La missione dei critici

Nei giorni scorsi, prendendo spunto dal saggio di Giulio Ferroni, “Scritture a perdere, la letteratura negli anni zero“, un altro famoso critico letterario, Franco Cordelli, sulle pagine del Corriere della Sera ha aperto una proficua discussione sulla critica letteraria, sulla sua utilità, sulla sua efficacia e sul senso della sua stessa esistenza.

Stanze di Cinema non si occupa di letteratura, ma ci sembra opportuno riferire anche qui, i termini di una discussione che ci sembra fondamentale.

Già un anno e mezzo fa, Sight and Sound si era chiesto a cosa servisse – e se ancora servisse – la critica cinematografica, in un numero speciale, che ha avuto una notevole eco anche in Italia, persino sulle pagine di Ciak.

La proliferazione di opinioni non richieste, anche e soprattutto attraverso il web, ed il contemporaneo svilimento degli spazi autorevoli su quotidiani e riviste, ha spinto molti a chiedersi se in fondo l’opinione dell’ultimo blogger non sia equivalente a quella del critico o del professore universitario che ha dedicato una vita all’argomento dei propri studi. 

Cordelli si chiede: “Esiste ancora una cultura critica?” Ferroni ne è certamente uno degli esempi più lucidi ed il suo tentativo di mettere ordine nella letteratura degli ultimi dieci anni – da Saviano a Paolo Giordano, dalla Mazzantini a Baricco, da Wu Ming a agli eccessi del Salone di Torino – è ammirevole e coraggioso.

Secondo Cordelli però, Ferroni non riesce a comprendere che la radicale trasformazione del mondo estetico e di quello della comunicazione, conducono a invalidare le categorie critiche cui lui stesso, Ferroni, Berardinelli e molti altri, hanno utilizzato nel corso dell’ultimo secolo: quelle di Adorno, della Scuola di Francoforte e di Walter Benjamin.

Che senso ha oggi giudicare o addirittura leggere, con Adorno in testa e tra le mani” e pronunciare “una condanna, con leggi in cui nessun altro si riconosce?… Che importano i canoni?”

La vera questione, per Cordelli è proprio la critica, anch’essa rimpianta. Il giudizio di un Raboni, di un Giuliani, di un Garboli era ritenuto influente anche da chi non la pensava come loro.

Un loro giudizio collocava un’opera nel rango che ad essa competeva e in cui, più o meno, è rimasta. Oggi questo non accade e non accade perchè, come dice Ferroni, viviamo nell’eccesso. Tutti pronunciano giudizi, ma nessun giudizio è influente, al punto di sfoltire l’eccesso, ad esso conferire una forma, insomma istituire un valore, qualcosa che tenda ad un riconoscimento virtualmente universale”.

Ed allora l’unico giudizio che conta, secondo Cordelli, è quello della tribù, della comunità più o meno grande di cui lo scrittore fa parte, pronta a proclamarne l’elogio a prescindere, in una spirale partigiana, deprimente e vuota.

Bisogna guardare alla critica ed al proprio ruolo con occhi nuovi, senza vivere nell’illusione della continuità con i due secoli appena trascorsi, perchè pensare di uscire dal caos “come l’Angelus Novus di Benjamin, con lo sguardo rivolto all’indietro, è proprio una speranza del passato, non già del futuro.”

Sempre dalle pagine del Corriere gli risponde Ferroni, intervistato da Cristina Taglietti:

L’analisi di Cordelli è giustissima, condivisibile, ma io risponderei con una parola: resistenza. Nel senso che è chiaro che questa prospettiva oggi rischia di non essere efficace, ma continua a esserci il bisogno di uno sguardo globale. Insomma la critica letteraria perde, però rimane necessaria. Io vedo il critico come un Don Chisciotte che continua a lottare contro i mulini a vento, perchè i giochi non sono fatti… non si può sottoscrivere acriticamente tutto, bisogna suggerire confronti, contesti”.

Interviene anche Massimo Onofri, in quale afferma che “Ferroni, come Alfonso Berardinelli e come Cordelli, si porta dietro questa necessità di esercitare la critica, come critica della cultura, che ingloba la considerazione dei fenomeni letterari, come elemento della totalità. Una volta usciti da quella prospettiva hegelo-marxista, ciò che rimane importante, per valutare, è mettere a sistema quello che si è letto. Insomma se uno ha letto solo Baricco, magari lo trova stupefacente. All’interno di un sistema i valori cambiano…”

E’ evidente che questo dibattito, ancora aperto, non può non coinvolgere anche chi esercita il mestiere critico, in un ambito affine, come quello del cinema.

Ed è altrettanto evidente che di fronte al bombardamento di immagini, sempre più ipertrofiche e sempre più stratificate, il ruolo del critico è sempre più effimero, ma ancor più essenziale, per evitare di soccombre passivamente ad un immaginario globale che ci vorrebbe solo avidi consumatori di suggestioni superficiali.

E tu, cosa ne pensi?

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