Il debutto nel lungometraggio del regista di video Grant Singer, che nell’ultimo decennio ha lavorato per Travis Scott, The Weeknd, Ariana Grande, Taylor Swift, Lorde, Sam Smith, è un thriller denso e crepuscolare, che sfrutta con una certa efficacia topoi narrativi e cliché di genere, che la sceneggiatura scritta con Benjamin Brewer e con il protagonista Benicio del Toro, non ha paura di riproporre ancora una volta.
Girato ad Atlanta, ma ambientato a Scarborough, nel Maine, Reptile è il racconto di una progressiva discesa nel caos da parte del detective della omicidi Tom Nichols.
Tom viene da Philadelphia, dove il suo compagno è stato accusato e condannato per corruzione. Lui ne è uscito pulito, ma ha dovuto cambiare aria.
Nella piccola Scarborough assieme alla moglie Judy ha trovato una comunità disposto ad accoglierlo a braccia aperte, come in una famiglia: il capitano Robert Allen, che tuttavia ha scoperto di avere la sclerosi multipla, Wally della narcotici, il capo Marty Graeber e il suo giovane partner, il detective afroamericano Dan Cleary.
Quando Summer la giovane amante dell’agente immobiliare Will Grady, viene trovata morta, pugnalata brutalmente nella sua camera da letto, le indagini affidate a Tom e a Dan Cleary prendono pieghe inaspettate. Summer infatti era ancora sposata con un noto spacciatore Sam Gifford che non ha un vero alibi, mentre Will continua a ricevere le minacce di Eli Phillips, uno sbandato a cui la sua società aveva portato via la fattoria di famiglia, spingendo il padre al suicidio.
Molti sospetti e un presunto colpevole, che Tom colpisce a morte per legittima difesa. Ma nel dipartimento è l’unico convinto che non si tratti dell’assassino di Summer.
Il film si Singer soffre solo di una certa indecisione nei tempi del racconto: a due ore e quindici minuti è un thriller forse troppo dilatato e che accumula così tanti personaggi e possibili false piste, che forse avrebbe meritato lo spazio di una miniserie per gestire ogni sottotrama adeguatamente.
Non solo, ma non fa nulla per nascondere i suoi limiti e gli archetipi su cui è costruito.
Tuttavia grazie all’interpretazione maiuscola di Benicio Del Toro, che il film pedina costantemente, spesso affidandosi al primo piano, facendone il centro unico e il punto di vista privilegiato sull’intera vicenda, Reptile appare come un meccanismo cinematografico costruito in maniera molto precisa.
E questo nonostante gli errori evidenti, a partire da scelte di casting troppo prevedibili (Lombardozzi sempre nel ruolo del villain, Pitt in quello della cassandra spiantata), passando attraverso dinamiche poliziesche che abbiamo visto mille volte in passato e che attutiscono l’efficacia delle svolte narrative, soprattutto nel finale, per terminare con la fretta nell’orchestrare i molti livelli su cui il racconto è costruito.
Siamo di fronte comunque ad un film di genere molto solido, che fa dimenticare certe svisate grazie alla cura con cui è ritratto il suo protagonista, a cui Del Toro dona il carisma malinconico e rassegnato di chi pian piano comprende di essere finito ancora una volta nello stesso mondo da cui era scappato.
E’ invece molto originale come Singer ha costruito il rapporto fra Tom e la moglie Judy – una ritrovata Alicia Silverstone – scaltra nel seguirlo nei suoi ragionamenti investigativi, abile con la pistola quando serve, non meno che sulla pista da ballo di quella musica country che è la passione di entrambi.

Quanto tutte le certezze professionali attorno a Tom sembrano crollare anche nel privato la sua relazione con Judy sembra minacciata dall’esterno. Ma non si può cambiare pelle come i serpenti, ciascuno rimane quello che è, fino in fondo.
Reptile resta complessivamente un buon esordio, con i limiti prevedibili di ogni opera prima, ma con una maturità espressiva e un controllo dei mezzi invidiabile.
Per un buon sabato sera, su Netflix.

