“Now I Am Become Death, the Destroyer of Worlds” Bhagavad Gita
Nel 2019, alla fine delle riprese di Tenet, Robert Pattinson regala a Christopher Nolan un libro con i discorsi di J.Robert Oppenheimer, il fisico a capo del Progetto Manatthan, il padre della bomba atomica.
L’attore lo riteneva un pensiero appropriato per un regista cha aveva appena diretto un film sulla necessità di prevenire un’invenzione che avrebbe ridotto il mondo in macerie.
Ossessionato dal tempo, dalla sua circolarità critica, dalle distorsioni immaginate dai paradossi della fisica quantistica, è facile immaginare perchè Nolan si sia dedicato a ricostruire la storia di Oppenheimer.
Acquistati i diritti del libro premio Pulitzer American Prometheus scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin, il regista ha trovato in quelle pagine il canovaccio su cui costruire una storia firmata per la prima volta da solo.
Il film si muove costantemente su linee temporali diverse che sono orchestrate come lunghi flashback a partire da due momenti chiave del racconto: le udienze del 1954 della Commissione per l’Energia Atomica che portano alla revoca della Q clearance, ovvero l’autorizzazione di sicurezza nazionale, a danno di Oppenheimer – estromettendolo di fatto dal programma atomico – e le audizioni del Senato del 1959 per la conferma di Lewis Strauss come segretario al commercio nel governo Eisenhower.
Lo script di Nolan è infatti costruito come un duello a distanza tra il geniale scienziato liberal e il conservatore Strauss, che aveva servito due volte nella Commissione per l’Energia Atomica – la seconda come presidente – pur non essendo un fisico. ma un uomo d’affari.
Strauss aveva conosciuto Oppenheimer nel dopoguerra offrendogli anche la direzione di un prestigioso Istituto di ricerca a Princeton dove già operava Albert Einstein. I due uomini non avrebbero potuto essere più diversi e nell’America paranoica di McCarthy l’ammirazione del politico si è presto trasformata in distanza, trascolorando in diffidenza e sospetto, poi in ostilità e manipolazione, quindi in una terribile vendetta personale.
Il film si apre ricordandoci la sorte toccata a Prometeo, il dio che donò il fuoco agli esseri umani, subendo l’ira di Giove, che lo incatenò in eterno ad una roccia. Una sorte che sembra riecheggiare quella del fisico newyorkese.
Oppenheimer ci trascina così nella vita tumultuosa del protagonista, cominciando dalle brillanti intuizioni come studente di fisica, dalla sua predilezione per la parte teorica rispetto a quella di laboratorio, soffermandosi sulla sua formazione europea, a contatto con Heisenberg, Bohr e con i maggiori scienziati dell’epoca, fino a mostrarci le sue lezioni come giovane professore a Berkeley e alla CalTech.
Ebreo newyorkese, militante appassionato della causa dei repubblicani spagnoli, sostenitore dei diritti sindacali e del partito comunista americano, pur non avendo mai preso la tessera, Oppenheimer è un formidabile affabulatore, capace di far comprendere la portata rivoluzionaria della fisica quantistica e degli studi sull’energia atomica non solo ai suoi studenti, ma a quel complesso politico-militare che gli lascia guidare il Progetto Manatthan nei tre anni decisivi durante la Seconda Guerra Mondiale, pur senza mai fidarsi veramente di lui.
A partire dal 1942 nella base militare di ricerca di Los Alamos e in parallelo nei sotterranei di un campo da football a Chicago, Oppenheimer, Fermi e i più brillanti fisici americani ed europei lavorano sull’energia atomica, finendo per costruire l’arma definitiva, quella che avrebbe dovuto fungere da monito e da deterrente nella guerra contro i nazisti, in una corsa contro il tempo per superare l’industria militare dell’Asse.
Hitler esce di scena prima, ma gli ordigni atomici dopo un test nel deserto del New Mexico sono usati da Truman per costringere alla resa l’Impero giapponese: con cinica premeditazione il 6 e il 9 agosto 1945 le bombe devastano Hiroshima e Nagasaki.
Se nella prima parte il film corre ad un ritmo forsennato sulle ali dell’ebrezza per le nuove scoperte quotidiane, tra inciampi, ritardi, burocrazia, scontri di idee, ma sempre nel nome di una giusta causa condivisa da tutti, quando l’obiettivo militare del Governo americano diventa più chiaro, dubbi e dissensi incrinano l’unità nel gruppo degli scienziati: il famigerato Trinity Test del luglio 1945 e quindi l’utilizzo sulla popolazione della potenza atomica, fa letteralmente tremare la terra sotto i piedi di Oppenheimer.
Comincia così un altro film, proprio nella notte in cui alla base di Los Alamos si festeggia la fine della guerra: ricevuto dal presidente Truman, Oppenheimer gli confessa di sentirsi le mani sporche di sangue. Il presidente gli offre un fazzoletto spazientito: «La gente non si ricorderà di chi ha costruito la bomba, ma di chi ha deciso di sganciarla. E quell’uomo sono io». Le copertine di Time e di Life consacrano la sua fama e la sua popolarità, che utilizza negli anni del dopoguerra per contrastare lo sviluppo delle armi all’idrogeno, per limitare l’arsenale atomico e per farne uno strumento esclusivamente tattico di deterrenza.
Tutto questo il film ce lo racconta trasversalmente, attraverso le immagini delle udienze, quelle a porte chiuse di Oppenheimer del 1954 e quelle pubbliche in Senato nel 1959, in cui le posizioni del fisico e la riluttanza a seguire il suo Paese nella paranoia anticomunista e nel dotarsi di un arsenale nucleare sempre più vasto, gli attirano subdole le accuse di antiamericanismo.
