Nel 1880 due giovani giamaicani arrivano a Londra con pochi scellini in tasca e un sogno nella testa. Comincia così la nuova serie firmata da Steven Knight, il creatore di Peaky Blinders, impegnato in un’ennesima, suggestiva prova articolata in sei episodi (più altri già annunciati). A Thousand Blows, distribuita da Disney+, è un affresco storico-sociale dei bassifondi, una ricostruzione romanzata di vicende dure e crude di proletariato urbano. La serie è ispirata figure realmente esistite.
Hezekiah Moscow vorrebbe fare il domatore di leoni. Il suo amico per la pelle, Eric Lovehall, in Giamaica ha dimostrato di essere un discreto pugile. Dobbiamo pensare più in grande del posto in cui siamo, dice Hezekiah. Tradotto: la periferia est della capitale britannica è un inferno dal quale si può emergere solo con la forza della volontà. Non tutti però credono al concetto di uomo, o donna, padrone e artefice del proprio destino. Mary Carr, la regina delle ladre, si affida solo alla fortuna. Per lei ogni furto è una scommessa. Il colpo che sta organizzando è audace e assurdamente folle: derubare la Regina d’Inghilterra.
Mary è a capo di una congregazione di ladre, tutte donne. Si fanno chiamare le truffatrici dei Quaranta Elefanti e agiscono come una falange armata. Mary, ambiziosa e profondamente tormentata, ha dovuto lottare per consolidare la propria leadership. Scopriremo che i clan nascono per scissione da gruppi più grandi. Lo scontro generazionale è un tema non secondario di A Thousand Blows. Ogni comunità si struttura in gerarchie difficilmente scalabili. Spesso scorre il sangue, in senso tutt’altro che metaforico. La maggiore rivale delle Forty Elephants è Jane, la carismatica madre di Mary. Jane si accompagna a Indigo Jeremy, un uomo dalla fama oscura
La boxe sublima le tensioni sotterranee della società londinese. Combattono i poveri, gli umili, gli analfabeti, e combattono i ricchi, i nobili, i rampolli sfaccendati di antiche casate. La linea di separazione est/ovest corrisponde a due modalità antitetiche di intendere il pugilato. A Londra Est, nel covo polveroso di Blue Coat Boy, gli incontri sono sporchi, devastanti, estremi. Henry “Sugar” Goodson, il terzo grande protagonista della serie, è l’animale da ring temuto da tutti, una belva che, per sua candida ammissione, gode nello stendere (cioè ammazzare) gli avversari. A Londra Ovest, sotto l’egida dell’organizzatore Peggy Bettinson, patrono del pugilato secondo regole, non si potrebbe mai assistere a simili brutalità. Qui, negli eleganti palazzi dell’aristocrazia trasformati in improvvisate arene, i boxeur si conformano a principi di civiltà sportiva imposti da gentiluomini, a partire dall’uso dei guantoni.
Sugar non conosce sconfitte, finché un giorno incontra un pugile nero. No, non è Eric, che intanto ha perso fiducia in sé stesso. È Hezekiah. Il circo si è rivelata una trappola razzista e ora il disprezzo nutre la rabbia. Lui, che sognava di essere un domatore, ha deciso di provarci in prima persona. La sfida tra Sugar e il giamaicano, di grande fisicità, sarà uno degli assi portanti del racconto. Sfida sul ring e sfida per il cuore di Mary Carr.
Nella serie esplode il tema dell’esotismo, dell’ideologia colonialista, della rappresentazione stereotipata e negativa dell’altro, della cattiva coscienza delle nazioni europee. Nulla di nuovo sotto il sole. A Thousand Blows esplora strade, già ampiamente battute da un numero incalcolabile di produzioni cinematografiche e televisive, affidandosi ad una verve narrativa di inappuntabile eleganza formale.
Il melting pot multirazziale / multiculturale sembra quasi misurato col bilancino. Oltre ai figli della diaspora irlandese e ai neri dei Caraibi, non può mancare il cinese di turno. Il signor Lao gestisce la pensione Green Dolphin, ritrovo di elefanti, elefantesse e inevitabile approdo per Hezekiah e Eric. Lao si affeziona a Hezekiah in ragione di un’insospettabile fratellanza di tipo “etnico” (un giamaicano può avere una nonna cinese e parlare il mandarino!). In Lao cova una sofferenza sorda, pronta a farsi vendetta. L’arrivo a Londra della delegazione imperiale da Pechino, via transiberiana, è per lui un’occasione irripetibile. Sono gli stessi dignitari in seta gialla che Mary intende derubare. Durante una cena di gala presso Lord Lonsdale, un fanatico della boxe sposato a una nobildonna in piena crisi depressiva, ognuno attua il suo piano.
