Mani nude

Mani nude **1/2

Tratto dal romanzo di Paola Barbato, Premio Scerbanenco nel 2008, Mani nude è il secondo film di Mauro Mancini dopo l’ambiguo Non odiare, sempre interpretato da Alessandro Gassman nel 2020.

Una cava abbandonata, un camion che gira in tondo ipnoticamente. Quando alla fine si ferma e si aprono le porte sul retro scopriamo che al suo interno c’erano due uomini. Solo uno è sopravvissuto: Davide, un ragazzino rapito da una discoteca pochi minuti prima e gettato a giocarsi la vita con un lottatore di incontri clandestini, per puro allenamento.

Davide sorprendentemente batte il campione: ma battere vuol dire uccidere.

Rinchiuso su un cargo commerciale assieme ad altri sciagurati che si allenano e combattono cercando una libertà che non riavranno mai, Davide .- che sceglie il nome d’arte di Batiza, si affeziona a Puma, uno dei “cani minori”, che si allena con lui. Il loro carceriere è il severo Minuto, quasi certamente un ex lottatore che ora lavora per il boss Amato, organizzatore di incontri clandestini in posti impensabili: teatri, hall di alberghi, sale da bowling, residenze private, parcheggi e miniere dismesse, raccogliendo scommesse e soldi per una criminalità che rimane quasi sempre sullo sfondo.

Quando Puma rimane ucciso nel suo ultimo incontro, Davide cerca una vendetta impossibile, che sconvolgerà la sua vita e quella di Minuto, aprendo nuove possibilità e stupide illusioni.

Aperto da una citazione di Edward Bunker “Non c’è nessun inferno… e neanche il paradiso. La vita è qui. Il dolore è qui. La ricompensa è qui” il film di Mancini è un’altra esplorazione nella colpa e nella redenzione, nel dolore individuale e di personaggi che si trovano costretti a fare i conti con se stessi e con le proprie azioni.

Davide non è stato rapito per caso, il suo legame con Minuto è nascosto nelle biografie di entrambi, in una brutta storia che pesa nel loro rapporto.

Mancini lavora in maniera molto originale sullo spazio, sfruttando questi cascami post industriali con una grande capacità di messa in scena, valorizzandone la decadenza, che si associa alla violenza belluina dei combattimenti.

E finchè il racconto si mantiene ellittico, ambiguo e di genere, tutto sembra funzionare egregiamente. Meno quando i due protagonisti si mettono in proprio e cercano una via di fuga dal proprio ruolo: la seconda parte è più leggibile e l’elemento amoroso associato al sentimento paterno sono inutili sottolineature di un film che non aveva bisogno. Così come la scena del flashback che mostra come Minuto abbia scelto Davide, come forma di punizione per una colpa che il ragazzo continua a portare su di sè.

Più volte appare in scena una copia del Protagora di Aristotele, ma non è la virtù che cerca di insegnare il film di Mancini.

Francesco Gheghi, già visto in Familia e notevole Romeo nell’adattamento da Shakespeare curato da Mario Martone per il Piccolo Teatro, è davvero molto intenso e magnetico nella parte di Davide, nonostante il suo fisico esile possa sembrare inadatto al ruolo di un combattente. E infatti sopravvive ai suoi match sempre lacerato, tumefatto, esausto, solo grazie ad una forza nervosa, che gli occhi spiritati fanno emergere da una maschera di sangue.

Alessandro Gassman sfrutta invece più chiaramente il suo fisico imponente per un personaggio che in realtà appare piegato da una vita che non ha scelto e che continua a tradire i suoi sentimenti. Padre e aguzzino al tempo stesso, vendicatore e salvatore di una storia piena di sangue arrugginito, resta un personaggio a lungo impenetrabile nei suoi insistiti silenzi.

Mancini ecce forse con i primi piani, facendone un contrappunto continuo alla notevole impaginazione drammatica del suo film, che sembra funzionare meglio quando sfrutta l’originalità ambigua dei set, anche grazie alla fotografia notturna di Sandro Chessa che immerge la prima parte in dominanti rosse e gialle, mentre sceglie verdi e grigi muti nella seconda, e alla colonna sonora di Dardust, non meno straniante.

E’ un film italiano inconsueto questo Mani nude, spiazzante, un’apnea nella natura più nera dell’animo umano, in cui l’unica legge è quella del più forte, in cui morte e salvezza sono le due facce della stessa moneta e in cui ciascuno dei personaggi cerca di riconoscere e poi eludere al propria natura più brutale e animalesca.

Il finale ci precipita ancora nell’incubo, con una forza circolare che non lascia vie d’uscita: pur prevedibile, rimane ugualmente inquietante.

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