Grande Guerra.
Casa Kummerveldt è una miniserie in soli sei episodi distribuita dal canale franco-tedesco ARTE e pertanto visibile gratuitamente, in lingua originale con sottotitoli in italiano. Brevissima, cruda e condensata, la miniserie ZDF è molto simile a… un disco punk-rock. Accostamento all’apparenza strambo, ma, assicuriamo, tutt’altro che improprio. Il fulmineo intro degli episodi, ovvero una natura morta attaccata da nugoli di moscerini famelici e in progressiva putrefazione, con tanto di accompagnamento musicale indie (il brano Disastrous Mistress del duo berlinese City at Dark), è un biglietto da visita, già di suo, indicativo della direzione intrapresa da Mark Lorei e Cècil Joyce Röski, rispettivamente showrunner/regista e sceneggiatrice.
D’altronde, non si potrebbe immaginare gesto più performativo, da vera rockstar, di voltare le spalle a un destino che altri vorrebbero già scritto, gettandosi… da una finestra (per fortuna il salto di Luise finisce nelle acque di un placido laghetto). Ribelle, irriverente e sfrontata, Luise è molto diversa da suo fratello Veit, il quale afferma con orgoglio di aver imparato, oltre all’ordine e alla disciplina, anche l’umiliazione. Nessuno, però, ha l’esclusiva su certe materie. Luise può vantare elevate letture, ad esempio le opere censurate del marchese De Sade. Inevitabilmente, scoppia la guerra. Non ancora quella mondiale, bensì quella in famiglia. Veit le requisisce lo studio, i libri, la possibilità di essere una scrittrice.
La villa presenta un condensato di bizzarra umanità. Innanzitutto, la servitù. Hermann-Josef, il maggiordomo, è quasi un personaggio da commedia dell’assurdo. Quando il neo-barone Veit, spaventato dagli atteggiamenti ostili di Luise, gli chiede da quanto sua sorella non esca dalla camera, l’ineffabile Hermann-Josef risponde “ieri, o forse l’altro ieri, non ricordo, qui i giorni sono tutti uguali”. Poi la madre, ormai vedova: la signora Racket, matrona inflessibile, dispensa insegnamenti morali sul pericolo di non rialzarsi più da eventuali “cadute” (leggi tentazioni sessuali, un tranello, ovviamente, teso alle signorine di cui sono colpevoli le signorine stesse con i loro atteggiamenti). Le stanze ospitano anche una presenza concreta e benevola, benché si tratti di un fantasma.
Ida, la sorella di Luise e Veit morta prematuramente, appare a entrambi. Invenzione magistrale: Ida non è la stessa persona, ma è, a seconda di chi la evochi, nobildonna compunta o ragazza semplice, alleata delle politiche di oppressione o simpatetica confidente degli atti di ribellione. Ida è una forma di coscienza, un riflesso dei personali egoismi, convinzioni e ambizioni. “Devi sentire le forti radici della Nazione come una spina dorsale sotto il tuo corpo”, dice a Veit.
Casa Kummerveldt è una satira del maschilismo e del classismo, una favola rockeggiante che sprizza humour nero da tutti i pori. Il bersaglio è l’ideologia militarista che fa da perno culturale alle logiche del patriarcato. Il ritratto del Kaiser, così “macho”, stimola desideri repressi in Veit. Per compleanno Luise regala al fratello un enorme coniglio bianco chiamato Wilhelm, nonostante la bestiolina… sia femmina. Nella tragedia di Ida ha una parte il famoso elmo prussiano che termina con un chiodo (Pickelhaube). E se qualcuno ha il sospetto che gli uomini bassi sviluppino per compensazione ossessive tendenze di seduzione verso l’altro sesso, allora la statura di Veit, a confronto con le inarrivabili altezze della gigantesca cameriera Berta, costituisce un ottimo spunto di riflessione.
