Che fine ha fatto Bernadette?

Che fine ha fatto Bernadette? **

Il nuovo film di Richard Linklater arriva finalmente in Europa, con l’eco dell’accoglienza disastrosa, che ha suscitato la sua uscita americana il 16 agosto.

Trovandoci di fronte ad uno dei maggiori autori americani a cavallo tra i due secoli e ad una delle interpreti più talentuose della sua generazione, le feroci stroncature rimediate oltreoceano suonavano ancor più stranianti.

Il film è tratto da un bestseller di Maria Sample, Dove vai Bernadette, pubblicato anche in Italia da Rizzoli, dove tuttavia la sua fortuna è stata assai più limitata.

La particolarità del romanzo era quella di raccontare la storia della sparizione della protagonista attraverso i moderni scambi epistolari via mail e attraverso documenti, fax, resoconti recuperati dalla figlia nel corso delle sue ricerche.

Il film invece, adattato da Linklater con Holly Gent e Vincent Palmo Jr., rimette i tasselli in ordine e semplifica ulteriormente la storia, eliminando alcuni personaggi e concentrandosi esclusivamente sulle dinamiche familiari. Comincia con Bernadette in canoa in Antartide e poi torna indietro raccontando linearmente gli eventi che l’hanno spinta alla fuga.

Quest’operazione non solo rovina completamente l’unico motivo d’interesse originale del racconto della Sample, ma produce una storia piena di buchi, di salti logici e narrativi, che rimangono inspiegati e spingono il film verso l’implausibile e il posticcio.

Bernadette Fox è una donna che veleggia borderline tra depressione e sociopatia. Da molti anni ormai. Solo il marito sembra non accorgersene. Vive in una grande casa vittoriana che cade a pezzi, circondata da un giardino di rovi, porta sempre grandi occhiali da sole, non fraternizza con le vicine di casa e rifugge persino gli ammiratori.

L’unica persona con cui parla, oltre alla figlia adolescente e al marito, ingegnere a Microsoft, è un’assistente virtuale, Manjula, a cui delega ogni suo incombente.

Nel corso del film veniamo a sapere che è stata un giovane prodigio dell’architettura sostenibile, celebrata sin da giovane con il MacArthur Genius Grant. Poi un evento che rimane oscuro l’ha spinta ad abbandonare la professione, per dedicarsi solamente alla famiglia.

Quando la figlia chiede di poter festeggiare la sua pagella perfetta, con un viaggio di tutta la famiglia in Antardide, il piccolo mondo chiuso di Bernadette finisce per andare in pezzi, trascinando con sè persino gli affetti più cari.

Il film di Linklater è un pasticcio di buone intenzioni, ma è lontanissimo dal suo mondo narrativo. Il consueto meraviglioso scavo psicologico dei personaggi, l’impercettibile modificarsi dei loro desideri, nel grande mare della vita, qui si perde del tutto, alle prese con un personaggio estremo, che vive melodrammaticamente ogni cosa, che è sempre un’ottava più in alto.

La pur bravissima Cate Blanchett qui è alle prese con un ruolo che si fa maniera dopo trenta secondi, tutto di superficie, incapace di raccontare nè il genio, nè la malattia, ma solo sfiorando entrambi, in modo francamente inaccettabile.

E’ curioso poi che il marito tolleri tutto per vent’anni, ma poi si decida a far rinchiudere praticamente la moglie in una casa di cura, quando viene truffata  e mette a repentaglio la sua solidità economica.

Il film è uno slow burner, come dicono gli americani, ovvero comincia a carburare tardissimo. Sappiamo fin dalla prima scena che Bernadette è poi andata in Antartide. Ma prima di assistere alla sua partenza due terzi di film si sono già consumati, in un tripudio di banalità da romanzetto da aeroporto, come sospettiamo che sia questo di Maria Sample, in verità.

Non si capisce francamente perchè un regista come Linklater abbia scelto di portare sullo schermo una storia così fragile, così irrisolta, lontanissima dalla sua sensibilità narrativa e dalla complessità sentimentale che i suoi film di solito ricostruiscono.

La fuga, la scomparsa, il genio, la truffa informatica, l’impasse d’artista, la depressione: sono tutti elementi buttati a bella posta, in un minestrone insipido e indigesto.

Non c’è mai un briciolo di verità in Bernadette, mai un momento di onestà nel suo struggimento. E’ tutto (brutto) cinema.

La Blanchett cerca, come può, di nascondere il vuoto su cui poggia la sua interpretazione e per miracolo, quasi ci riesce. Ma il trucco si vede e l’inganno dura poco.

Non siamo tra quelli che, sotto l’ombrello della politique des auteurs, tentano di giustificare anche i fallimenti più evidenti e i film più sbilanciati, imperfetti, irrisolti.

Archiviamo così questa inutile Bernadette e passiamo oltre.

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