Il regno

Il regno ***

Film spagnolo dell’anno, premiatissimo ai Goya, Il regno di Rodrigo Sorogoyen arriva nel nostro paese con colpevole ritardo, grazie alla benemerita Movies Inspired, attentata a recuperare opere di confine, che altrimenti resterebbe fuori dalla nostra distribuzione tradizionale, sempre più miope.

La casa torinese aveva sostenuto anche il precedente film del regista madrileno, il thriller Che Dio ci perdoni, che vi invitiamo a recuperare.

Nel frattempo Sorogoyen ha portato il bellissimo e dolente Madre nella sezione orizzonti della Mostra di Venezia, firmando il suo quinto film ad appena 38 anni.

Il Regno è un film politico, girato con i toni del thriller all’ultimo respiro.

Il protagonista assoluto è Antonio de la Torre, nei panni del politico locale Manuel Lopez-Vidal. Lo vediamo impegnatissimo a telefono e poi al tavolo con altri suoi compagni di partito, commentare scherzosamente in tv la nomina a segretario di un ex giudice, un uomo, apparentemente, tutto d’un pezzo.

Manuel e gli altri dirigenti regionali sono politici navigati, che si sono costruiti una carriera in modo spregiudicato, sfruttando connivenze, fondi europei, tangenti e favori degli imprenditori.

Quando però le indagini lambiscono uno di loro e poi raggiungono anche Manuel, proprio mentre ambiva ad un ruolo nazionale, la forza inarrestabile del potere sembra destinata a schiacciare il protagonista, capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica, per consentire al sistema  – al Regno – di continuare imperterrito a funzionare a pieno regime.

Solo che Manuel non è disposto ad interpretare il ruolo della vittima. Sa troppe cose, che coinvolgono i vertici nazionali del suo partito e non solo.

In una lotta contro il tempo, decide così di sfruttare ogni strumento a sua disposizione, per trascinare a fondo tutti quanti e tentare di salvare se stesso.

Confida di raccogliere le prove dell’enorme rete corruttiva e di consegnarle ad una giornalista ambiziosa, che conduce una trasmissione televisiva di ordinaria indignazione populista.

Ma ci riuscirà?

Il film è ambientato dieci anni fa, quando i primi iphone cambiavano per sempre la distanza tra pubblico e privato, anche nel mondo della politica, consentendo di riprendere e condividere tutto e trasformando radicalmente il rapporto dei politici con il proprio elettorato di riferimento.

Non solo, ma retrodatando l’azione ad un tempo in cui i partiti populisti – Podemos e Ciudadanos – erano ancora lontani a venire, Sorogoyen può permettersi di raccontare la deriva che ha travolto la politica spagnola e i due storici partiti post-franchisti, che si erano alternati al potere sin dal 1977, senza mai dirci a quale dei due sia iscritto Manuel.

Non è infatti tanto importante raccontare chi o cosa, quanto mostrare come il sistema nel suo complesso sia capace di gestire cinicamente ogni tentativo di riportare legalità nel suo rapporto patologico con il potere.

E Sorogoyen lo fa sposando fino in fondo un unico punto di vista, che è quello di un pesce piccolo, come Manuel, caduto nella rete della giustizia, che si agita furiosamente per infilarsi in una delle maglie e ritornare libero, a costo di travolgere tutto e tutti.

L’incedere furioso e turbolento del protagonista, che sente mancargli la terra sotto i piedi è raccontato magistralmente. I suoi patetici tentativi di registrare le conversazioni con imprenditori e compagni di partito, fino a mettere in scacco lo stesso nuovo segretario a Madrid, hanno un’unica finalità fondamentale: la sopravvivenza.

Manuel si muove in un mondo senza alcuna coordinata morale, senza valori o anche solo regole, in un modo primitivo, istintuale.

L’amoralità non è solo pubblica, ma anche privata e travolge anche il rapporto di Manuel con la moglie, compagna e consigliera, sempre al suo fianco.

La sua fuga in auto in autostrada a fari spenti o la foga animalesca con cui irrompe a casa del tesoriere morente del partito, per sottrargli i taccuini, in cui sono annotate le transazioni illecite, sono momenti di grande azione, che sarebbero perfette in un poliziesco criminale, ma che suonano inedite in un film politico.

Per questo il finale, con il duello televisivo tra Manuel e la giornalista, è un passo falso notevole, all’interno di un film riuscitissimo e impeccabile, sino a quel momento.

Perchè improvvisamente Il Regno cambia stile, si ferma, si blocca in un dialogo che è contemporaneamente troppo superficiale e didascalico, per essere realmente efficace. Sorogoyen smette di mostrare e pretende di dimostrare, contravvenendo alla prima regola di ogni buon regista.

Non solo, ma dopo aver cercato per tutto il film un mimetismo assoluto con il suo protagonista, il film se ne distanzia proprio alla fine, incrinando moralisticamente la sua adesione alla lotta parossistica di Manuel e al contempo cercando un finale aperto, che chiude con una domanda retoricamente rivolta in macchina: “Si è mai fermato per un momento, nella sua vita, a pensare a cosa stava facendo?

Al netto della scivolata finale, Il regno è un ritratto inquietante e severo, scritto da Sorogoyen con Isabel Peña, in modo da calzare a pennello per le qualità di Antonio de la Torre. Il suo sguardo impenetrabile e febbrile, il suo fisico minuto, scattante, nervoso, lo rendono il protagonista perfetto per incarnare sullo schermo l’isteria feroce di Manuel, fino a spingerlo a superare ogni confine, pur di salvare la sua reputazione.

Pur in un contesto sostanzialmente d’azione, la musica elettronica di Olivier Arson è davvero troppo piatta e anonima, mentre il montaggio di Alberto Del Campo asseconda magnificamente la disperazione di Manuel, fino a spingere le tre macroscene finali, prima del confronto televisivo, ad un parossismo espressionista assolutamente travolgente.

Da non perdere.

3 pensieri riguardo “Il regno”

    1. In Italia il film di Sorogoyen è uscito questo weekend. Il suo precedente Che Dio ci perdoni era arrivato quasi solo in homevideo e il successivo, Madre era alla Mostra del cinema. Il regno mi sembra si perda solo alla fine. L’idea di raccontare la caduta di un piccolo ingranaggio del sistema, che non si arrende al suo destino e cerca di trascinare tutti a fondo, è interessante e sufficientemente vaga da appassionare chiunque, senza fan e fazioni.

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