Cannes 2025. Highest 2 Lowest

Highest 2 Lowest **

Il remake di Anatomia di un rapimento di Kurosawa, tratto a sua volta da un romanzo di Ed McBain, King’s Ransom, è sembrata l’occasione giusta a Spike Lee per prendere di petto l’industria musicale afroamericana, le sue illusioni e le sue derive.

E’ il quinto film con Denzel Washington protagonista, il primo Mo Better Blues è del 1990, l’ultimo Inside Man lontano quasi vent’anni.

Prodotto da Apple, uscirà negli States per A24 in sala a fine agosto.

Il protagonista è David King, mogul della Stackin’ Hits, un’etichetta fondata un quarto di secolo prima e diventata presto un punto di riferimento nel panorama della musica black.

Ora le cose sono molto diverse e una label concorrente ha fatto un’offerta allettante per fondere le due società. Deciso a non cedere il controllo, King si offre invece di acquistare la quota di uno dei suoi soci, ipotecando il suo attico, per riprendere il controllo completo della Stackin’ Hits e rilanciarla secondo una direzione diversa.

Proprio mentre sono in corso le trattative, viene contattato da un misterioso rapitore che ha in mano sui figlio Trey e chiede 17,5 milioni di dollari in franchi svizzeri come riscatto.

L’angoscia dura poche ore, perché già a sera Trey ritorna a casa: per un banale errore, il rapitore ha preso il suo amico Kyle, il figlio dell’autista di King, Paul Christopher.

La richiesta però non cambia, il riscatto rimane lo stesso e non pagare può significare la rovina per la reputazione di King, proprio nel momento più difficile della sua carriera.

Decide così di mettere in stand by i suoi piani imprenditoriali e di salvare il figlio del suo autista, seguendo il piano della polizia.

Lo scambio avviene sulla metropolitana, proprio mentre è affollata dei tifosi degli Yankees e mentre è in corso la Puerto Rican Day Parade nel South Bronx. Approfittando della confusione, il rapitore riesce a ingannare la polizia.

Kyle ritorna a casa, ma dei soldi di King si perdono le tracce. E così tutta la sua legacy e la sua stessa stabilità familiare è a rischio…

Highest 2 Lowest è uno strano oggetto difficilmente identificabile: la prima parte è quella che più rimane fedele al racconto originale, alle sue dinamiche di genere e agli interrogativi che solleva, ma Lee sembra incapace di trovare il tono giusto, continuando a oscillare tra commedia e dramma, accumulando segni e simboli delle sue ossessioni ricorrenti tra cinema e sport, immergendo letteralmente il film in una colonna sonora, scritta da Howard Drossin, talmente invadente e infelice da essere quasi caricaturale.

L’effetto è spiazzante e non si capisce se prestare fede alla dimensione morale del racconto o inseguire le sbruffonerie di un Denzel Washington continuamente sopra le righe, maschera di se stesso, eppure – in un curioso corto circuito – immagine su cui una parte importante della cultura pop afroamericana – e forse lo stesso David King del film – ha costruito il suo linguaggio e le sue posture.  

E se la lunga scena in metropolitana è l’unica in cui il rapporto tra musica e immagini funziona davvero, grazie alla performance dal vivo dell’orchestra di Eddie Palmieri alla festa portoricana, che si aggiunge ai cori dei tifosi di baseball e alla tensione tra le fermate per gli ordini arrivati dal rapitore, con il fallimento dei tentativi della polizia di recuperare i soldi del riscatto, diventa un momento di passaggio fra il thriller originale, contraddittorio e vacuo e qualcosa di completamente diverso.

Dopo quell’inseguimento si apre l’ultimo atto, riscritto radicalmente da zero da Alan Fox, nel quale il film Spike Lee decide di regalarci qualcosa di proprio e di autentico, mettendo il suo protagonista spalle al muro con se stesso e con la musica che ha prodotto all’interno di un sistema bianco e razzista, oggi ancor più degenerato in una corso al successo che ha perduto la sua anima.

Lee mostra innanzitutto come la polizia tratti in modo differente il ricco e autorevole King, che ha comunque un ruolo di rilievo nella comunità, e il modesto autista Paul, dal passato non immacolato.

Quindi sfrutta l’occasione per mettere a confronto due idee diverse di quello che dovrebbe e potrebbe essere la cultura pop afroamericana e per farlo mette uno contro l’altro, nel modo più chiaro possibile, attraverso uno split screen che regala la stessa attenzione ad entrambi, due icone di quella cultura: Denzel/King appunto e il rapper A$AP Rocky nei panni del rapitore disperato.

Il primo confronto avviene in una sala d’incisione ricavata in un basement: i due separati dal vetro, parlano attraverso l’interfono in un momento che mostra perché il personaggio di Washington sia davvero uno dei re della scena musicale newyorkese. E contemporanemente mentre David rivendica quello che davvero ama, ci sembra di ascoltare le parole di Lee stesso, una delle guide più autorevoli di quella stessa comunità artistica.

E allora se ha davvero senso rimettere mano al capolavoro di Kurosawa non è tanto per raccontare ancora la stessa storia, ma per farne, per un verso, un’ode alla sua New York, vista dalla terrazza dell’Olympia Dumbo building di Brooklyn ma anche dai vagoni della metropolitana del Bronx, nella sua vivacità culturale – in cui Basquiat e Warhol hanno un ruolo centrale – e nei suoi eroi sportivi – dai Knicks di Brunson agli Yankees di Jeter.

E, per l’altro, un monito all’industria musicale contemporanea, in cui come dice David “You either build or destroy“: la scelta di Lee è chiara, il finale è esplicito.

Back To Basics.

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