Nella sua ultima ora, il film di Nolan diventa così un doppio serrato duello processuale che vede Oppenheimer e Strauss al centro della scena, il primo costretto a difendersi dalle accuse di comunismo e di intelligenza con il nemico sovietico, il secondo a rendere conto della sua macchinazione per sminuire e marginalizzare il ruolo del fisico che aveva guidato il Progetto Manatthan.
La riabilitazione di Oppenheimer passa indirettamente attraverso la sconfitta bruciante di Strauss, che interpreta una sorta di ombroso e machiavellico Salieri a confronto con un Mozart della fisica, come accadeva nell’Amadeus di Milos Forman.
Nolan sembra mutuare la stessa struttura della pièce di Shaffer per rendere espliciti i conflitti che agitano il protagonista nella sua vita pubblica e nel suo privato: non c’è in gioco infatti solo il monito di Einstein sulla pericolosità delle applicazioni concrete delle sue scoperte teoriche e quindi la sua responsabilità di scienziato di fronte all’arma distruzione di massa più devastante realizzata dall’uomo, ma anche la coscienza e la libertà di un cittadino americano di fronte alla paranoia anticomunista della Guerra Fredda, capace di travolgere la vita della sua amante, di suo fratello e alla fine di schizzare di fango la sua stessa credibilità e la sua autorevolezza.
Nolan evidentemente non voleva che il suo film ruotasse interamente attorno all’interrogativo morale sui confini della scienza e della ricerca, mostrando un prometeo incatenato alla sua roccia dal senso di colpa e dall’orrore provocato dalla sua scoperta. Probabilmente non voleva neppure un film imbevuto di un pacifismo radicale e antiatomico.
Ha invece fatto di Oppenheimer un uomo complesso, contraddittorio, un ebreo idealista, convinto a travalicare quei confini nella consapevolezza di combattere un nemico dell’umanità disposto a tutto.
Quando invece gli americani usano il suo lavoro per finalità diverse, contro altri nemici e in un contesto completamente diverso da quello della Seconda Guerra Mondiale, i dubbi di Oppenheimer la sua ritrosia ad abbracciare la corsa all’escalation militare in tempo di pace, diventano un ostacolo da rimuovere.
Nolan ne fa un protagonista della Storia, al centro di un conflitto che non interroga solo il mistero della Natura ma quello degli uomini.
E ne mostra la sconfitta, proprio nel momento del suo più grande successo.
Cillian Murphy dona al fisico protagonista il suo sguardo profetico, la sua fragilità, come la sua determinazione generosa, in un ruolo che definisce una carriera.
Robert Downey Jr, dopo aver passato gli ultimi quindici anni a costruire le fortune della Marvel, ci mostra tutto il suo talento mefistofelico, incarnando il mellifluo Strauss, sempre con mezzi toni, in un tentativo di nascondere sotto l’undestatement, un odio profondo e viscerale.
Attorno a loro si muove una schiera pressochè infinita di altri attori, spesso in ruoli piccoli e piccolissimi, ma mai marginali, dal Truman di Gary Oldman, al formidabile e ironico Gen. Graves di Matt Damon, dall’avvocato d’accusa Jason Clarke al collaboratore di Strauss Alden Ehrenreich, dalle donne di Oppenheimer, la moglie Emily Blunt che solo alla fine ha il suo spazio, e l’amante Florence Pugh, fino ai colleghi Josh Hartnett e Benny Safide, al Bohr di Kenneth Branagh e all’Einstein di Tom Conti.
Immerso nella musica percussiva di Ludwig Göransson che lo accompagna ossessivamente per quasi tutte le sue tre ore, il film lascia paradossalmente al silenzio il ruolo più significativo, come accade nel Trinity Test.
La fotografia in IMAX e in pellicola 65mm è di Hoyte van Hoytema, che impone le sue consuete dominanti terrose e bluastre alla parte a colori, quella che ricostruisce il punto di vista del fisico, mentre utilizza il bianco e nero per quella riferibile a Strauss.
Di fronte ai film di Christopher Nolan si resta ammirati per l’ambizione, lo scopo, il talento, il tono magniloquente, più che emotivamente coinvolti.
Questa volta è anche la struttura scelta a porre una distanza con gli eventi raccontati: l’idea di inserire la storia in due diverse cornici processuali, la scelta di introdurre un vero antagonista i cui motivi restano meschini e insondabili fino all’ultimo, la frammentazione del racconto e la ritrosia a mostrare le immagini più scioccanti della distruzione atomica sono tutti elementi che problematizzano la storia di Oppenheimer, senza schiacciarlo nel ruolo del martire o del profeta.
E’ probabile che chi ha sempre accusato Nolan di fare un cinema senza immaginazione, formalmente complesso e stratificato, ma sostanzialmente ancorato a logiche e linguaggi di genere, non cambierà idea di fronte a Oppenheimer, che pure ruba al Malick di Tree of Life le sue suggestioni visive più ardite e almeno nella prima parte sembra voler procedere a passo di carica distruggendo la retorica del biopic tradizionale e cercando nel movimento continuo un modo per nascondere qualche incertezza di stile.
Il film resta uno spettacolo intimamente cinematografico, che il regista vuole sia visto sul più grande schermo possibile: queste sono le regole d’ingaggio che Nolan ha scelto, uno dei pochi a non essersi piegato alle lusinghe dello streaming e che continua a lavorare per la sala in modo genuino.
Dal 23 agosto nei cinema italiani.

