Daaaaaali!

Daaaaaali! **1/2

Il solito divertentissimo Quentin Dupieux porta a Venezia 80 il suo dodicesimo lungometraggio, dedicato all’icona Salvador Dalì.

Surrealista contro surrealista, il duo film è un gioco di specchi e rifrazioni, un gioco di possibilità e incroci, che cerca di raccontare con infine deviazioni, il tentativo di una giornalista francese di intervistare il Maestro, prima per una rivista e poi, constatato il suo rifiuto, per un film da mostrare nelle sale.

L’artista è vanesio, irascibile e parla in terza persona, la giornalista modesta, dimessa ma insistente. Qualcosa accadrà, tra il sogno interminabile di un curato di campagna, un’intervista in cui l’intervistato diventa intervistatore, e le continue apparizioni di un cowboy armato di winchester.

Dupieux moltiplica gli schermi, gioca al film dentro al film, al sogno nel sogno e si fa beffe di qualsiasi razionalità e racconto: vuole un Dalì molteplice e unico, facendolo interpretare a cinque diversi attori, Gilles Lellouche, Édouard Baer, Jonathan Cohen, Pio Marmaï, Didier Flamand, ciascuno diverso eppure uguale, accentuando l’istrionismo inarrivabile dell’originale.

Il film è uno spasso, un esercizio di stile e di retorica, che si chiude con una teoria interminabile di finali, per accontentare il tirannico protagonista.

Rotte tutte le convenzioni drammatiche, Dupieux fa un film pienamente surrealista, che dal subconscio genera immagini, suggestioni, accostamenti, figli di una immaginazione libera di esprimersi e senza alcun limite.

Nulla di rivoluzionario, ovviamente, e nulla che non sia già stato fatto cento anni fa. Tuttavia il suo film è liberatorio, irriverente, anticonvenzionale.  Un piccolo sogno di 77 minuti.

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