M – Il figlio del secolo

M – Il figlio del secolo ****

M – Il figlio del secolo di Antonio Scurati è uno dei pochissimi romanzi italiani del nuovo secolo capace di entrare con prepotenza nel dibattito pubblico, di uscire dal confine delle terze pagine culturali e negli inserti dedicati alla lettura, di investire la politica e le sue istituzioni con una forza inconsueta, soprattutto in considerazione del fatto che è un racconto in prima persona di fatti e circostanze di cento anni fa, in gran parte noti e studiati per lungo tempo.

Eppure il progressivo emergere e poi l’affermazione di forze che ancora si richiamano, esplicitamente e implicitamente, al movimento fascista fondato da Benito Mussolini ha reso il lavoro di Scurati materia incandescente e lo stesso autore persona non grata in molti contesti pubblici, non ultima la televisione di stato.

E’ Lorenzo Mieli a produrre la serie con la sua The Apartment assieme a Sky e Pathé e The Apartment ed è l’inglese Joe Wright (Espiazione, L’ora più buia) ad occuparsi della regia di tutte le otto puntate, nonostante il cast sia interamente italiano come i due showrunner, il formidabile Stefano Bises a cui dobbiamo Gomorra, The New Pope, Esterno notte e il più giovane Davide Serino (1992, The Bad Guy, Ti mangio il cuore).

Aperta da un’introduzione che utilizza le immagini di repertorio per riassumere in un lampo il ventennio di Mussolini, dall’Avanti a Piazzale Loreto, la serie come il libro racconta l’ascesa irresistibile del fascismo nell’Italia stremata della Grande Guerra, tra reduci devastati nel corpo e nello spirito, futuristi e dannunziani che condividevano l’ansia bellicista, un parlamentarismo liberale arrivato agli sgoccioli e una monarchia debole e pavida.

Plasmato e guidato soprattutto da Margherita Sarfatti e da Cesarino Rossi, affiancato da un manipolo di banditi la cui unica lingua erano il manganello e l’olio di ricino, Mussolini è innanzitutto il direttore del Popolo d’Italia, il giornale fondato dopo essere uscito dall’Avanti nel 1914 per sostenere la voce degli interventisti, diventato poi l’organo ufficiale del suo movimento. Le prime elezioni vanno malissimo, ma la lunga stagione degli scioperi e delle occupazioni in fabbrica, gli offrono uno spazio politico inedito, sfruttato in modo spregiudicato per incunearsi nella vasta coalizione antisocialista, fino a scardinarne con la violenza e la minaccia della Marcia su Roma ogni resistenza.

Conquistato il potere, Mussolini deve tenere a bada amanti e figli illegittimi, ma anche le teste calde che sono con lui sin dall’inizio, mentre la figura del socialista Giacomo Matteotti diventa una spina nel fianco insopportabile per un uomo desideroso di farsi amare da tutti.

Il suo omicidio brutale, la sparizione del cadavere e l’ombra della moglie che continua ad apparire come un fantasma nel grande studio del Primo Ministro segnano la pagina più oscura e difficile di un politico che sembrava sull’orlo dell’abisso, pochi mesi dopo aver conquistato il potere.

Ma prima di gettare la spugna, Mussolini rilancia ancora una volta, con la stessa vena spregiudicata e avventurista che l’aveva portato al governo, sfidando il Parlamento e l’opinione pubblica, rompendo definitivamente il gioco democratico e parlamentare, in quella stessa aula “sorda e grigia” che aveva sempre mal sopportato, rinnovando le radici violente, rivoluzionarie e sovversive del suo movimento, per troppo tempo coinvolto in estenuanti schermaglie politiche ottocentesche.

Se la dimensione narrativa è limitata a circa un quinquennio, si tratta tuttavia di un tempo decisivo per segnare il carattere distintivo del movimento, per mostrare le abilità e la scaltrezza dell’uomo politico, per illustrarne gli azzardi e l’audacia, per isolare alleati e compagni occasionali.

