Povere creature!

Povere creature! ****

Su una trapunta bianca ricamata appaiono i titoli disposti come una cornice. Una donna vestita con un abito blu, di spalle, sale sul parapetto di un ponte e si getta nel vuoto. Un plongé dall’alto ne accompagna la caduta in slow motion.

Il titolo bianco Povere creature! in lettere sottili si sovrappone all’immagine in bianco e nero di un cuore che batte.

La macchina da presa insegue ancora una volta di spalle Bella e il suo creatore, il chirurgo Godwin Baxter nella grande casa vittoriana che abitano. La ragazza sembra un’infante nel corpo di un’adulta, si muove a fatica, parla a monosillabi, è sempre gioiosa e dispettosa.

Il Dott. Baxter assume uno dei suoi studenti, Max McCandless per tenere nota scientificamente dei progressi quotidiani di questo suo misterioso esperimento. Ma chi è davvero Bella? E perché non le è permesso uscire di casa?

Bella vuole vedere il mondo, ogni cosa è una sorpresa e mano a mano che i giorni passano le sue capacità comunicative aumentano, ma la vera arma rivoluzionaria è la scoperta del sesso, che spinge Baxter prima a immaginare di concederla in moglie a McCandless e poi a lasciarla partire con l’avvocato Duncan Wedderburn, chiamato a redigere il contratto matrimoniale, ma insinuatosi subdolamente nei desideri della stranissima e affascinante creatura.

I due viaggiano verso una coloratissima Lisbona ricostruita in studio, dove Bella scopre le gioie dei pastel de nata e della relazione  con Duncan. I due fanno l’amore in modo impetuoso e travolgente, assecondando la libido insaziabile della protagonista.

L’incapacità di Bella di comprendere le convenzioni sociali, ne fanno un’enfant sauvage che impara in ogni momento, ascoltando il fado e osservando una coppia litigare in mezzo alla strada.

Il gelosissimo Duncan la chiude in un baule e quando la libera si trovano in mare, su una nave diretta ad Atene. Qui Bella conosce l’anziana e saggia Martha e il suo accompagnatore, il cinico Harry Astley, che si rivelano essenziali nella sua educazione e nella sua emancipazione. Quando  ad Alessandria Harry le mostra i poveri che vivono di stenti e muoiono di fame nelle strade del mondo reale, Bella ne rimane sconvolta, tanto da prendere tutti i soldi appena vinti da Duncan al gioco e regalarli a due marinai che si offrono di portarli a chi ne ha davvero bisogno.

Duncan è ovviamente furibondo e senza soldi, ma le loro avventure non sono ancora finite…

Il film di Lanthimos è un racconto che gioca con le identità, le aspettative, i generi con una libertà e una fantasia sbalorditive.

Nel raccontare il percorso accelerato di Bella dalla prima infanzia sino alla maturità, il regista greco costruisce un intero universo narrativo che si nutre tanto delle suggestioni gotiche del mito frankensteiniano di Mary Shelley, quanto del grande romanzo ottocentesco di formazione e dell’avventura satirica alla scoperta del mondo, filtrandole e aggiornandole ad una sensibilità nuova, profondamente contemporanea.

Dal punto di vista estetico tornano i grandangoli di La favorita, i fisheye, questa volta racchiusi anche in elegantissime iridi, tornano i movimenti sinuosi alle spalle degli attori, le inquadrature dal basso e il movimento che asseconda l’elettricità dei personaggi e la curiosità inesausta della protagonista.

Il bianco e nero londinese iniziale lascia spazio al colore, quando comincia l’esplorazione del mondo da parte di Bella, un colore saturo, fiabesco, con dominanti primarie e una densità che riempie gli occhi e che si sposa magnificamente alle scenografie di Shona Heath e James Price, che ricostruiscono in studio, come in uno spazio teatrale, le città e i luoghi attraversati dalla storia.

