Operazione U.N.C.L.E.

UNCLE poster

Operazione U.N.C.L.E. *1/2

Divertissement targato Guy Ritchie e firmato assieme a Lionel Wigram, co-sceneggiatore e produttore per conto della Warner Bros., Operazione U.N.C.L.E., girato in gran parte in Italia, tra Roma e Napoli è un tuffo negli ’60, senza troppa nostalgia e con meno ruffianeria e superficialità di quanto avvenga solitamente in questi casi.

Giallo-rosa che vorrebbe fare l’occhiolino a classici come Caccia al ladro o Sciarada, il film di Ritchie è un racconto di origini, che si ispira alla serie televisiva americana della NBC, ricostruendone gli esordi: nel 1961 a Berlino Est due spie – Napoleon Solo e Illya Kuryakin – sono costrette a collaborare assieme al MI5, per salvare il mondo da una minaccia nucleare più grande e temibile della Guerra Fredda.

Lo United Network Command for Law and Enforcement (U.N.C.L.E.) affianca ai due agenti, uno americano, l’altro russo, la bella Gaby, meccanico tedesco, figlia di uno scienziato nucleare, rapito dalla famiglia italiana dei Vinciguerra, per le loro oscure trame.

Il compito dei tre è recuperare la testata atomica verosimilmente in mano a Victoria Vinciguerra per disarmarla.

L’azione si sposta quindi da Berlino a Roma e poi a Napoli, sull’isola dove la potente famiglia fascista ha un castello, nei cui sotterranei lavora ad arricchire l’uranio.

Illya e Gaby fingono di essere fidanzati, mentre Napoleon ha il compito di carpire la fiducia della bellissima Victoria, seducendola con i suoi modi da ladro gentiluomo.

Il film stenta a trovare il suo ritmo, nonostante l’abuso di velocizzazioni, montaggio frenetico, inquadrature impossibili e split screen, tipici dello stile di Ritchie.

La chimica fra i tre attori protagonisti, nonostante l’evidente impegno, sembra sempre costruita meccanicamente e rimane spesso più nelle intenzioni che sullo schermo.

Cavill e Hammer sembrano sempre piuttosto rigidi: d’altronde, il fascino, se uno non ce l’ha, non se lo può dare…

La Vikander se la cava meglio, ma non sembra avere il physique du rôle della femme fatale e neppure la verve di una novella Audrey Hepburn, nonostante gli straordinari costumi ed il guardaroba vintage, curato da Joanna Johnstone.

Ma il vero limite dell’operazione sta nel contrasto fra una classicità continuamente evocata, ma costantemente tradita dal pastiche visivo, orchestrato da Ritchie, che non riesce mai a tenere a freno le sue acrobazie postmoderne, prive di una qualsiasi eleganza.

Ritchie ricicla persino una tecnica già usata in Sherlock Holmes, utilizzando, in due scene chiave, delle incongrue ellissi narrative, che vengono poi subito dopo riempite, al solo scopo di creare stupore.

La stessa fotografia di John Mathieson è davvero troppo piatta, per aggiungere significato.

Operazione U.N.C.L.E. rimane così sempre a mezza strada, finendo per scontentare un po’ tutti.

Le note di merito sono però almeno tre: il ritratto del nostro paese, pur non completamente privo dei soliti stereotipi è in ogni caso assai meno folkloristico, il product-placement è quasi del tutto assente e la selezione musicale è raffinatissima e inconsueta.

Si ascoltano infatti Che vuole questa musica stasera di Peppino Gagliardi e Il mio regno di Luigi Tenco.

Basterebbero quasi solo queste due riscoperte a dare un senso alla visione del film di Ritchie. Il resto si dimentica in un batter d’occhio…

Un pensiero riguardo “Operazione U.N.C.L.E.”

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