Scritto dal regista assieme ad Anders Thomas Jensen, di solito partner di Susanne Bier, a partire dal romanzo di Ida Jessen, Bastarden è un racconto ambientato nella desolata e apparentemente incoltivabile brughiera danese nel XVIII secolo.
Il Re tiene a valorizzare lo Jutland e dopo inutili tentativi di colonizzare quella terra, concede una possibilità anche al comandante Ludwig Kahlen, nato in povertà e ora in pensione, dopo essersi distinti nell’esercito.
Quest’ultimo ha servito in Germania e ha scoperto le patate, che sono in grado di crescere in quasi qualsiasi condizione.
Dopo un lungo periodo di carotaggi, Ludwig alla fine trova il posto che gli sembra adatto, ma il suo progetto viene ostacolato dal latifondista locale, Schinkel, che amministra la giustizia come un signore feudale, con diritto di vita e di morte su quelle che considera terre sue.
Accanto a Ludwig, il pastore locale, due schiavi fuggiti proprio dalla tenuta di Schinkel – Ann Barbara e Eriksen, marito e moglie – è Anmai Mus una ragazzina nomade dalla pelle scura, fuggita da un gruppo di briganti che vivono nel bosco e che aiutano in un primo momento il protagonista.
Quando le minacce di Schinkel si trasformano in torture e uccisioni barbare, tutti abbandonano Ludwig, tranne Ann Barbara e Anmai Mus.
Il film è una piccola epopea classica, animata dallo stesso spirito indomabile e testardo del suo protagonista. Impaginato in maniera lineare, solenne, affidandosi ad una scrittura sicura e ad una storia in cui ogni personaggio si muove secondo una traiettoria sempre coerente e plausibile, Bastarden mette in scena una lunga serie di sfide per Ludwig, contro un territorio ostile in cui ci sono solo erica, sassi e sabbia, contro i briganti che prima lo osteggiano ed assaltano, poi collaborano e quindi fuggono, contro il latifondista deciso a mantenere la sua influenza, contro la superstizione e le credenze, contro l’ignoranza e la conservazione di un ordine sociale di casta.
Lo scontro è più semplicemente tra chi vuole prendere il destino nelle sue mani e chi rimane alla mercè del caos.
Come ha detto lo stesso Arcel: “volevo confrontarmi con una storia epica e grandiosa su come le nostre ambizioni e i nostri desideri siano destinati a fallire se rappresentano la sola cosa che abbiamo. La vita è un caos: dolorosa e sgradevole, bella e straordinaria, e spesso non la possiamo controllare”.
La brughiera danese è evidente uno dei protagonisti di questa storia, ma Arcel la utilizza semplicemente come un set naturale affascinante e misterioso, integrandolo alle esigenze del racconto.
Su tutto si erge un monumentale Mads Mikkelsen, che ha ormai acquisito una impenetrabilità eastwoodiana: il suo personaggio è un uomo tutto d’un pezzo, un soldato nel senso più nobile del termine, determinato a raggiungere l’obiettivo che si è posto sin dall’inizio, ovvero scalare i ranghi della nobiltà attraverso il proprio lavoro e l’intuizione di quello spazio incontaminato da civilizzare.
Solo che mano a mano è costretto a mettere in discussione i propri principi e a tradire chi ha creduto in lui, diventando parte della sua famiglia. Compreso l’errore, cercherà di emendarlo, mandando all’aria persino l’obiettivo inseguito per così tanti anni, in nome della fedeltà e dell’onore.
Il film è ovviamente imbevuto di quella cultura western che nella conquista della frontiera, trova la sua dimensione più vera. Anche qui gli antagonisti in un certo senso sono gli indigeni, ovvero i latifondisti che abitano quelle terre da sempre, depositari di un potere assoluto e incontrastato, lontano da quello della corona.
Bastarden – il titolo originale è molto più efficace di quello internazionale The Promised Land – è un solidissimo film di genere che forse non ha ambizioni radicali, ma che rende epica e malinconica una piccola pagina storica che ruota attorno alle patate e alla terra.
Sembra poco, ma è quello che basta, per raccontare la dignità di chi non intende piegarsi al sopruso del potere.