Non meno incredibili i costumi anacronistici indossati da Bella, spesso gonfi e ottocenteschi sulle spalle, il collo e le maniche, cortissimi, ultramoderni e attillati nella parte inferiore del corpo e nelle calzature.

Tuttavia non bisogna scambiare la sensazionale cura formale che Lanthimos dedica al suo racconto per una manifestazione di disinteresse per la dimensione narrativa che resta invece centrale e che la ricchezza produttiva esalta in una simbiosi feconda.

Come sempre formidabile la dimensione linguistica del film, con Bella che comincia esprimendosi a gesti e con pochissime espressioni vocali e finisce il film con il linguaggio forbito di uno studente universitario, attraversando tutto lo spettro intermedio e mostrando in ogni momento e in modo chiarissimo la sua maturità effettiva.

La famiglia tradizionale resta uno spazio concentrazionario, anche al di là delle (buone) intenzioni, vera e propria prigione da cui evadere, così come accadeva sin dai tempi di Dogtooth, ma questa volta la protagonista non si trova di fronte al fallimento dei suoi propositi o alla discesa nell’abisso della mente, ma compie il suo percorso di emancipazione sino in fondo, ribaltando l’ortodossia patriarcale e ricostruendo uno spazio condiviso familiare secondo regole e ruoli completamente diversi.

Nel cinema di Lanthimos questa è una novità significativa, che si nota immediatamente in un finale decisamente più ottimistico e per una volta compiuto e che azzera ogni critica rivoltagli in passato rispetto al destino infelice delle sue eroine ribelli.

Il lavoro sugli attori parte del talento notevolissimo di Tony McNamara nel costruire situazioni surreali che spiazzano continuamente le attese dello spettatore, anche attraverso una serie di duelli verbali che fanno scintille e si nutrono ironicamente dell’innocenza di Bella rispetto alle convenzioni sociali, ai ruoli e alle convenienze morali. Tuttavia anche questa volta è sensazionale il lavoro di Lanthimos sul corpo dei suoi attori, da quello esile e plastico della Stone a quello deforme di Dafoe, da quello goffo di Ruffalo a quello irrigidito di Ramy Youssef, tutti coinvolti in una coreografia che utilizza gli spazi e gli oggetti in una maniera veramente imprevedibile. Non manca ovviamente il consueto ballo esagerato e imbarazzante, che questa volta coinvolge la Stone e Ruffalo a Lisbona e non mancano gli animali, questa volta frutto degli esperimenti e degli incroci di Baxter.

Povere Creature! è contemporaneamente una summa del lavoro del regista greco e una sua coerente evoluzione. Il film lascia senza parole e in uno stato di estasi per la bellezza sublime della messa in scena, per l’audacia narrativa che rilancia continuamente l’azione, muovendosi su coordinate diverse, ma tutte convergenti.

Molto più essenziale rispetto al passato è la dimensione sessuale del film, che non è solo una stranezza che contribuisce a caratterizzare i personaggi, ma strumento centrale di affermazione di sè. La protagonista vive il sesso in modo liberatorio, consapevole, senza pudori, figlia di un femminismo forse più affine a quello storico, che non al puritanesimo di ritorno di questi anni.

Anche in Povere Creature! come in Dogtooth è il sesso a disgregare l’ordine familiare e a spingere la protagonista ad evadere dalla prigione conformista. Come detto però il risultato questa volta è significativamente differente, perchè qui la sessualità vissuta da Bella non è quella incestuosa o inconsapevole imposta a Bruce, ma quella pienamente gioiosa e autodeterminata che la protagonista sperimenta in ogni sua forma.

La Stone si butta anima e corpo nel personaggio, il più complesso, difficile, esaltante della sua già luminosa carriera, assecondando il coraggio sfrontato di Lanthimos che le costruisce su misura un ruolo formidabile, filosoficamente stratificato ed emotivamente trascinante.

Il risultato è una sorpresa continua, che riempie gli occhi, interroga la mente e stringe il cuore.

Leone d’Oro a Venezia, vincitore di 2 Golden Globe e candidato a 11 Premi Oscar.

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