Prodotto da Ruben Ostlund e Erik Hemmendorff con la loro Plattform Produktion, Fantastic Machine presentato al Sundance, alla Berlinale e poi a Roma, arriva ora nelle sale con la voce narrante di Elio Germano, per ammonire un po’ moralisticamente sulla forza delle immagini e sui rischi connessi al loro proliferare incontrollato, alla loro manipolazione e alla loro falsificazione.
Il titolo del documentario di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck viene direttamente da un’affermazione del re d’Inghilterra Edoardo VII: impossibilitato dal rumore delle macchine da presa di riprendere dal vero la sua incoronazione, George Méliès nel 1901 aveva ricreato nel suo studio di posa con attori francesi la cerimonia.
Quando il re la vide esclamò: “Che fantastica macchina è questa che può mostrare anche ciò che non è avvenuto”. Il cinema e le tecniche per fermare le immagini su una lastra, uno schermo o su carta hanno sempre comportato una manipolazione della realtà, anche ingenuamente con la scelta di un punto di vista, di un momento in cui riprendere e di cosa far rientrare nella ripresa e cosa lasciare fuori campo.
Il documentario parte dalla prima immagine catturata da Niépce con la celebre veduta dalla finestra di Le Gras nel 1826, passa per il cavallo di Muybridge, arriva ai Lumière e poi a Leni Riefenstahl, che nell’unico momento realmente memorabile del film, racconta seduta a una moviola in un’intervista d’archivio del 1993 il modo con cui ha realizzato i suoi lavori di propaganda nazista, attraverso la scelta delle inquadrature, il ritmo musicale del montaggio e la forza poetica della messa in scena.
Fantastic Machine poi purtroppo prosegue e arriva rapidamente all’oggi, tra Youtube, selfie impossibili ad un passo dal suicidio, Onlyfans e alla proliferazione dei 45 miliardi di strumenti di ripresa che si dice siano attivi nel mondo.
E qui il lavoro di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck si fa più piatto, dozzinale, mettendo in fila una serie di immagini sempre più vuote, sempre con il ditino metaforicamente alzato, ma senza avere la pretesa di spiegare alcunché. Compreso quando mostra i miliziani dell’ISIS preparare i loro video propagandistici, continuando a sbagliare i proclami di morte.
Anche quando lo sguardo si volge alla politica, fra infotainment e fake news, fino all’assalto a Capitol Hill, il film non riesce quasi mai a dire qualcosa di significativo, tranne forse in una clamorosa intervista ad un giovane Ted Turner, sette anni prima di lanciare la sua CNN, che fa la figura di uno sbruffone qualsiasi non troppo dissimile da un Musk odierno.
Ma sono frammenti in un discorso disarticolato, talvolta efficace come le riprese della sonda Voyager e le immagini della nostra civiltà caricate e spedite nello spazio verso l’ignoto, più spesso invece banale e complessivamente poco efficace.
Manca un po’ di cultura alle spalle del film svedese, mancano le riflessioni di Deleuze o Godard o quantomeno di qualcuno capace di mettere ordine e dare senso al flusso di immagini che vediamo. Paradossalmente anche Fantastic Machine diventa parte di quel panorama saturo che intende raccontare.
Il film rimane così puro intrattenimento che tuttavia non lascia nulla e si dimentica in fretta. Una curiosità adatta a riempire il palinsesto di un canale streaming, ma poco di più.
In uscita il 9 maggio prossimo per Teodora.

