Transformers – Il risveglio *1/2
Il franchise ispirato ai robot della Hasbro è ormai uno dei più longevi del cinema americano avendo esordito nel lontano 2007 con il film scritto dalla coppia Kurtzman e Orci per Michael Bay, vero deus ex machina della serie per i primi cinque episodi.
Con Bumblebee la Paramount aveva infine azzerato la serie storica nel 2018, affidando a Christina Hodson (Birds of Prey, The Flash) un reboot in chiave nostalgica, con una storia ambientata negli anni ’80 che da Stranger Things in poi sembrano diventati una comoda coperta di linus per ogni sceneggiatore pigro.
Questo settimo capitolo, intitolato in italiano Il risveglio, è una sorta di continuazione indiretta di Bumblebee, con una storia ideata da Joby Harold (King Arthur, Army of the Dead, The Flash) e affidata a Steven Caple Jr, che già aveva messo le mani su Creed II, senza lasciare traccia di sè.
La nuova avventura è ambientata in una indefinita Brooklyn degli anni ’90, che al netto di qualche vecchia auto e dell’assenza dei telefoni cellulari, è un campo di gioco indistinto e anonimo.
Qui vivono i due unici personaggi umani del film, il nerd informatico ed ex militare Noah, che ha un fratello più piccolo malato e un sacco di debiti ospedalieri da pagare, ed Elena, una stagista al Museo di storia naturale.
Nel prologo avevamo invece fatto conoscenza con il potentissimo ed enorme Unicron, un mostro divora pianeti, che grazie al suo braccio destro Scourge è alla ricerca della chiave di trascurvatura posseduta dai Maximals sul loro pianeta.
Trafugata la chiave, Optimus Primal e i Maximals superstiti si sono diretti sulla Terra, nascondendosi dall’ira di Scourge. Qui la chiave, spezzata in due, è stata conservata per secoli.
Una prima metà arriva all’interno della statua di un falco al museo dove lavora Elena, che inavvertitamente ne libera la forza, attirando Optimus Prime e gli Autobots, che vogliono usarla per tornare sul loro pianeta Cybertron, Scourge e i suoi Terrorcons, che vogliono consegnarla a Unicron e Airazor, una dei Maximals, che l’ha custodita.
Noah finisce in mezzo alla battaglia, dopo aver tentato di rubare l’autobot Mirage, che aveva assunto le sembianze di una Porsche grigia.
Buoni e cattivi, umani e alieni si dirigono poi in Perù alla ricerca della seconda metà della chiave di trascurvatura.
I quattro sceneggiatori che hanno tradotto l’idea di Harold sono riusciti a partorire uno dei copioni più stupidi della storia del cinema, incapace di suscitare mezza risata, retorico fino alla nausea, con il culmine nelle affermazioni sentenziose di Optimus Prime che Alessandro Rossi recita con una gravitas da filodrammatica parrocchiale.
Tronfio quasi fino a scoppiare, reazionario e belligerante, animato dall’idea – incredibilmente geniale, vero! – che l’unione dei diversi conduce alla vittoria, quando ciascuno mette da parte il proprio obiettivo particolare ed egoistico, Transformers – Il risveglio così come già Bumblebee, tradisce completamente lo spirito futurista con cui Bay aveva plasmato una serie infinita di inutili sequel in una sfida sempre più grande al senso e ai limiti dello spettacolo cinematografico, sperimentando il 3D, lo slow motion, mettendo in scena uno spettacolo cubista di distruzione e ricostruzione della materia.
Qui l’unica buona idea è quella dei Maximals, che hanno forme animalesche: l’aquila, il gorilla, il rinoceronte, il ghepardo, che sembrano fondere il mondo di Kong con quello dei robottoni, in un ennesimo cross-over spurio.
I due umani, Dominique Fishback (Show me a Hero, The Deuce) e Anthony Ramos (Hamilton, In the Heights), non hanno nessuna affinità e recitano continuamente su green screen in mezzo al nulla poi ricostruito a computer. Nel film sono pure funzioni e meglio avrebbero fatto gli sceneggiatori ad eliminarli del tutto: avrebbero avuto più coraggio e coerenza. Invece ne hanno fatto due stereotipi insulsi: il soldato dimenticato tutto cuore e famiglia e la stagista sottovalutata, che dimostra acume e spirito d’iniziativa.
L’eccitazione finisce tuttavia nel prologo. Resta la noia di un film che non ha nulla da dire, si muove su coordinate ormai risapute e non fa neppure lo sforzo di immaginare una strada alternativa.
Lavori come questo sembrano davvero creati, diretti e montati da una qualche stupidità intelligenza artificiale.
Lo spettacolo è mediocre, senza interesse.
