Cannes 2025. Miroirs no. 3

Miroirs no. 3 ***

Christian Petzold debutta alla Quinzaine di Cannes a sessantacinque anni con il suo nuovo lungometraggio, il quarto girato con la musa Paula Beer, l’undicesimo di una carriera in cui ha raccolto certamente meno di quanto avrebbe meritato.

Il nuovo lavoro è un racconto semplicissimo, lineare, che sta tutto nelle immagini e nelle parole dei suoi personaggi. Non vuole avere significati nascosti, allegorie, metafore: il suo cinema si è fatto via via sempre più essenziale e classico, sfrondato di ogni elemento inutile, di ogni interpretazione ridondante, di ogni inquadratura fuori posto.

Le protagoniste di Miroirs no. 3 sono due donne, la giovane Laura, una musicista, in vacanza con il fidanzato e una coppia di suoi amici e Betti, una madre che la vede passare in auto, mentre dipinge la staccionata della sua casa desolatamente vuota, in cui tutto sembra essersi rotto, irreparabilmente.

Laura è diretta ad una gita in barca che non ha nessuna intenzione di fare. Convince il fidanzato a riaccompagnarla a casa, ma pochi metri dopo aver incrociato di nuovo Betti, la loro auto si ribalta fatalmente.

Unica sopravvissuta, praticamente illesa, Laura chiede a Betti di poter restare qualche ora a casa sua per riprendersi, evitando l’ospedale dove vorrebbe portarla l’ambulanza.

Betti sembra ben contenta di condividere casa sua con la sconosciuta, di cui si prende cura amorevolmente. Le prepara la colazione, le porta dei vestiti puliti, l’accompagna in bicicletta in paese.

Ma Betti non è davvero sola. Il figlio e il marito – gli uomini – gestiscono un’officina meccanica, ma non sembrano più vivere con lei. Qualcosa nel passato della loro famiglia ha sconvolto la loro unità. Laura sembra rappresentare improvvisamente il motivo per farli tornare assieme.

Miroirs no. 3 è un film piccolo che racconta sentimenti enormi: il dolore per la perdita, la necessità di elaborare il lutto, la disgregazione di una famiglia perduta in un’assenza improvvisa, la possibilità di ricominciare a vivere accettando che chi è mancato non potrà più tornare.

Petzold sembra volerci dire che anche quando l’orizzonte ci appare privo di senso e la malinconia del passato l’unico motivo per non perdersi del tutto, c’è ancora la possibilità di amare, di condividere i propri sentimenti, di trovare nell’altro un motivo nuovo, persino inconsapevolmente.

Come già accadeva per Il cielo brucia, siamo dalle parti di Rohmer e dell’Allen più elegiaco degli anni ’80, ma senza le nevrosi tipiche dei suoi personaggi.

Il film è costruito sui piccoli movimenti dei personaggi, sui loro viaggi in bicicletta o in auto, sulle loro assenze, sui silenzi, i non detti, sugli arrivi e i ritorni. La verità si insinua a poco a poco, magari da un lapsus e da una musica suonata al pianoforte. Sono momenti apparentemente trascurabili, ma spesso contano più di molte parole ridondanti.

In questo spazio di incontro e di riconoscimento, di cura e di compassione, Petzold ha scritto il suo nuovo film, regalandoci un piccolo racconto di fine estate, caldo come il sole che lo illumina e mutevole e profondo come lo sguardo di Paula Beer e Barbara Auer, le due straordinarie protagoniste, che ne interpretano l’anima più autentica.

Il titolo fa riferimento a Une barque sur l’océan del ciclo dei Miroirs di Maurice Ravel per pianoforte.

Da non perdere.

 

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