Basri è un guardiano delle ferrovie. Il suo lavoro consiste nel controllare i binari. Per fare questo percorre a piedi venti chilometri al giorno. D’estate, d’inverno, che piova o che nevichi… Qualsiasi cosa succeda, deve svolgere il suo lavoro in zone sperdute e in grande solitudine.
Il figlio di Basri, Seyfi, è stato arrestato 18 anni fa per le sue opinioni politiche. Questa è l’ultima cosa che Basri sa di suo figlio. Sei anni dopo la sua scomparsa, la moglie di Basri è morta e lui è rimasto solo. Per 18 anni, ha scritto due lettere al mese: una al Ministero degli Interni e una alla Questura. In quelle lettere esprime ogni volta solo la speranza di ritrovare il figlio, nient’altro, e per via di quello che ha scritto, Basri è stato torturato, interrogato e messo in isolamento. Ma niente potrebbe fermare Basri nei suoi tentativi per ritrovare il figlio.
Un giorno, Basri viene a sapere che il corpo di Seyfi è stato ritrovato e si reca a Istanbul per recuperarlo. Le ossa del figlio che ha cercato per 18 anni si trovano adesso nelle sue mani. E ora si sente più solo di prima.
Muffa è distribuito in Italia dalla Sacher Film, dopo l’anteprima a Venezia dove il film ha vinto il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima.
Il regista Ali Aydin ha scritto: nel 1995, un gruppo di donne ha iniziato una protesta permanente. Avevano deciso di riunirsi ogni sabato davanti al liceo di Galatasaray con le fotografie dei propri figli scomparsi in seguito al loro arresto. Dopo un po’, la stampa ha battezzato questo gruppo “Le madri del sabato”. Non dimenticherò mai la loro lotta silenziosa e le fotografie brandite.
Quando nel 2003 ho iniziato a scrivere la sceneggiatura di “Muffa”, le prime domande che mi sono posto sin dall’inizio sono state: su cosa mi devo concentrare per raccontare questa storia? Quale deve essere il punto di vista? Devo seguire le vicende di coloro che aspettano? O di coloro che sono spariti dopo l’arresto?
Ho deciso di raccontare la storia di chi rimane, una famiglia devastata dalla perdita. E mi sono convinto che la cosa più importante su cui concentrarsi era la coscienza. Perché l’elemento che mi ha portato a scrivere questa storia è stato la mia coscienza. Scrivendo, volevo mettermi in pace con lei e fare in modo che la tragedia delle persone scomparse pesasse sulla coscienza di tutti.
Durante la fase di scrittura, che è durata 7 anni, sono stato colpito da due cose: la prima riguarda senz’altro le storie delle famiglie devastate degli scomparsi, la seconda è legata invece alla lettura di Dostoevski, che descrive con acume in quasi tutte le sue opere la solitudine, le nevrosi, i sensi di colpa, i dubbi, le malinconie che assalgono la coscienza umana. La cupezza delle sue atmosfere ha nutrito così l’essenza del mio personaggio che perde a poco a poco la speranza.
In sala dal 30 aprile.


molto carino lo consiglio