I flashback ci riportano indietro all’infanzia dei tre fratelli, quando si mettevano alla prova con i giochetti. Vincere significava fare un passo avanti verso l’umanazione. Questa assunzione della natura umana (un termine teologico) avveniva solo attraverso il sacrificio. È la crudeltà a plasmare le anime prussiane. Ci si potrebbe spingere oltre e vedere nella negazione dell’altro l’unico modo per affermare sé stessi. L’altro può essere una creatura senziente, ad esempio un animale (l’episodio dell’anatroccolo è roba truce che avrebbe potuto escogitare Lars von Trier). Un animale, già, oppure un uomo, una donna, una sorella.
In questo senso l’evento del duello, provocato da Veit e richiesto da Luise, è centrale nel racconto. Luise ha appena ricevuto una lettera dalla casa editrice. Il suo romanzo poetico è stato rifiutato. Fräulein von Kummerveldt, vi ringraziamo del ‘manoscritto’. Dovreste cercarvi un marito con mano ferma e giusta, che vi renda una moglie rispettabile e vi impedisca di diventare una vacca frustrata che scrive. È Veit a leggere la lettera, alla presenza del dottor Büchner (lo presenteremo dopo) e del solito maggiordomo. Veit rincara la dose, colpisce e offende. “C’è odore di fieno? C’è proprio odore di fieno, non trovate anche voi? Ma non mi stupisce, c’è pur sempre una vacca tra noi”.
L’onore è un valore centrale nelle società fortemente patriarcali e gerarchizzate. Ma che una donna agisca per la difesa del proprio onore è una sovversione. Anzi, la sovversione dei codici per eccellenza. Soprattutto se l’antagonista è il fratello, in questo caso tutore e pater familias acquisito. Così, la sera prima del duello, Luise fa recapitare a Veit gli abiti che dovrà indossare all’alba: un corsetto da donna e una maschera da leone. Lei si vestirà, al contrario, da uomo e si presenterà nel bosco con una maschera da ariete. Al momento di sparare, le intenzioni di Veit (si ricordi la negazione anche fisica dell’altro come presupposto dell’affermazione di sé stessi e della propria costellazione di valori) vengono allo scoperto.
Il parallelo tra uomini e animali è una costante. “La donna assomiglia a un bizzarro e delicato animale domestico, che deve essere curato, protetto e accudito”, dice Veit con il famoso coniglio, pardon coniglia, bianco in braccio durante la sua surreale festa di compleanno. Il concetto viene esplicitato con massima chiarezza dallo stesso ufficiale. La cultura deve rendere giustizia alla natura. Traduzione, la natura (quale, verrebbe da chiedersi) è una costante immutabile, da cui discendono, senza mediazioni, le norme sociali. Ciò che condividono tutte le società è che nell’uomo inizia la vita della donna e nell’uomo si conclude. Particolare interessante: Veit è imbeccato… da una donna, Adalind Knecht, la convenzionale sorella di un commilitone “ornitologo” (ancora la sfera animale che si inframmezza nella storia).
Al momento delle presentazioni, Adalind precisa a Luise di essersi trasferita nella provincia da Berlino con una sosta intermedia a Londra. Eredità del soggiorno nella capitale inglese, un bagaglio di espressioni e parole puramente decorative, very pleased to meet you… how thoughtful… true words… Se a questo aggiungiamo il menù alla francese, con tanto di schermo nei confronti della povera cameriera incapace di pronunciare correttamente foie gras e crème de Bouzy, abbiamo un altro esempio di quadretto satirico, in cui il nazionalismo politico esasperato è fatto cozzare contro le mode culturali cosmopolite delle medesime élite al potere. Da lì a poco, la Germania imperiale sarebbe entrata in guerra proprio contro Francia e Inghilterra.
