The Studio: un’altra Hollywood è (im)possibile

The Studio **1/2

La nuova commedia creata da Seth Rogen e Evan Goldberg (Superbad, Strafumati, Sausage Party, The Boys) è la più classica delle satire sul mondo di Hollywood, raccontata attraverso le disavventure che vedono protagonista il nuovo presidente dei Continental Studios.

Dopo che la potentissima Patti Leigh si è rifiutata di dare il via libera ad un film basato sui personaggi della controversa bevanda in polvere Kool-Aid, il proprietario Griffin Mill l’ha licenziata, affidando lo studio a Matt Remick (interpretato proprio da Seth Rogen), che sembra del tutto impreparato a gestirlo, tra aspirazioni autoriali, necessità di tagli brutali e successi al box office, capacità di relazionarsi con i talenti e un gruppo di collaboratori non meno improbabile: il vice codardo Sal Seperstein, la creative assistant Quinn e la superficiale responsabile del marketing, Maya.

Nel primo episodio Matt dovrà deludere le aspettative di Martin Scorsese, che vuole girare un film su Jim Jones e la strage di Jonestown: il fatto che il suicidio di massa dei membri della setta sia stato portato a termine avvelenando una grande vasca di Kool-Aid rende il progetto insostenibile e pericoloso per la Continental, che sulla bevanda ha altri progetti.

Nel secondo episodio, Matt fa visita sul set a Sarah Polley che sta tentando di girare il finale del suo film interpretato da Greta Lee, con un lungo piano sequenza durante la magic hour prima del tramonto. Un’auto parcheggiata fuori posto le impedirà di riuscire nell’impresa.

Nel terzo Matt deve trovare il coraggio di dire a Ron Howard che gli ultimi 45 minuti del suo nuovo film vanno tagliati, nonostante siano una riflessione personale e un omaggio al cugino scomparso.

Il quarto è una sorta di noir ambientato sul set del nuovo film di Olivia Wilde, girato in pellicola: quando un reel viene rubato, Matt e Sal si mettono sulle tracce del colpevole, sospettando del protagonista Zac Efron.

Il quinto episodio è costruito sulla guerra tra gli assistenti Sal e Quinn per produrre un horror alla Smile: ciascuno dei due ha un progetto e un regista diverso. La lotta per il potere è fatta anche di burrito lanciati e posti auto contesi.

Nel sesto episodio, la nuova fidanzata di Matt è un’oncologo pediatrico: in una serata di gala per raccogliere fondi per la ricerca, Matt si trova messo in mezzo dai colleghi della sua ragazza che sminuiscono il suo lavoro e non parlano il suo linguaggio, mentre dallo studio devono montare il trailer del nuovo horror comico di Johnny Knoxville, evitando di scontentare gli esercenti che non apprezzano una scena particolarmente volgare.

Il settimo episodio è dedicato al complicatissimo casting di Kool-Aid movie, in cui le preoccupazioni di accuse razziste vengono spazzate via al Comic Con dall’uso dell’AI.

L’ottavo episodio è ambientato la notte dei Golden Globes: mentre Ted Sarandos di Netflix viene ringraziato da tutti, Matt teme che Zoe Kravitz non lo ringrazierà in caso di vittoria. Nel frattempo il suo vice Sal diventa il re della serata, ringraziato da Adam Scott e poi, in una sorta di joke ricorrente, da quasi tutti i premiati dopo di lui.

Le ultime due puntate sono ambientate al Cinema Con di Las Vegas, dove la presentazione dei progetti della nuova stagione potrebbe salvare la Continental, che sta per essere venduta ad Amazon. A complicare le cose dei funghi allucinogeni che Griffin Mill, Zoe Kravitz e Dave Franco assumono in dosi esagerate la sera prima.

In quello che ai nostri occhi appare come una versione lussuosa e patinata di Boris, Rogen e Goldberg si dividono anche la regia dei dieci episodi, che citano esplicitamente la libertà formale e lo spirito caustico de I protagonisti di Robert Altman, costruendo le puntate attraverso l’uso insistito del piano sequenza in steady-cam, pedinando i personaggi e restituendo tutta l’inconsistenza della loro perenne ansia.

Il protagonista è in fondo un nerd di successo, che si pensa diverso da quello che veramente è: il campione della lunga saga action MK Ultra, un superficiale sempre indeciso, incapace di relazionarsi in modo maturo con gli altri, che spende i suoi soldi in costosissime auto d’epoca e in vestiti sartoriali, ma che si addormenta alle proiezioni riservate.

L’istintiva antipatia di Seth Rogen viene sfruttata perfettamente per renderlo un personaggio in fondo sgradevole, che i registi tengono a distanza più che possono, una sorta di nemico inevitabile, con cui doversi confrontare. Martin Scorsese si mette a piangere al party di Charlize Theron quando scopre che non potrà mai fare il suo film su Jim Jones, Sarah Polley dovrà sopportare le sue chiacchiere inutili che rovinano le sue riprese, il bonario Ron Howard gliela giurerà a morte una seconda volta dopo aver sopportato i suoi assurdi consigli ai tempi di A beautiful mind.

Tuttavia l’ironia è poco graffiante, lo sguardo è bonario, la cattiveria ridotta al minimo e la serie strappa qualche sorriso complice solo ad altri nerd del cinema. Come accade spesso in questi casi The Studio sembra parlare più a quelli che il cinema lo fanno che a quelli che lo guardano, finendo per sembrare un giochino innocuo e poco interessante, sui cliché risaputi di Hollywood.

C’è poca vita reale in questo gustoso ritratto d’ambiente. Se Boris infatti era il ritratto di un gruppo di loser senza talento impegnati a sopravvivere ai loro vizi, alle pressioni della rete e all’avidità dei produttori, qui il livello è altissimo, i personaggi sono tutte star e da loro ci si attenderebbe qualcosa di diverso. Ma la scrittura non è così raffinata come vorrebbe.

Il fatto che la serie non abbia poi un vero sviluppo orizzontale, ma si limiti a riproporre personaggi e guest star nei singoli episodi come in una serie anni ’70 o ’80 finisce anche per depotenziarla rendendo le avventure di Matt un po’ slegate ed appunto episodiche.

Lo stesso protagonista non è un personaggio a cui ci si affeziona davvero e non è portatore di particolari valori, anche sotto il profilo della politica culturale: è un piccolo cialtrone come tanti, a cui è capitato un ruolo per cui forse non è tagliato e per cui non ha grande talento. L’idea di essere promotore di una Hollywood migliore è solo un annuncio continuamente frustrato dai fatti.

Il cast delle guest star che appaiono nei panni di se stesse, senza mai prendersi troppo sul serio, è invece impressionante e in effetti questo sembra essere uno dei pochi elementi veramente gustosi di The Studio.

Un altro è Los Angeles, mai così bella come in questa serie con le sue ville sulle colline, le stradine che si inerpicano, i lunghi viali degli studios, le luci che si riflettono sull’asfalto di notte, le palme, le architetture di Frank Lloyd Wright, la luce calda del tramonto. Rogen e Goldberg la amano incondizionatamente e forse avrebbero dovuto lasciar perdere la satira, per raccontarla con tutto l’affetto e la complicità di cui sono evidentemente custodi.

Titolo originale: The Studio
Durata media degli episodi: 35 minuti circa
Numero degli episodi: 10
Distribuzione streaming: Apple Tv+
Genere: Comedy

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