Sono passati quasi dieci anni dal trionfale debutto internazionale di Zootropolis, il cinquantacinquesimo classico d’animazione della Disney, capace di incassare un miliardo di dollari nel mondo e di vincere Oscar, Golden Globe e sei Annie Awards.
Scritto da Jared Bush e co-diretto da Byron Howard (Bolt, Rapunzel, Encanto), sotto la supervisione di John Lasseter, il primo capitolo era stato un successo sorprendente ed ecumenico.
Questo secondo capitolo delle avventure della coniglietta Judy e della volpe Nick, finalmente partner nella ZPD, dopo aver sventato la cospirazione della pecora Dawn Bellwether, ricomincia dove terminava il precedente.
Mentre le altre coppie della polizia sembrano assai più affiatate, anche perché composte da animali della stessa specie, Judy e Nick sono divisi da una differenza etica e si mettono nei guai nel corso di un’operazione congiunta. Il capo minaccia di separarli se non partecipano a delle sessioni di gruppo per rafforzare la loro partnership, ma in realtà Judy ha trovato degli indizi secondo cui a Zootropolis si nasconde un serpente, nonostante siano una specie proibita in città, in quanto considerata malvagia.
Al galà per celebrare i cento anni delle barriere climatiche che hanno consentito la nascita di Zootropolis, grazie al brevetto della famiglia Lynxley, mammiferi costruttori, i due smascherano davvero un vipera che ruba il diario che racconta la nascita delle barriere e fugge. Ad aiutare Judy e Nick c’è un castoro informatissimo sulle teorie cospirative: tra aree semiacquatiche e relitti, condotte forzate e vecchi alberghi alpini, città sepolte nella neve e prigioni da cui evadere, i due protagonisti riusciranno anche questa volta a risolvere il caso, riportando verità e giustizia a Zootropolis.
Il film è grazioso, coloratissimo, forse un po’ difficile da seguire nei suoi continui accumuli narrativi, ma capace di mettere assieme i pezzi di una trama stratificata, come una sorta di videogame che continuamente sblocca nuovi ambienti di gioco.
Torna il bradipo Flash, naturalmente, ma si tratta appena di un cameo, che strappa una delle poche gustose risate di un film invece seriamente impegnato a tenere alto il ritmo dell’azione e a ricostruire nelle forme del buddy movie poliziesco, il suo messaggio educativo sulla tolleranza reciproca, la fiducia tra diversi e la collaborazione che moltiplica le forze.
Forse per capire davvero questo Zootropolis bisogna tornare al suo titolo originale, ben più significativo di quello italiano: Zootopia.
La città degli animali, in cui tutti convivono pacificamente, nonostante le leggi della natura, è infatti un’utopia realizzata, che mostra talvolta qualche crepa profonda: nel primo capitolo la polizia discriminava la coniglietta considerata poco adatta al suo compito, in questo secondo episodio scopriamo che questa città ideale è stata costruita sull’inganno e sulla ghettizzazione dei rettili.
Accade a Zootopia come nelle nostre città: le intenzioni della politica sono piene di ideali nobili, ma non tutti i cittadini ne sono all’altezza. L’inganno, il razzismo, l’avidità richiedono un continuo sforzo quotidiano.
Bush e Howard sono ancora più ambiziosi che nel primo episodio, costruendo attorno ad una trama da romanzo hard boiled, che apre misteri e derive ad ogni nuovo incontro, un messaggio che suona clamorosamente in controtendenza nell’America di Trump e Musk.
L’antropomorfismo classico della Disney qui trova sempre nuove forme per esprimersi, ma colpisce soprattutto nel confronto fra il grandissimo e il minuscolo, su cui il film gioca diverse gag visive. E’ evidente che i comportamenti umani diventano stereotipi da associare a nuove specie animali, in un divertito gioco di rimandi.
Se nel primo episodio il villain era il più mansueto dei mammiferi, una piccola pecora bianca, questa volta il cattivo designato è un serpente, da sempre simbolo della tentazione e del peccato, ma che si rivela invece solo desideroso di rendere giustizia alla sua famiglia.
Il villain autentico è invece un giovane considerato debole, che cerca l’approvazione del suo clan, mostrando il suo valore nel più subdolo dei modi. Anche in questo caso il gioco delle aspettative familiari e sociali gioca un ruolo determinante.
In un film tutto di corsa, che un tempo sarebbe stato perfetto per Brad Bird, la colonna sonora è curata proprio da Michael Giacchino, ma il pezzo che rimane in testa è quello firmato da Shakira e Ed Sheeran, Zoo.

