Mereghetti su Re della terra selvaggia

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La recensione settimanale di Paolo Mereghetti sul Corriere è dedicata questa volta al piccolo film di Benh Zeitlin, Re della terra selvaggia, candidato a sorpresa agli Oscar sia per il migliori film, sia per la migliore regia e la migliore attrice, dopo aver trionfato al Sundance ed al Festival di Cannes dove ha conquistato la Camera d’Or per il miglior esordio.

Il mondo visto con gli occhi di una bambina. Ma un mondo anomalo, sorprendente, spesso ostile, dove la Natura non necessariamente è benigna né gli uomini generosi o caritatevoli. Questa, almeno, è l’esperienza di Hushpuppy (Quvenzhané Wallis), protagonista di Re della terra selvaggia, la vera sorpresa nelle nomination degli Oscar

[…] Sono gli occhi di Hushpuppy, le sue fantasie, le sue paure, le sue conoscenze a guidare lo spettatore in un territorio che sembra tagliato fuori dal mondo civile. Quella strana terra di nessuno dove la ragazzina vive con un padre spesso assente (Dwight Henry), con un gruppo di folcloristici e attempati ubriaconi e con un’insegnante non proprio ortodossa (Gina Montana) che usa anche i tatuaggi sulla gamba – due «aurochs», specie di antenati preistorici dei buoi – per spiegare che tutte le cose sono fatte della stessa materia (la carne), quella terra – dicevo – è una specie di inferno e paradiso insieme, dove la natura lussureggiante si può trasformare all’improvviso nella più impenetrabile delle giungle, isolata dal mondo grazie (o a causa) di una diga che esclude la vista del resto del mondo proprio come la siepe leopardiana.

[…] Viene in mente il film di Kazan Fango sulle stelle, con l’amministrazione Roosevelt che mandava Montgomery Clift a convincere i contadini del Tennessee a lasciare le terre a rischio inondazione. Ma là c’era – almeno nelle preoccupazioni del regista – la priorità dell’azione politica, la fiducia nel progresso (delle opere di contenimento idrico e della uguaglianza tra lavoratori bianchi e neri) e il ruolo salvifico dell’amore. Oggi, cinquant’anni dopo quel film, sembra di essere tornati indietro nel tempo: la diga diventa un ostacolo invece di essere uno scudo, l’opera di «salvataggio» non solo è vista come una violenza ma sembra incapace di capire le ragioni profonde di una cultura (fanno accapponare la pelle le poche scene in cui Hushpuppy viene vestita e pettinata «elegantemente») e gli sforzi di modernizzazione finiscono per trasformarsi in piccole ma dolorose prove di genocidio culturale.

[…] E mentre il film si chiude su una nota di commovente panteismo, con il corpo di un adulto che torna all’acqua da cui arriva anche la vita, il film dell’esordiente Benh Zeitlin ci conquista con quella sua insolita poesia, fatta di asperità e di dolori ma anche di magia e di sogni. Proprio come sono le forze che guidano la giovane Hushpuppy verso il suo domani.

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