Mary, nelle vesti di Lady Augusta (una falsa identità), entra nei salotti buoni della capitale e porta Hezekiah con sé. La boxe apre al giamaicano le porte dell’alta società. Nel quarto episodio la sfida a pugni tra il nobile autoctono di antico lignaggio e l’immigrato spuntato dal nulla è finalizzata a distrarre gli invitati a palazzo, mentre le elefantesse compiono la loro spaccata poche stanze più in là. Lord Lonsdale riconosce a Hezekiah il potere di trasformare l’alta società in marmaglia. Si potrebbe anche dire: di aver portato la disgregazione nel cuore dell’Impero. In che modo? Semplice. Con l’impeto, la forza, i muscoli e lo spirito selvaggio. Ancora stereotipi, frutto di una visione del mondo compromessa da un’ideologia classista.
Hezekiah sogna spesso l’infanzia: immagini di spiagge incantate, due ragazzini stretti da un’amicizia incrollabile, una promessa di protezione. Poi, subentra l’orrore. Spari, grida, gente che fugge. Una cena rivela le ombre del passato. Il migliore confronto dialettico della serie, quello tra Hezekiah e un orgoglioso schiavista (per gli inglesi un nero è comunque un africano), riporta ai fatti accaduti nel 1865. La rivolta di Morant Bay, sanguinosa, servì a piantare il seme di un nuovo ordine politico sull’Isola.
Un breve excursus storico è utile a inquadrare le vicende. Com’è noto, la Giamaica era stata al centro della politica schiavistica dell’Impero britannico. L’abolizione di questa forma di coercizione estrema, negli anni Trenta del diciottesimo secolo, non aveva tuttavia migliorato in maniera significativa la condizione dei neri giamaicani, a cui erano stati concessi in affitto appezzamenti di terreno troppo piccoli per ricavarne un vero sostentamento. La vecchia economia delle colonie, senza la manodopera gratuita fornita dagli schiavi, non reggeva più il mercato. Allo sfruttamento indiscriminato seguì la disoccupazione.
La rivolta contro il dominio bianco iniziò con l’affissione di un manifesto nei pressi di una parrocchia. Vi si leggeva: grande sarà la liberazione dei figli e delle figlie d’Africa, se si umilieranno con vesti di sacco e cenere. Forme di sincretismo religioso cominciarono a predicare l’affrancamento dei neri con toni millenaristici, rivendicando, insieme alla libertà, il pieno diritto alla terra da coltivare. La repressione della nascente rivoluzione fu spietata. Edward Eyre, il governatore dell’Isola, promulgò la legge marziale. Ai soldati fu concessa la licenza di uccidere. Vennero giustiziate duecento persone, molte delle quali senza processo. La brutalità del governatore scandalizzò la Società antischiavista britannica e la campagna contro di lui si allargò al mondo intellettuale dell’epoca. Eyre fu costretto a dimettersi e il regime della cosiddetta “plantocrazia”, cioè dei latifondisti bianchi, ebbe fine.
Se la Giamaica ha riservato lacrime e sofferenza, Londra non è esattamente la sperata terra dell’abbondanza. All’inizio Mary Carr invita Hezekiah a considerare uno strano posto di una strana città, dove i corpi degli uomini tendono a gravitare attorno al fiume che trasporta la loro inettitudine e li accompagna verso l’oceano. L’indicazione, non priva di fascino letterario, è per quei canali di scolo, fogne, fiumi sotterranei utilissimi a chi, dopo un omicidio, è costretto a gettare un cadavere nel Tamigi. In senso figurato, la frase pare l’evocazione di un buco nero, di un orrore metafisico tanto sottile quanto pervasivo. Londra è un gigantesco essere tentacolare che spinge le sue prede nella bocca dei predatori, lo specchio rovesciato di una civiltà soffocata dal perbenismo.
In questo stato di natura urbano, in questa giungla metropolitana, Sugar, il figlio del popolo attraversato da un’incontenibile rabbia, è l’incarnazione di un’etica in via di disfacimento. La vecchia Inghilterra sta per entrare nel nuovo secolo e le rendite di posizione vacillano. Il tema di fondo, la paura del cambiamento che può trasformarsi in odio e follia, emerge con chiarezza.