Il tenero dottor Büchner, lettore di Sherlock Holmes e convinto assertore del romanticismo dei fiori di campo, rappresenta il volto buono e neutrale della scienza. Nessuno più di un medico legale è costretto a riconoscere che un corpo è null’altro che un corpo. È lui a curare Luise dopo la volontaria… defenestrazione. Inevitabilmente, se ne innamora. Tuttavia, la modernità del dottor Büchner si infrange davanti alle consuetudini dell’amore borghese. Quando ci si rammarica delle occasioni perdute si fa riferimento alla bellezza, per una donna, e alle capacità individuali, per un uomo. “È così?”, chiede Luise. “È così”, risponde il dottor Büchner.
Casa Kummerveldt, ribadiamolo, è un’operetta militante in salsa rock, un manifesto femminista sotto le mentite spoglie del film in costume. Il montaggio serrato, l’abbondanza di musica tosta e l’uso di split screen avvicinano la serie a un videoclip d’antan. La sequenza onirica post-visita a domicilio, favorita dalla dipendenza di Luise da una misteriosa boccetta, ben riassume l’estetica della serie.
Si aggiunga che il manoscritto di Luise è rifiutato una seconda volta, pur inviato sotto pseudonimo maschile. Perché? Semplice, il racconto, pur pregevole stilisticamente, difetta di verità. Gli editori consigliano l’aspirante autore, cioè l’anonima autrice, di rifarsi alla letteratura più avanzata in termini di ricerca sociale, in particolare alle opere di Marx e Hauptmann. “Come fare esperienza se mi è preclusa ogni esperienza?”, si domanda Luise, che non può più avere accesso alla biblioteca di famiglia. Il “naturalismo” deve essere reperito in casa. Quale migliore occasione di interrogare la cameriera sulla sua routine lavorativa di ogni giorno? Tuttavia, le analisi marxiane stentano a farsi strada. Bertha, pur declassata dal barone a “non-persona” (perfino il suo nome di battesimo è messo in discussione) non avverte in sé un chiaro istinto proletario. Intanto, Hermann-Josef sottrae gli opuscoli socialisti ricevuti dal postino.
Milena Straube, Marcel Becker-Neu, Leonie Rainer, Rosa Lembeck, Wolf Danny Homann e Fabian Nolte compongono un ottimo cast, giovane e screanzato. Il punto di forza di Casa Kummerveldt è rappresentato però dai testi, di ottima fattura letteraria. Sono i pensieri di Luise, fissati sulla carta, vergati nella mente, a fluire. Il barone. Il barone è un uomo. È un soldato, un soldato del Kaiser, un servitore della Germania. Un signore forte e audace e libero come un ciclone. Egli ama la sua posizione, la sua famiglia e il suo onore. Dall’esterno il barone sembra indipendente e duro di cuore, ma dentro il barone ha il cuore di un animale dal sangue caldo. Il barone talvolta piange da quanto calore prova, ma soltanto dopo mezzanotte, perché nessuno possa vederlo. L’uomo. Il soldato. Il signore con posizione e onore.
Ogni episodio si apre con lo stesso incipit: Irgendwann in Deutschland / Un giorno, in Germania. Un giorno qualunque nella vita di una donna, forse ieri, più probabilmente oggi.
Titolo originale: Haus Kummerveldt
Numero di episodi: 6
Durata: 20 minuti l’uno
Distribuzione: ARTE
Uscita in Italia: 10 luglio 2023
Genere: Historical Drama, Dark Comedy
Consigliato a chi: conosce la funzione degli zoccoli di legno, ama stendersi sul pavimento, vorrebbe vedere da vicino il cuore delle persone.
Sconsigliato a chi: ha una paura matta dei temporali, lacrima se ascolta Schubert, non ha avuto il coraggio di tirare una torta in faccia.
Letture e visioni parallele:
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Il capolavoro di Gerhart Hauptmann, I tessitori, pubblicato in Italia da Edizioni Clandestine (2019);
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Un film sull’onore come regola indistruttibile dei sistemi patriarcali, fino alle estreme conseguenze: A regular woman di Sherry Hormann (2019), disponibile su Mubi.
Una parola: pigolio.
Una domanda: il mondo è pronto per una donna in bicicletta?

