Un anno difficile

Un anno difficile **

All’ottavo film assieme, la coppia Toledano e Nakache, cinquantenni ebrei francesi di origine nordafricana, sembra fare un passo indietro, rispetto alla indovinatissimo e travolgente C’est la  vie (2017), ambientato nel dietro le quinte di un matrimonio e al rigore di The Specials (2019), che invece raccontava il lavoro delle associazioni che si occupano di ragazzi autistici.

Questo loro Un anno difficile è anche piuttosto lontano dal duetto di Quasi amici, il loro successo travolgente del 2011.

Come accade spesso nei loro film la comicità e la commedia si mescolano ai temi sociali, al confronto con la realtà, con un occhio di riguardo verso coloro che sono ai margini, che appaiono spesso invisibili.

Un anno difficile cerca di perpetuare ancora una volta la stessa formula.

Albert che lavora al carico e scarico dei bagagli all’aeroporto di Roissy, ha perso tutto, è pieno di debiti, si arrabatta rivendendo gli oggetti sequestrati all’imbarco dei passeggeri e si è ridotto a dormire sulle poltrone del check-in.

Il giorno del Black Friday si scontra con un gruppo ambientalista che cerca di bloccare l’apertura di un grande negozio di elettrodomestici.

Albert però ha promesso in ballo un affare con un acquirente su Ebay a cui ha promesso un televisore a prezzo scontato.

Quando però riesce ad accaparrarselo, strappandolo letteralmente ad una folla di invasati e cerca di consegnarlo a Bruno, l’acquirente finale, a sua volta sommerso dai debiti, si trova di fronte un uomo che ha deciso di farla finita ci barbiturici.

Albert non sa bene cosa fare ma gli viene in soccorso Henri, il responsabile di un’associazione che si occupa delle vittime da sovraindebitamento.

Dopo i corsi dell’associazione, Bruno e Albert finiscono al buffet del gruppo ambientalista, che offre snack gratis e birra alle sue riunioni.

Qui conoscono Cactus, la leader del gruppo, che finisce per coinvolgerli nelle loro attività e nelle loro plateali manifestazioni.

Fra i tre nasce un rapporto sempre più stretto che si alimenta anche negli equivoci che la radicalità della militanza crea tra di loro.

I due impostori pian piano conquistano la fiducia del gruppo e quella di Cactus che resiste però alle avances di Albert.

Questa volta però Toledano e Nakache non riescono a fondere fino in fondo le due anime del loro film, che anzi sembrano ostacolarsi continuamente, anche perché la dimensione sociale è divisa in due tra l’ambientalismo spinto di Cactus e del suo gruppo e il lavoro di Henri con ludopatici e sovraindebitati.

Il film è centrifugo e indeciso, smorzando spesso il tono vincente la commedia d’amicizia, che è il vero carattere distintivo della coppia.

Il film non sembra prendere nulla sul serio: si apre con una nota pungente, grazie al bel montaggio dei presidenti degli ultimi 50 anni, tutti alle prese con la medesima  preoccupata affermazione che i due registi usano per il loro titolo, poi ci mostra l’idiozia consumistica al suo estremo e introduce i due protagonisti maschili, alle prese con la deriva della loro vita, quindi rivolta tutto in caricatura, appiattendo ogni cosa alla sua superficie.

Anche prendendosi due ore di tempo, Toledano e Nakache non riescono a trovare un finale adeguato e dopo aver cercato di chiudere in qualche modo le tre linee narrative non resta che affidarsi ad un esito romantico del tutto inverosimile e fiabesco, che cozza con il tono realistico di tutto quello che l’ha preceduto.

Pasticciato, zoppicante e irrisolto, il film si regge solamente sulla simpatia istintiva dei suoi interpreti, la coppa Pio Marmaï e Noémie Merlant, quest’ultima sempre più a suo agio in abiti moderni e leggeri, dopo l’exploit di Ritratto della giovane in fiamme, e i due comprimari Jonathan Cohen e Mathieu Amalric.

I quattro si mettono in gioco svelando le fragilità e le idiosincrasie dei loro personaggi e quasi riescono a rendere plausibile una storia sgangherata, che non rende giustizia sino in fondo nè alla sua dimensione puramente comica, nè a quella sociale.

Alla fine non resta che un valzer stucchevole in una Parigi singolarmente vuota che sembra quella del Covid.

Anche il messaggio finale suona ambiguo: il sogno degli ambientalisti è in fondo una sorta di lockdown permanente?

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