
Nickel Boys – I ragazzi della Nickel ***1/2
Lo sguardo di un uomo disteso a terra, rivolto verso un albero sopra di lui, poi alla sua sinistra e di nuovo verso il cielo. Una voce che lo chiama.
L’incipit di Nickel Boys è una dichiarazione poetica e d’intenti. Quello che vedremo nei cinquanta minuti successivi è la storia di Elwood Curtis , un ragazzino afroamericano nella Florida del 1962, dal suo esclusivo punto di vista. L’unica inquadratura possibile è la sua soggettiva, l’unico mondo che osserviamo è quello passa sotto i suoi occhi.
Affidato alla nonna, studioso e assennato, sul punto di cominciare una scuola tecnica per cercare di affrancarsi dall’ignoranza e dal razzismo che lo circondano, viene arrestato per errore, dopo aver accettato il passaggio da uno sconosciuto che si rivela un ladro d’auto.
Finisce così alla Nickel, un infame riformatorio dove ancora vige la segregazione razziale e lì incontra Turner, un altro ragazzo perduto, con cui fraternizza. Lo sguardo finalmente si sdoppia, quando i due parlano tra di loro, il montaggio recupera il più classico campo e controcampo, mentre il film guadagna una prospettiva nuova sulle cose. Da questo momento in poi le soggettive dei due personaggi si alterneranno, dandoci una nuova chiave di lettura sulle cose che accadono alla Nickel e trasportandoci poi nel futuro, negli anni ’80 e nel nuovo secolo.
Il silenzioso e determinato Elwood si trova di fronte il più fatalista e sbruffone Turner, mentre attorno a loro l’uomo esplora lo spazio, Martin Luther King acquista un ruolo centrale nell’immaginario della cultura afroamericana, almeno quanto i personaggi interpretati da Sydney Poitier, e Lyndon Johnson prosegue l’approvazione delle leggi sui diritti civili immaginate da John Kennedy. Ma tutto questo sembra lontanissimo dalla Nickel, dove il tempo sembra essersi fermato.
Adattando per lo schermo il nuovo romanzo di Colson Whitehead (La ferrovia sotterranea), I ragazzi della Nickel, premiato con un secondo Pulitzer nel 2020, il regista RaMell Ross, all’esordio nel cinema narrativo dopo il documentario Hale County This Morning, This Evening, compie un’operazione spregiudicata e coraggiosa, radicale nel senso più autentico del termine.
Whitehead si è ispirato all’autentica Dozier School for Boys, al centro di un enorme scandalo una decina di anni fa, quando i resti di un centinaio di ragazzi furono ritrovati sotterrati nei campi attorno all’istituto.
Ross tuttavia sceglie di raccontare la storia dei due personaggi attraverso una successione di emozioni, di momenti unici, di ricordi che affiorano nella memoria, con uno stile immersivo che deve molto al cinema di Terry Malick, almeno quanto al suo background di fotografo e documentarista.
L’emozione emerge dai particolari, dai silenzi, dal volto di una bambina che striscia sul pavimento di un autobus, dallo schermo di un cinema che si illumina con il volto di un attore noto, dalle mani intrecciate di una donna tormentata che non osa dire la verità o che chiede insistentemente un abbraccio che sembra voler contenere tutta la sala.
La violenza rimane costantemente fuori campo. Qualcuno racconta di una sauna letale, qualcun altro non accetta di perdere un incontro truccato e sparisce nel silenzio, ma noi continuiamo a vedere la Nickel solo attraverso la testimonianza diretta di Elwood e Turner. Non ci sono narratori onniscenti, non ci sono false soggettive o nuove oggettive. L’orrore è confinato interamente nelle immagini televisive dei reperti recuperati molti anni dopo, resti di vite spezzate e seppellite o in quelle apparizioni di alligatori e muli, che sembrano testimoni di una natura brutale.
Ross preferisce cercare l’emozione nei volti e negli sguardi dei suoi personaggi, nel lirismo di immagini che cercano di isolare la bellezza e la sincerità di un sentimento anche in mezzo all’orrore e alla sopraffazione.
Molto spesso il cinema più progressista sceglie di raccontare le sue storie nel modo più convenzionale e conservatore, riproponendo consuetudini abusate, che hanno perso gran parte della loro forza, risolvendosi sovente in semplificazioni ricattatorie e lacrimevoli, che tradiscono implicitamente la propria stessa etica (qualsiasi riferimento a Blitz di Steve McQueen è voluto).
RaMell Ross invece riesce invece a raccontare la ferocia e l’ingiustizia con una forza visionaria del tutto inedita.
Non meno coraggioso l’accostamento simbolico, ripetuto e vertiginoso, tra l’Ulisse americano della modernità che conquista lo spazio e il burocrate razzista che spara con la carabina alle spalle dell’uomo nero.
Nella seconda parte i piani sequenza in soggettiva lasciano spazio nei flashforward ad una semisoggettiva, ma lasceremo a voi scoprire il perché. D’altronde Nickel Boys è un film che chiede molto ai suoi spettatori, li sfida a riconoscere un linguaggio inedito, a mettere i correlazione passato e presente, a colmare le ellissi che il racconto lascia aperte, a fare propri i sentimenti dei due protagonisti, in un modo che il cinema americano, anche quello più indipendente e consapevole, raramente riesce a concepire.
Ross aiutato da Joslyn Barnes, più nota come produttrice per Apichatpong, Sissako, Labaki e Lucretia Martel, compie un lavoro di adattamento del romanzo di Whitehead che meriterebbe un approfondimento a parte, tanto illuminante e innovativo è il suo contributo e tanto decisivo è il riconoscimento al cinema di un compito diverso e di un linguaggio proprio, in cui la parola è subordinata alla rappresentazione visiva. Ross e Barnes comprendono perfettamente e rispettano la struttura e le sorprese del romanzo, ma utilizzano strumenti propri di un mezzo narrativo diverso.
Il montaggio di Nicholas Monsour (Noi, Nope) è altrettanto essenziale nel tenere assieme le diverse soggettive, i materiali d’archivio, i flashforward, in un continuo rilancio di senso, mantenendo aperto un dialogo costante con lo spettatore.
Ross chiude circolarmente il suo film mostrandoci di nuovo la soggettiva iniziale, in cui compare significativamente un altro personaggio, quasi a suggerirci una strada possibile per estirpare la cultura dell’abuso e della violenza, al di là di ogni individualismo.
Imperdibile.
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