Se non conoscete il quarantenne Zach Cregger, attore originario di Arlington, fondatore del gruppo comico The Whitest Kids U’ Know, poi co-regista con Trevor Moore delle commedie Miss March e The Civil War on Drugs, due progetti nati proprio all’interno del collettivo newyorkese, infine autore di uno degli horror più interessanti e misconosciuti del decennio, la colpa non è vostra.
In Italia il suo lavoro è rimasto pressoché sconosciuto: inediti i primi film, Barbarian è disponibile solo su Disney+, uscito su piattaforma ad Halloween 2022, dopo che in patria aveva incassato 40 milioni da un budget di appena 4, distribuito dalla 20th Century.
Cregger ha poi lasciato le sue impronte come produttore di un altro horror interessante, Companion di Drew Hancock, uscito a fine gennaio e in estate sarò nelle sale americane il suo nuovo lavoro, Weapons, con Josh Brolin, Julia Garner, Alden Ehrenreich, per Warner Bros.
Vale la pena allora soffermarci su Barbarian, che sembra avere sulla carta tutte la caratteristiche e i motivi di un elevated horror: nasce quasi per gioco dall’idea di Cregger di costruire un racconto che mettesse in fila quante più possibili red flag per la sua protagonista femminile, segnali d’allarme per una situazione o un comportamento potenzialmente pericolosi.
E infatti il film comincia con la protagonista Tess a Detroit per un incontro con una famosa documentarista, che intende offrirle un lavoro nel suo prossimo film.
Si ritrova però in piena notte, in un quartiere fantasma, sotto la pioggia, in un B&B già occupato da uomo, Keith, che ha prenotato lo stesso appartamento su un’altra piattaforma.
Invece di andare altrove, trovando un alloggio diverso, Tess si ferma, accetta l’invito ad entrare e condividere la casa. Nel mezzo della notte la porta della sua stanza si apre misteriosamente e Keith sembra avere un sonno molto agitato.
L’indomani alla fine del suo incontro di lavoro, la documentarista le consiglia di cambiare quartiere e in effetti alla luce del giorno, Tess si accorge di essere alloggiata in un quartiere devastato e completamente abbandonato, in cui l’unico immobile non diroccato è il B&B.
Anche questa volta, invece di andarsene, Tess rimane in casa, mentre Keith è assente. Osservando meglio gli spazi, finisce nel seminterrato, dove scopre una porta segreta che spalanca un corridoio buio al termine del quale trova una stanza in cui campeggia un letto insanguinato, una luce al neon perennemente accesa e una vecchia videocamera.
Quando ritorna Keith gli racconta della scoperta ed è finalmente sul punto di andarsene, quando Keith scompare nel medesimo corridoio buio…
Nel frattempo a Los Angeles il regista televisivo AJ viene accusato di stupro da una delle sue attrici. Il suo mondo crolla a pezzi ed è costretto a vendere alcune delle sue proprietà, tra cui c’è una casa nel Michigan.
Con un nuovo salto, questa volta temporale, siamo nei coloratissimi anni ’80 reaganiani e facciamo la conoscenza di Frank, il proprietario originario del B&B: il quartiere era molto diverso, tutto erba tagliata e colori pastello come in un film di Tim Burton.
Barbarian è costruito in modo intelligente sulla costruzione di un’atmosfera riconoscibile di tensione e di pericolo e sulla frustrazione di quelle attese, perché l’orrore arriva sempre da un altrove diverso.
La linea narrativa di Tess è costantemente divisa tra l’orrore nascosto della casa e quello ipotetico del suo occupante, Keith. Quella di AJ sembra di puro alleggerimento comico, ma poi finisce per sovrapporsi alla prima. Infine l’ultima chiarisce solo alla fine quello che accade nella città sotterranea.
Cregger ha evidentemente un intento politico, il suo è un film che cerca di dire qualcosa di interessante sui rapporti tra uomini e donne, su una certa cultura tossica patriarcale e sulle sue derive patologiche, sul #metoo e sull’esercizio del potere d’influenza, eppure non sembra mai tradire davvero la dimensione puramente di genere nel suo lavoro, come accadeva a Hopper o a Craven.
Barbarian non è un horror per caso, ma d’elezione: crede fermamente nella sua struttura narrativa e quello che lascia intendere rimane nel sottotesto senza che travalichi il racconto.
A differenza di Men di Garland, che uscito nello stesso periodo sembra condividere lo stesso messaggio, Cregger non ha intenzione di farci la morale e vuole che il suo lavoro funzioni perfettamente anche come puro meccanismo di genere, senza dover costantemente ammiccare alla sua importanza.
Come detto, senza voler rivelare troppo di una trama che va goduta senza anticipazioni, il regista cerca di disseminare falsi indizi e piste che non portano a nulla, ribaltando punti di vista e attese, lasciando lo spettatore sempre al buio come Tess nel corridoio infame che scorre sotto il B&B.
Emblematica in proposito la lunga scena in cui AJ scopre i sotterranei e, troppo stupido per comprenderne la natura sinistra, si preoccupa solo di misurarne l’estensione per valorizzare la vendita del suo immobile.
Anche nel costruire il solito personaggio maschile che sembra gentile e premuroso, ma forse nasconde una natura ossessiva e pericolosa, Cregger sceglie il volto di Bill Skaarsgaard (IT, Nosferatu) e quindi indirizza una pista che si rivelerà invece molto diversa, così come affida all’empatico Justin Long il ruolo mellifluo del regista accusato a suo dire ingiustamente, che si rivela invece un personaggio detestabile, vacuo e opportunista.
Come ha scritto intelligentemente Quantum Tarantino su I 400 Calci, le tre figure maschili sono a loro modo esemplari: “il nice guy Bill Skarsgard che con la scusa della galanteria spinge continuamente Tess all’angolo; il douchebag Justin Long che dice cose come “lo sai come sono le donne, dicono di no ma in realtà è sì”; e il predatore Richard Brake che semplicemente prende tutto quello che vede perché le donne sono cose, non persone”.
Allo stesso tempo Cregger non schiaccia Tess nel ruolo della vittima predestinata e le lascia invece uno spazio diverso, che ne fa un personaggio più rotondo e complesso.
Da recuperare. In attesa dell’uscita del prossimo Weapons.


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