Mission: Impossible – The Final Reckoning **1/2
L’ottavo capitolo delle avventure dell’agente IMF Ethan Hunt è la diretta continuazione dell’ultimo Dead Reckoning, uscito nell’estate del 2023.
Allora l’avventura si interrompeva a metà, lasciando il protagonista finalmente in possesso della doppia chiave cruciforme in grado di controllare o distruggere l’Entità: una potentissima Intelligenza Artificiale che sembra perseguire finalità proprie, il cui codice sorgente è sepolto all’interno del sonar del sottomarino Sebastopol, arenatosi nelle profondità degli abissi, tredici anni prima.
E così mentre Stati e Nazioni si affanno a recuperare le due parti della chiave, attraverso intermediari e criminali senza scrupoli, per accedere al potere virtualmente sterminato dell’Entità, mentre quest’ultima diventa sempre più intelligente perseguendo la sua agenda di caos e distruzione, Hunt sembra l’unico deciso ad annientarla, consapevole della sua inafferrabilità e dei pericoli che crea alla stessa sopravvivenza dell’umanità.
Dopo aver recuperato le due parti della chiave dalla ladra Grace, costretta ad accettare la “proposta” dell’IMF per sottrarsi alla morte o alla cattura, e da Ilsa Faust, al prezzo della vita dell’ex agente dell’MI6, Hunt scopre infine da Paris, la criminale pentita che lavorava assieme a Gabriel per l’Entità, che la chiave cruciforme serve ad accedere alla matrice dell’Intelligenza Artificiale, all’interno del Sebastopol.
Ma dov’è che si è inabissato esattamente il Sebastopol nel 2012?
Dopo un prologo che dura oltre venti minuti in cui riavvolgiamo il filo di quasi trent’anni di missioni impossibili, Hunt viene ingaggiato dalla Presidente degli Stati Uniti per l’ennesima impresa disperata. Con l’Entità che sta prendendo a poco il controllo dell’arsenale atomico delle grandi potenze, solo poche ore ci separano dall’armageddon.
Ciascuno segue tuttavia la propria agenda: i militari e il Consiglio di Difesa americano vorrebbero lanciare un attacco preventivo, Kittridge e la CIA sperano di controllare l’Entità, il villain Gabriel, ripudiato dall’A.I. dopo i fallimenti di Dead Reckoning, vuole per se il codice sorgente, Hunt invece è deciso ad annientarla e ha fatto realizzare da Luther una sorta di antidoto – una “poison pill” – che la disarmi definitivamente.
Dall’Austria a Londra, dalle profondità del mare di Bering, fino ad una segretissima vault digitale in Sudafrica, anche questa volta l’agente Hunt è costretto a fare i conti con una minaccia che rischia di annientare ogni ipotesi di futuro, ma anche con i fantasmi del suo passato. Tornano personaggi e storie che hanno attraversato la serie, per spingere il protagonista di nuovo di fronte al baratro del caos mondiale.
Due le sequenze memorabili: quella ambientata a bordo del Sebastopol che ruota su se stesso nelle profondità dell’Oceano con Hunt a bordo che cerca di recuperare il codice sorgente dell’Entità e mettersi in salvo evitando anche i pericoli della decompressione e l’ultima aerea, ambientata in Sudafrica, quando il protagonista insegue Gabriel e il suo braccio destro attaccandosi letteralmente ai loro biplano.
Con una differenza: mentre la lunga sequenza sottomarina è un pezzo di grande cinema autosufficiente e costruito tutto attorno alla presenza fisica dell’eroe, l’altro è parte del lungo montaggio alternato con gli altri personaggi della storia, ciascuno essenziale per raggiungere l’obiettivo di disarmare la minaccia una volta per tutte.
McQuarrie, che scrive il copione anche questa volta con Erik Jendresen, ci mette un tempo infinito per avviare quella sensazionale macchina-cinema che tutti conosciamo come Tom Cruise.