Mary, donna refrattaria ai sentimenti, veste una corazza che si sfalda al tocco di Hezekiah. Quest’ultimo è lo straniero, l’imprevisto, il futuro inatteso anche in chiave politica: l’oppresso delle colonie che bussa alle porte dell’oppressore. Il triangolo è servito, l’equilibrio infranto e la rivincita decisiva tra Sugar a Hezekiah (“Non possono esserci due di noi”) sempre rimandata.
Mentre il bianco non si sottomette alle nuove prescrizioni dettate dai maestri dello sport, il pugile nero accetta la regolamentazione della violenza. Se il combattimento è ad armi pari, lui può vincere, affidandosi al suo corpo scolpito, ma anche alla velocità e alla tecnica. I match sono infatti a senso unico e soprattutto leali, almeno fino all’incontro del secolo con Buster Williams, il campione americano sponsorizzato dalle ricche élites. I conti non tornano nemmeno nei civili quartieri di Londra Ovest, dove si bara per evitare l’inevitabile: che un discendente di schiavi diventi, con massimo scandalo della società vittoriana, e per estensione occidentale, il miglior pugile al mondo.
Stephen Graham (già con Steven Knight nella sesta stagione di Peaky Blinders e padre disperato nella recente Adolescence) sfodera una performance notevole, grazie a una presenza fisica, muscolarmente esibita, di sicuro impatto sullo schermo. La dichiarata passione di Graham per i grandi pugili del passato ne ha facilitato la definizione del personaggio, peraltro in linea con altre interpretazioni “borderline” dello stesso attore, basti ricordare Combo, il leader suprematista bianco di This Is England.
Erin Doherty, anche lei in Adolescence e già nota per aver impersonato la principessa Anna in The Crown, nel ruolo di Mary Carr disegna un personaggio in bilico tra durezza e fragilità, una donna scaltra eppure incapace di reggere al fascino misterioso di Hezekiah, di cui comunque tradirà le aspettative in maniera forse irreversibile. L’attore inglese di origini giamaicane Malachi Kirby prosegue nella rassegna di figure iconiche della cultura nera, avendo già interpretato, prima del pugile Moscow, Kunta Kinte nel remake di Radici e l’attivista per la giustizia razziale Darcus Howe nella miniserie Small Axe diretta da Steve McQueen.
Steven Knight ha rivelato di aver ricevuto la proposta di scrivere una serie attorno al fenomeno del bareknuckle boxing di fine Ottocento proprio da Stephen Graham. Nello stesso periodo Knight immaginava di raccontare la storia delle Forty Elephants, così le due vicende si sono fuse in un unico storytelling. La confluenza ha prodotto un amalgama non sempre risolto felicemente. La guerra di successione tra le elefantesse vecchie e nuove fornirebbe, già di per sé, materiale per una saga indipendente. Il ritmo della narrazione procede a strappi, vista la necessità di rallentare per contenere i molti personaggi, nonché i vari eventi, in soli sei episodi, salvo poi accelerare in prossimità degli snodi principali del racconto.
Il giudizio finale sulla serie, comunque di spessore, è impossibile prima di aver visto la seconda parte, peraltro anticipata da un trailer accattivante.
Titolo originale: A Thousand Blows
Numero di episodi: 6 + ulteriori 6 in lavorazione
Durata: 30 minuti ciascuno
Distribuzione: Disney+
Uscita in Italia: 21 febbraio 2025
Genere: Historical drama
Consigliato a chi: vede soluzioni dove gli altri vedono problemi, non chiede mai qualcosa di cui non vuole la risposta, è favorevole alla chiusura dei giardini zoologici.
Sconsigliato a chi: non pensa che le donne possano allevare un popolo, ha paura di rompersi un dito, non riconosce l’argento vero da quello placcato.
Visioni e letture parallele:
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Sull’epoca vittoriana, il film del compianto David Lynch: Elephant Man, 1980.
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Due letture sul colonialismo: John Newsinger, Il libro nero dell’impero britannico, 21 editore, 2020 e Niall Ferguson, Impero. Come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno, Mondadori, 2017.
Un mito: Anansi, il ragno dell’Africa occidentale che inganna la morte e il diavolo.

