Cannes 2024. Horizon: An American Saga – Part 1

Horizon: An American Saga – Part 1  *1/2

Kevin Costner, regista, produttore e co-sceneggiatore di questo Horizon con Jon Baid, ha portato a Cannes la prima parte di una saga western di cui sono stati girati i primi due capitoli e che ricerca finanziamenti per i prossimi due.

Nonostante le belle parole, la sua indubbia aura, che con l’età è ulteriormente cresciuta, grazie soprattutto al ruolo in Yellowstone di Taylor Sheridan, questo Horizon assomiglia agli episodi 3, 4 e 5 della sesta stagione di una stanca serie televisiva. E non di quelle memorabili.

Del cinema non ha il passo, l’urgenza narrativa, l’occhio vigile sul paesaggio: sbrodola invece su tre diversi territori di Frontiera e tre diverse linee narrative, con una flemma che mal si adatta alle necessità che un racconto di genere di tre ore visto in una sala cinematografica, il quale deve avere una struttura e un arco narrativo più o meno completo, ma quantomeno intuibile e misurabile dallo spettatore.

Quello a cui assistiamo invece è un poco più di un preambolo, una premessa, che sfianca ogni resistenza, in cui non c’è un solo personaggio per cui si possa parteggiare o che funzioni almeno a livello identificativo, sia pure come modello negativo.

La prima storia di questa prima parte è ambientata a partire dal 1859 nella Valle San Pedro, con alcuni pionieri che picchettano misurano e recitano, prima di ritrovarsi rapidamente senza scalpo, per la ferocia degli Apache. Ci riproverà un altro gruppo alcuni anni dopo, senza badare alle tre croci che si vedono ancora dall’altro lato del fiume.

Il risultato sarà un attacco notturno e un’altra carnefici, da cui escono miracolosamente illese, nascoste sotto terra una madre e una figlia, Fran Kittredge e Lizzie, salvate l’indomani dall’arrivo della cavalleria guidata dall’impavido Tenente Gephardt e dal saggio colonnello Houghton.

La seconda storia invece ha come protagoniste due donne, la fiera Ellen, una donna che vive in Watts Parish, una piccola città vicino alla miniera, cercando di trovare il suo spazio nel mondo, e la più giovane Marigold, che le dà una mano con il piccolo neonato.

Quando le due finiscono nel mirino di Junior Sykes, sarà il solitario Hayes, a salvarle, quasi senza volerlo. Dopo aver freddato Junior, Hayes e Marigold saranno costretti a fuggire dalla vendetta di Caleb Sykes, il  fratello più grande.

Infine la terza storia è ambientata in Kansas, sulla pista di Santa Fe, in cui l’onesto pioniere Van Weyden deve gestire le diverse famiglie che formano la carovana, tra cui gli inglesi Hugh e Juliette, lui disegnatore, lei professoressa e il più umile Owen Kittredge, vedovo, che viaggia con le tre figlie.

Una posizione importante nel racconto hanno anche gli Apache, con giovane guerriero Pionsenay che si ribella alla saggezza e alla prudenza del padre, vivendo in un mondo in cui la violenza è diventata l’unica parola.

Purtroppo Costner ha creato una sorta di ibrido che vorrebbe avere la lunghezza epica di una serie, ma non ne conosce minimamente la grammatica narrativa, e vorrebbe aspirare alla gravitas cinematografica, ma produce, con i suoi tempi biblici, solo nobile tedio.

Il cast è mediocre, gli attori si dimenticano immediatamente, lui stesso ha un ruolo assai marginale in un film che vorrebbe essere corale, ma che rimane episodico. La sua regia iperclassica e trasparente non riesce neppure a glorificare i maestosi paesaggi di Frontiera.

La musica tenta l’assalto epico ai sensi e quasi ci riesce, ma è davvero troppo poco in un film che non è solo anacronistico, ma proprio velleitario e mette quasi tenerezza per quanto è sbagliato.

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