La storia indugia farraginosamente per quasi un’ora e mezza, prima di sciogliersi in una dimensione di pura azione per l’azione che è quella all’interno della quale il suo protagonista sembra trovarsi ormai pienamente a suo agio, una sorta di proiettile scagliato sullo schermo, capace di ogni traiettoria e di ogni deviazione, ma implacabilmente efficace e in grado anche questa volta di lasciarci a bocca aperta, in uno stato di esaltazione incredula.
E’ la magia del cinema che si ripete anche questa volta: il prestigio è davanti ai nostri occhi, entusiasmante.
Cruise ha ricostruito attorno a Mission: Impossible una carriera che nei primi anni duemila, esattamente fra il terzo e il quarto capitolo della serie, sembrava deragliata pericolosamente, se non decisamente compromessa.
Eppure uno stunt alla volta a partire dal Burj Khalifa, sempre più impareggiabile e definitivo, Cruise ha ricostruito la sua credibilità cinematografica, facendo di Hunt il suo alter ego definitivo sullo schermo: fedele ai suoi amici e compagni, come parte di quella famiglia che non ha potuto avere, leale col suo governo, ma attento nel metterne sempre in discussione gli obiettivi e le verità, individualista e solitario, ma generoso, capace di onorare sino in fondo il giuramento dell’IMF: “live and die in the shadows for those we hold close and those we never meet”.
Dopo il COVID Cruise ha poi assunto il ruolo salvifico e romantico di un Atlante che sostiene sulle sue spalle l’esperienza cinematografica tout court, capace di riempire le sale quando molti cominciavano a dubitare che sarebbe stato ancora possibile, promotore instancabile dei film a cinema, dei festival, di tutto l’ecosistema hollywoodiano e mondiale: ancora il più grande spettacolo del mondo.
In questa ultima avventura fin dall’inizio ritornano volti e immagini del passato e tutto sembra tenersi: nonostante il brand sia stato costruito originariamente lasciando ai grandi registi action la libertà di interpretare “il tema” in modo personale (De Palma, Bird, Woo, Abrams), da quando il timone è passato stabilmente a McQuarrie, le priorità sono diventate altre: pur capace di costruire set d’azione memorabili per forza emotiva e chiarezza compositiva, il tono è diventato sempre più cupo, crepuscolare, fino ad essere decisamente apocalittico in questo ultimo dittico e il peso assegnato ai coprotagonisti ha regalato maggiore spessore umano anche ad Hunt.
E’ curioso come The Final Reckoning assomigli per amarezza e malinconia all’ultimo Bond di Daniel Craig, No Time To Die: entrambi finali di partita, entrambi desiderosi di pareggiare i conti con il passato.
E’ invece interessante notare come l’ultimo villain di queste avventure sia un Entità senza nome, interamente digitale, che vive e prospera nella comunicazione online e che non ha barriere e limiti potendo accedere facilmente ad ogni database e ad ogni segreto mondiale.
Per Hunt/Cruise con la sua inarrivabile fisicità analogica, con i suoi numeri impossibili e le sue corse a perdifiato, è il nemico perfetto, una sorta di nemesi assoluta, che fa piazza pulita del confuso ordine mondiale in un’età di onnipotenza tecnologica, costringendo tutti a ripensare le proprie risorse secondo un ordine di priorità antico. E’ in fondo la vittoria testarda dell’umano sul genio artificiale, intrappolato per una volta nella lampada da cui era uscito.
Se davvero The Final Reckoning terrà fede al suo titolo terminale è difficile da dirsi. Conterà certamente il successo del film in sala, ma un lungo arco narrativo si è chiuso e il tentativo di affiancare a Cruise attori capaci di prenderne il testimone è fallito sia con Renner sia con Cavill.
Continuare non può che voler dire allora ricominciare da capo: per ora godiamoci lo spettacolo di questa ultima missione. Poi spetterà a Cruise, sempre più performer totale, decidere se accettare l’incarico ancora una volta.
Questo messaggio si auto-distruggerà in 3-2-1…

