The Life of Chuck

The Life of Chuck **1/2

Terzo adattamento kinghiano per Mike Flanagan in attesa della sua serie su Carrie, The Life of Chuck ha avuto una vita produttiva piuttosto complicata.

Il racconto, parte della raccolta Se scorre il sangue,  pubblicata nell’aprile 2020, originariamente opzionato da Darren Aronofsky è poi passato nel 2023 al regista de Il gioco di Gerald e Doctor Sleep, che ha fissato le riprese proprio in mezzo allo sciopero degli sceneggiatori e degli attori.

Il film è stato poi presentato in anteprima al Toronto Film Festival del 2024, dove ha vinto il prestigioso premio del pubblico. Neon tuttavia che aveva già Anora su cui puntare nella stagione degli Oscar, ha preferito rinviarne l’uscita di quasi un anno, lanciandolo solo il 6 giugno 2025 negli Stati Uniti.

Il film è strutturato in tre atti, che vengono tuttavia presentati in ordine inverso, cominciando dal terzo: Thanks, Chuck.

Mentre il professore Marty Anderson sta leggendo in classe Song of Myself di Whitman, sui cellulari dei suoi alunni arriva la notizia di un disastroso terremoto in California. In pochi mesi il mondo è ridotto al collasso, tra disastri naturali, conflitti, blackout tecnologici che cominciano con l’addio a internet e poi pian piano anche alle stazioni tv e a tutti i servizi essenziali. L’unica cosa che resiste è tuttavia il misterioso messaggio: “Charles Krantz: 39 Great Years! Thanks, Chuck!” che compare su un cartellone, poi in una pubblicità alla radio, quindi in tv, prima del monoscopio che oscura le trasmissioni.

Sui muri delle città cominciano a comparire graffiti che inneggiano a Chuck, come una sorta di culto.

L’ex moglie del professor Anderson, Felicia Gordon, è un’infermiera in ospedale, ma il suo compito sta per finire. I pazienti scappano via, il tasso di suicidi è elevatissimo. Una sera, poco prima che anche le comunicazioni telefoniche si interrompano per sempre, Marty la raggiunge a piedi nel suo quartiere.

Nel secondo atto, Buskers Forever, un bancario di quasi quarant’anni, fuori città per un convegno professionale, si ferma improvvisamente in mezzo alla strada dove sta suonando Taylor, una talentuosa percussionista, e comincia a ballare. A lui si unisce Janice Halliday, un giovane donna appena lasciata dal proprio fidanzato. I tre radunano una piccola folla, ammirata dal loro talento.

Nel primo atto, I Contain Multitudes, un giovane ragazzino cresciuto dai nonni scopre l’amore per il ballo grazie alla sua professoressa di ginnastica e conquista Cat, un ragazza più grande e più alta di lui, proprio grazie alla sua passione per la danza. Nella vecchia casa vittoriana in cui vive con i nonni c’è una stanza segreta, chiusa a chiave: il nonno sostiene sia abitata dai fantasmi e gli proibisce di aprirla.

La ricostruzione della storia di The Life of Chuck è volutamente lacunosa e omissiva, per non rovinare la sorpresa di scoprire cosa lega i personaggi dei tre atti del racconto del magnifico racconto di Stephen King.

Il film di Mike Flanagan è un notevole adattamento che riesce a tenere assieme la malinconia poetica dell’universo dello scrittore del Maine, qui nella sua vena più elegiaca, con i temi forti del suo percorso autoriale, più interessato alla metafisica dell’orrore e della morte, piuttosto che ad evocare paure e spaventi.

In un racconto millenarista, che sembra costruito sul paradosso del calendario cosmico di Carl Sagan, Flanagan asseconda sino in fondo le suggestioni di King, trasformando l’apparente catastrofismo iniziale in un piccolo racconto personale, un dramma intimo, in cui la dimensione familiare e quella sovrannaturale coesistono proficuamente.

The Life of Chuck è una favola ottimista e sentimentale, che naviga nei drammi della vita con spirito resiliente.

Flanagan ne fa il manifesto del suo cinema con tutti i suoi limiti e le sue virtù e con uno spirito che sarebbe piaciuto al Frank Capra de La vita è meravigliosa.

E’ forse un peccato che il film perda i protagonisti del primo atto, in particolare il Marty di Chiwetel Ejiofor, e quelli del secondo, i buskers che ballano con Tom Hiddleston, per un inseguire un racconto di formazione piuttosto ordinario e un po’ stucchevole nel terzo atto, che dovrebbe risolvere narrativamente il racconto, ma che invece si sfilaccia nel sentimentalismo.

Se nei primi due capitoli è l’ordinario che appare curiosamente fuori scala, nell’ultimo anche lo straordinario e il sovrannaturale risultano banali.

Il mistero del terzo atto iniziale si trasforma così nel patetico del primo finale, appesantito dal voice over di Nick Offerman e da un Mark Hamill inutilmente predicatorio e paternalista.

Risulta alla fine un po’ sprecato anche il talento di Hiddleston come ballerino, utilizzato solo nella notevole scena centrale del film e poi un po’ dimenticato nelle pieghe del racconto.

Interlocutorio.

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