Venezia 2023. Origin

Origin *

Il nuovo film di Ava DuVernay nasce dal libro Caste: The Origins of Our Discontents scritto dal premio Pulitzer Isabel Wilkerson nel 2020 e diventato sorprendentemente un best-seller negli Stati Uniti.

Origin tuttavia è un lavoro completamente sbagliato, confuso, ideologicamente debole e che si muove in un terreno complesso con una superficialità che è pari alla prosopopea della sua autrice.

Invece di costruire un documentario informato sul lavoro della Wilkerson, DuVernay invece ne fa la protagonista di una storia che rende conto delle sue ricerche per il libro, accanto alla ricostruzione drammatica di alcuni eventi storici, che vorrebbero essere esemplari, per rappresentare la tesi del saggio.

C’è poi una parte melò tutta familiare, con la morte del marito, della madre e della cugina dell’autrice, nel periodo in cui lavora al suo libro.

Il film si apre però con un altro evento, l’omicidio avvenuto a Miami nel 2012 di Trayvon Martin, un ragazzo nero che aveva avuto la sola colpa di attraversare di notte un quartiere bianco. Un editore vorrebbe che Isabel scrivesse un articolo sull’accaduto. La scrittrice si ritrae e poi si nega, in modo francamente incomprensibile. Nel frattempo muore il marito e dopo poco anche la madre.

Decide così di scrivere un libro nel quale dimostrare il filo sottile che lega la segregazione razziale negli Stati Uniti e poi le leggi Jim Crow, con la persecuzione degli ebrei nella Germania nazista e con il sistema delle caste su cui è costruita la società indiana, ancora oggi.

Qualcuno in Germania timidamente le fa capire che buttare tutto nel calderone, senza considerare la diversità dei contesti e l’aspetto economico della tratta dei neri e della schiavitù che ha infestato per quasi 250 anni la storia americana, confondendola con la soluzione finale e la Shoah è un errore di prospettiva piuttosto evidente.

Imperturbabile, Isabel persevera nella sua tesi e si mette in viaggio verso l’India dove le raccontano la storia del Dott.Ambedkar, padre costituente, ma appartenente ai dalit, gli intoccabili, l’ultima delle caste.

DuVernay sposa pienamente il punto di vista della scrittrice e con l’entusiasmo nello studente neofita che immagina di aver capito ogni cosa dopo aver letto un solo libro, si butta a capofitto e lancia in resta nella temperie, con tutta la forza che il cinema può avere.

Origin è un pasticcio da ogni punto di vista: discutibile dal punto di vista filosofico e sociale, si muove come un elefante in una cristalleria dal punto di vista cinematografico, perennemente indeciso sulla direzione da prendere e prendendo sempre quella sbagliata. Pur avendo elementi comuni a molti generi, non è un vero biopic, non è un saggio, non è un documentario, non è un lavoro di fiction, non riesce neppure a rendere significativi i tre episodi ricostruiti, quello della coppia mista negli anni di Hitler, degli antropologi Davis e Gardner, del Dott.Ambedkar.

Il film accumula, accumula, accumula, senza mai un solo dubbio, si concede pure una mezza battuta antisemita e poi procede come un carro armato a sostegno della sua singolare e controversa tesi, secondo cui il sistema delle caste andrebbe utilizzato per leggere ogni fenomeno e in particolare il razzismo endemico degli Stati Uniti. Questo sistema si reggerebbe su alcuni cardini essenziali e in primis sull’endogamia, ovvero sul divieto di matrimoni misti, quindi sul terrore e la crudeltà imposti per mantenere ordine, sulla disumanizzazione, sull’opposizione tra purezza e contaminazione.

La frase finale che scrive Isabel Wilkerson nel suo libro, secondo quello che si vede nel film, è questa: “Un mondo senza caste renderebbe tutti liberi”. Un pensierino degno di un bambino di terza elementare.

Qualcuno è contrario?

Il film è tanto retorico, quanto ricattatorio, pieno di solennità da sussidiario. Si rivolge ai soliti già convinti, senza dire niente a tutti gli altri. Un lavoro ideologico, in cui il cinema si perde completamente, per lasciare spazio al trionfo della propaganda, enfatico quanto basta e implacabile nello spacciare idee discutibili per verità rivelate.

Il peggior film del concorso a mani basse. Nella confusione ideologica dominante, soprattutto nella cultura anglosassone, è possibile tuttavia che esca dal concorso veneziano con qualche premio importante o importantissimo.

Abominevole.

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