Lucy è una matchmaker di successo di una moderna società newyorkese che sta a mezza strada tra le vecchie agenzie matrimoniali e Tinder. Raccoglie i dati sensibili dei suoi clienti, secondo una logica biecamente materialista – altezza, forma fisica, reddito, abitudini, attività lavorativa, proprietà – e fa in modo che domanda e offerta si incontrino in uno di quegli appuntamenti che, secondo lei, sono la parte più difficile e scoraggiante di ogni possibile relazione.
Due dei suoi facoltosi clienti hanno appena annunciato il loro matrimonio ed è la nona volta che il suo intervento da moderno cupido va pienamente a segno. In un ufficio di sole donne, la sua direttrice Violet e le altre colleghe festeggiano insieme a lei.
Alla cerimonia incontra il fratello dello sposo, Harry, quello che nel suo gergo viene chiamato “unicorno”: alto oltre 1,80, ricco di famiglia, un lavoro solido nella finanza, in ottima forma, affascinante, ben vestito e con una casa da 12 milioni a Manhattan. Sostanzialmente un single che non dovrebbe esistere e che tuttavia c’è, alzando le aspettative irrealistiche di tutte le sue clienti.
Solo che Harry non vuole conoscere Lucy come matchmaker, ma preferisce flirtare con lei. Alla festa Lucy incontra il suo vecchio fidanzato, John, uno squattrinato attore di teatro che vive con due impossibili coinquilini e sbarca il lunario lavorando come cameriere per un’agenzia di catering.
Disegnato così un triangolo sentimentale completamente squilibrato, Celine Song cerca di ribaltare continuamente i cliché della commedia sentimentale newyorkese, applicando i meccanismi che Stanley Cavell aveva studiato e codificato a proposito dei classici degli anni ’30 e ’40, alla nostra società contemporanea, ossessionata dalla compatibilità, dal consenso, dalle bolle social e sociali all’interno delle quali si hanno tutti le stesse idee, lo stesso reddito, gli stessi amici.
Come suggerisce Lucy a Harry nel loro primo incontro, il suo lavoro non è diverso da quello di un anatomo patologo o di un assicuratore: tutto è soppesato e valutato, non c’è alcuno spazio per l’imprevedibilità dei sentimenti.
Eppure Lucy, lo scopriamo solo dopo, in un breve ma significativo flashback, ha avuto un passato velleitario da attrice e una relazione infelice con un uomo che è quanto più lontano possibile dai suoi clienti: uno che ha votato Bernie (Sanders), vive in una stanza e ha un lavoro precario che continua a fare “solo perché qualcuno una volta gli ha detto che era bravo”.
In fondo Lucy cerca di dare alle sue clienti quello che non ha mai voluto per sé. E anche quando l’idillio con Harry si fa più serio e spuntano viaggi in Islanda e anelli con diamanti, la protagonista continua a chiedersi se è davvero quello il sentimento che vuole coltivare.
Dopo l’autobiografico e malinconico Past Lives, Celine Song continua a raccontare le relazioni sentimentali con più amarezza e disincanto di quanto ci potremmo aspettare. E questa volta anche con uno spirito evidentemente molto critico rispetto alla deriva materialista che sembra aver annullato qualsiasi residuo di romanticismo. Nel suo lavoro Lucy costruisce ogni rapporto come una transazione d’affari, un contratto con clausole e rapporti di forza, con un cinismo che non è neppure in qualche modo velato o mediato, ma è invece accettato dai suoi stessi clienti, che parlano il medesimo linguaggio.
I frammenti del discorso amoroso hanno perso qualsiasi aura idealistica, figli di una società in cui il gap tra sommersi e salvati si è mangiato tutta la classe media.
Eppure proprio attraverso il personaggio di Lucy il film scardina questa logica e con le armi della commedia romantica, cerca di inseguire un lieto fine meno scontato di quello che il film apparecchia senza alcuno sforzo.
Song ironizza sull’ossessione alla profilazione del capitalismo del XXI secolo, inserendo la vita di ciascuno nelle caselle giuste. Poco importa se poi qualcuno bara e accade l’irreparabile, nessuno si prenderà davvero la responsabilità.
Tutti e tre i protagonisti di Material Love cercano di essere quello che non sono: l’inganno comincia da se stessi. Lucy si proclama fredda e calcolatrice, ma in realtà porta la maschera del suo personaggio e non seguirebbe mai quel modello che utilizza per le sue clienti; Harry per diventare un unicorno ha dovuto faticare e non poco, piegando la natura agli standard del successo; John infine continua ad illudersi di poter giocare al giovane attore di belle speranze in eterno, anche se i quaranta incombono e non è più tempo di sognare off-Broadway.
Esattamente come Past Lives anche Material Love è un film fragile, un po’ indifeso, che non riesce davvero ad essere quello che vorrebbe diventare.
Pascal è un volto per tutte le stagioni, inflazionato in parti maschili post-patriarcali, che tuttavia cominciano ad assomigliarsi un po’ troppo; Chris Evans è inquietante in ogni ruolo che non sia quello di Captain America e anche qui è ai limiti dell’autoparodia; resta Dakota Johnson, che sembra sempre recitare per destino e per capriccio più che per necessità e convinzione, solo che la macchina da presa è innamorata di lei e qualunque cosa faccia in un certo modo sembra funzionare. Il suo è il personaggio più rotondo del film, quello che ha un arco narrativo più compiuto e quello con cui lo spettatore dovrebbe empatizzare, al netto di un intreccio un po’ troppo macchinoso nell’ultimo atto. Ed è indubbio che funzioni, caricandosi il film, anche per i due impalpabili co-protagonisti.
Modesto invece l’apporto dei comprimari, solitamente essenziali in ogni commedia che si rispetti.
Quando qualcuno ha ironicamente etichettato il suo film come un’apologia del fallimento, Song ha risposto in modo molto serio: “E’una cosa che non mi fa ridere, anzi mi delude davvero. Penso che ci sia una confusione molto profonda sul femminismo e sulla sua storia […] il femminismo è sempre stato in prima linea nella lotta al capitalismo, quindi sono molto preoccupata per il modo in cui parliamo oggi delle persone povere. E’ molto importante per me sottolineare che la povertà non è colpa dei poveri. Trovo molto crudele parlare di John – un personaggio meraviglioso che ama Lucy ed è interpretato magnificamente da Chris – come di un fallito[…] Mi preoccupa molto che qualcuno parli del mio film e dei miei personaggi e che li consideri in termini così classisti. L’intero film parla di lotta contro il modo in cui il capitalismo cerca di colonizzare i nostri cuori e l’amore”.
Dal 4 settembre in sala con Eagle Pictures.


