The Warrior – The Iron Claw

The Warrior – The Iron Claw ***

Il nuovo film del quarantenne canadese Sean Durkin, laureato alla prestigiosa Tisch di New York e rivelatosi nel 2010 alla Quinzaine di Cannes con il corto Mary Last Seen, è un altro ritratto profondamente americano, immerso nella cultura del Paese che lo ospitata da quando aveva dodici anni.

La fuga di Martha raccontava il lato più oscuro della cultura religiosa, al confine tra plagio e manipolazione, The Nest, invece, ambientato negli anni ’80, affondava le sue radici nella bugie dell’american dream reaganiano, della crescita infinita, dell’individualismo assoluto, del greed is good di Gordon Gekko.

The Iron Claw, rititolato in italiano The Warrior, è ambientato nello stesso arco temporale, tra la fine degli anni ’70 e la fine del decennio successivo, in quel mondo del wrestling professionistico, che unisce performance sportiva e teatralità, in dosi mai davvero definite.

Fritz Von Erich il capostipite di una famiglia di lottatori si è costruito una posizione rispettabile all’interno della lega minore del Texas, ma non ha mai avuto una vera chance a livello nazionale.

Ha cresciuto i suoi quattro figli con la sua ossessione. Dopo aver perduto il primogenito in tenerissima età è stato il secondo Kevin a farsi carico delle aspettative paterne, combattendo allo Sportatorium di Dallas e diventando una piccola celebrità locale.

Anche il fratello David segue la stessa strada, molto più abile di Kevin col microfono in mano e a gestire i feud, gli scontri dialettici con altri wrestler su cui lo spettacolo si autoalimenta.

Quando nel 1980 gli Stati Uniti rinunciano alle olimpiadi di Mosca, ritirando la propria squadra, il terzo fratello Kerry, lanciatore del disco, decide di unirsi alla squadra dei Von Erich, creando un tag team piuttosto famoso.

Mentre Kevin sposa la veterinaria Pam e sembra venire a patti con l’ambizione di diventare campione, è il fratello David ad avere la chance per il titolo.

Ma la maledizione dei Von Erich incombe sul destino alla famiglia, da quando il patriarca Fritz Adkisson ha usato il nome della madre per la sua carriera sportiva, trascinando i suoi figli in un destino di morte e fallimenti.

Il film di Durkin ha l’ambizione del grande racconto sportivo, in cui leggere in filigrana il lato oscuro dell’ossessione americana per la competizione, per i winners e i losers, a cui sacrificare ogni altra aspirazione.

Nell’obbedienza all’imperativo paterno vanno perduti anche i talenti diversi, come quello del più piccolo e fragile Mike, che vorrebbe suonare e non scontrarsi sul ring. Emblematica in questo senso è la scena del pranzo di famiglia, dove la moglie ricorda ai figli che anche il padre Fritz aveva passioni musicali, accantonate sull’altare di quella lotta e quella durezza autoimposta, che ha finito per divorare ogni altro interesse.

Il film racconta la storia dei Von Erich – dopo il prologo in bianco e nero – dal punto di vista di Kevin, come se si trattasse del diario doloroso di un sopravvissuto.

Imbevuto della cultura paterna e delle stesse parole d’ordine, Kevin vede crollare ogni illusione davanti ai suoi occhi, non solo quelle sportive, ma anche quelle familiari, fino a convincersi che la maledizione che circonda il suo clan esiste davvero.

Durkin, pur senza raggiungere gli eccessi di Aronofsky,  è tanto abile nella messa in scena degli incontri, dell’allenamento e della fatica del ring, quanto nel misurarsi con la dimensione intima del racconto.

Zac Efron, sui cui pettorali e bicipiti il regista indugia all’inizio, gli dà un aiuto decisivo con una performance di rara credibilità. Il ruolo di Kevin è quello più complesso, è l’architrave del racconto e quello a cui ritornare ogni volta. E’ lui il primo staffettista e anche quello che dovrà concludere la gara, costretto a raccogliere ogni volta il testimone della famiglia, in modo sempre più tragico e incomprensibile.

The Iron Claw è un film dolente, in cui non ci sono vincitori e nel quale la parabola tradizionale dell’ascesa sportiva e della inevitabile caduta subisce deviazioni e interruzioni brusche, non preventivabili.

Come i film precedenti di Durkin è un film sulla fine delle illusioni, sulle bugie che ci raccontiamo per aderire ad un modello profondamente sbagliato, che il cinema spesso ha contribuito a propagandare.

Rispetto alla sospensione incerta su cui si chiudeva The Nest, The Iron Claw ha dalla sua una posizione più netta e un finale pacificato, che tuttavia non può prescindere dal rifiuto di quel mondo all’interno del quale Kevin ha vissuto sino alla maturità.

Particolarmente interessante, all’interno del film di Durkin, è il ruolo rivestito dalla madre di Kevin, interpretato da Maura Tierney con una durezza che sembra condividere gli imperativi del marito Fritz, incapace di sciogliersi persino in quella lunga teoria di lutti e abiti neri a cui il film e la vita l’hanno costretta.

Durkin si conferma regista di grande personalità, capace di evocare un universo narrativo coerente e una dimensione autoriale molto interessante.

Anche questa volta la fotografia in pellicola 35mm è dell’ungherese Mátyás Erdély (Il figlio di Saul), capace di restituire i colori e le grafiche della tv di quegli anni, oltre che l’atmosfera del ring, in modo piuttosto originale.

La colonna sonora è stata composta da Richard Reed Parry degli Arcade Fire, integrando anche alcune delle hit del periodo.

Produce A24: sinora ha incassato 25 milioni di dollari negli States.

Dal 1 febbraio 2024 in Italia per Eagle Pictures.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.