La scrittura assume il punto di vista in prima persona dello stesso Mussolini, voce narrante, protagonista assoluto, complice e guida in questa lenta ascesa verso il potere assoluto.

Rompendo più volte la quarta parete, il personaggio si racconta, ci interpella come spettatori, si confida, ci strizza l’occhio: è una scelta che avrebbe potuto instaurare un regime di empatia rispetto all’orrore delle sue gesta, che la serie però cerca di negare in ogni modo, soprattutto immergendo le immagini in una colonna sonora estrema, industrial, ossessiva, che contribuisce a creare una gravitas angosciante, curata da Tom Rowlands dei Chemical Brothers.

Le otto puntate sembrano seguire un doppio arco narrativo, il primo trova la sua pagina più nera nella Marcia su Roma, mentre il secondo nell’ossessione della colpa per l’uccisione di Matteotti.

In entrambi i casi sono la sorte e l’azzardo, unito alla debolezza altrui, a salvare Mussolini, consegnandogli la sicurezza dell’invincibilità.

Quel “silenzio” che chiude le otto puntate, durante la seduta del 3 gennaio 1925 è la risposta del parlamento alla sua provocatoria assunzione di responsabilità per la scomparsa di Matteotti: è molto più di una chiamata di correo, è un monito rivolto agli spettatori di oggi.

Luca Marinelli è sensazionale, la trasformazione fisica che si accentua nel corso delle puntate, senza apparente ricorso a grandi trucchi prostetici, è solo la punta di un iceberg interpretativo folgorante.

Il suo Duce è finalmente un personaggio pieno, spigoloso, complesso in tutte le sue contraddizioni, lontanissimo da ogni stereotipo. Un villain che ci interroga, che ci vuole accanto, testimoni e complici della sua folle rincorsa da outsider in un mondo incapace di vederlo per quello che davvero è.

Ma accanto a lui si muove un cast non meno ispirato: Pierobon è un D’Annunzio imperioso e tutta la parte dedicata a Fiume poggia interamente sulle sue spalle poderose. Barbara Chicchiarelli e Francesco Russo sono i mentori traditi, che l’abbandonano e vengono traditi, mentre Gaetano Bruno dona a Matteotti la statura tragica dell’eroe.

La serie di Wright è ispiratissima, crudele, seducente: un affresco senza una sola caduta nell’ovvio, nel didascalico, nella maniera. Un racconto maturo, ambizioso, inquietante, con uno sguardo morale e mai moralista sulla nostra storia, con la capacità di lasciare alle immagini e alle parole il compito di illustrare i fatti.

Wright non ha alcuna remora nell’affrontare di petto un soggetto così complesso e rischioso, perché ogni rivoluzione, nel racconto dei suoi esordi, non può che suscitare istintivamente un moto di simpatia.

La serie lo evita puntualmente non solo mostrando senza alcun filtro la brutalità dei metodi delle squadracce e l’atrocità del delitto Matteotti, ma costruendo continuamente un dialogo tra la spregiudicatezza trasformista del protagonista e la fedeltà richiesta ai suoi uomini, la cui sorte può essere solo l’obbedienza o la morte.

Non meno fondamentale  e centrato il rapporto con le donne, dalla moglie Rachele alla Dalser, dalla segretaria Bianca all’amante Margherita Sarfatti, mente politica e ispiratrice di molte delle sue battaglie, sino al fantasma della vedova Matteotti, che viene a turbare le sue notti insonni, all’ombra del primo dei suoi busti esagerati.

M – Il figlio del secolo lascia allo spettatore lo spazio e il tempo per una rielaborazione critica di quello che ha visto e suggerisce letture meno scontate di una storia che tutti conosciamo bene, ma che il cinema italiano ha spesso raccontato da prospettive diverse e meno frontali.

Imperdibile.

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