Ospitata in un doppio spazio prestigioso alla Mostra del Cinema di Venezia, la prima serie firmata da Alfonso Cuaron, tratta dal romanzo La vita perfetta di Renée Knight, è un disastro senza appello, che travolge in un feuilleton senza capo nè coda le buone intenzioni dei tanti talenti coinvolti.
La storia segue due piani narrativi differenti: nei primi anni duemila, una coppia di disinibiti fidanzatini inglesi attraversa l’Italia in treno. Improvvisamente lei è costretta a tornare a casa a Londra, mentre lui, Jonathan, prosegue per Pisa e Forte dei Marmi, dove incontra sulla spiaggia una madre col suo bambino. Una notte turbolenta di sesso tra i due precede l’incidente in mare che sarà fatale al giovane ragazzo: per salvare il bambino della donna che ha conosciuto, finirà travolto dalle onde.
Venti anni dopo a Londra, Catherine Ravenscroft, una celebre documentarista, riceve un premio prestigioso per il suo lavoro, ma la sua vita privata è irrequieta: il marito Robert a capo di una ONG che sembra occultare finalità di riciclaggio è un uomo debole e manipolabile, il figlio Nicholas, che la madre ha costretto a trovarsi un alloggio da solo, è un venticinquenne disturbato che non ha finito gli studi, lavora in uno store di elettronica, non ha veri amici e passa le sue serate migliori in un tugurio a bucarsi.
A turbare ulteriormente il precario equilibrio familiare dei Ravenscroft, la pubblicazione di un misterioso libro, The Perfect Stranger, che viene recapitato a tutti loro, assieme ad un pacco di vecchie fotografie compromettenti. I fatti raccontati nel romanzo sembrano rievocare in Catherine un passato che la donna vorrebbe dimenticare.
Il romanzo è stato scritto dalla madre, ormai defunta, di Jonathan. E’ il padre Stephen a trovare il manoscritto dieci anni dopo la scomparsa della donna: la decisione di autopubblicarlo e di spedirlo ai Ravenscroft è solo il primo passo di una vendetta terribile e brutale.
Occhio per occhio, figlio per figlio.
La serie di Cuaron illuminata magistralmente da Lubezki e poi da Delbonnel, soprattutto nella parte londinese, parte già con un piede incerto, ricostruendo nei primi episodi un’Italia che sembra sospesa agli anni ’70 e ’80 nei soliti stereotipi e nella solita musica, mentre in realtà gli eventi avvengono venti anni dopo.
Le vicende raccontate hanno il sapore acre del romanzesco: ad ogni svolta narrativa si sente il fruscio delle pagine, accentuato da una voce off insistente e pedante, che diventa insopportabile dal quinto episodio.
Il contesto melodrammatico è affidato a un gruppo di attori disomogenei.
Sciaguratissimi i giovani Louis Partridge e Kodi Smith McPhee, nei panni dei figli Jonathan e Nicholas, impacciatissimi, mai credibili, incapaci di suscitare la pur minima empatia.
A Sacha Baron Coen tocca invece il ruolo infelice del marito Robert, pusillanime e frustrato: il suo tentativo di riciclarsi in un registro drammatico lo consegna all’irrilevanza più anonima.
La storia a quel punto poggia tutta sulle spalle dei due genitori. Cate Blanchett, in un ruolo per volti versi simile a quello interpretato in Tar ovvero quello una celebrità distante, algida e prepotente, che sembra costretta a fare i conti con un passato ingombrante e con scelte familiari e personali discutibili. E Kevin Kline, nei panni dell’astioso e incarognito padre di Jonathan: lontano dai set importanti da troppi anni, il protagonista di Un pesce di nome Wanda si conferma invece un degno antagonista.
Almeno all’interno del contesto di una serie che nei tre episodi finali deraglia del tutto nell’inverosimiglianza psicologica, nell’improbabilità narrativa e in un ribaltamento delle prospettive trascinato inutilmente per sei puntate.
L’unica attrice veramente degna di nota è la quasi inedita Leila George, figlia di Greta Scacchi e di Vincent d’Onofrio, presenza illuminante nei flashback, credibile e conturbante nella versione immaginata dal romanzo così come in quella reale.
Cuaron non ha nessun interesse a ragionare sui limiti della rappresentazione, sulla falsificazione delle immagini, sui pericoli nel confondere fiction e realtà, sullo statuto di stalker e persecutori, sulla facilità con cui – per interessi diversi – siamo capaci di dar credito alle peggiori calunnie, se confermano i nostri pregiudizi e le nostre convenienze.
In un mondo in cui la credibilità e l’autorevolezza della propria reputazione è l’unico capitale umano rimasto, basta pochissimo per travolgere le vite degli altri.
Eppure Disclaimer non sembra interessato a dire qualcosa di forte e di utile su nessuno di questi temi. Preferisce solo evocarli e buttarli nel calderone, assecondando le derive melodrammatiche più improbabili, affidandosi a un profluvio di scene madri e di foschi secreti da romanzaccio di quart’ordine.
Cuaron stesso si limita a immergere i suoi personaggi londinesi in una sublime luce bianca che impreziosisce di sfumature infinite di grigi, blu e rossi la formidabile residenza dei Ravenscroft e ad impaginare la serie con un montaggio pedante e didascalico che per le prime quattro puntate non fa altro che intorbidire le acque, creando una suspense che in realtà non c’è.
Cuaron ha dichiarato di non conoscere il linguaggio della serialità e di aver pensato a Disclaimer come ad un film: purtroppo il risultato è desolante.
Quanto al talento inarrivabile e abbacinante di Lubezki non sarà di certo questa serie il lavoro per cui verrà ricordato.
Ovviamente al centro di tutto c’è ancora una volta un atto di violenza ai danni di una donna, solo che la sua portata viene prima negata e trasformata in inutile e pruriginoso inserto erotico e poi sfruttata in modo bieco come plot twist, svilendo ancor di più il senso morale del racconto.
Alla fine delle quasi sei ore di questo Disclaimer non resta che formulare noi un’avviso ai futuri spettatori di Apple Tv+. Vi abbiamo avvertiti: cercate altro.
Titolo originale: Disclaimer
Numero di episodi: 6
Durata: 45-55 minuti l’uno
Distribuzione: Apple Tv +
Uscita in Italia: 11 ottobre – 8 novembre 2024
Genere: Drama

