Spider-Man: Across the Spider-Verse

Spider-Man: Across the Spider-Verse **1/2

Se Un nuovo universo aveva segnato nel 2018 una svolta radicale nel mondo dell’animazione e anche nel modo con cui i comics della Marvel venivano trasposti sullo schermo, il sequel diretto da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson sempre a partire da un soggetto del duo Lord & Miller, sembra semplicemente crogiolarsi nelle novità introdotte con il primo episodio, dimenticandosi che un film è pur sempre un racconto per immagini e che la meraviglia, la sperimentazione visiva, il gioco ormai piuttosto stantio dei multiversi, non bastano da soli a giustificare i 140 infiniti minuti di questo Across the Spider-Verse, che è a tutti gli effetti la prima parte di un’unica storia che si concluderà con il prossimo Beyond the Spider-Verse.

Il nodo drammatico al centro di questo nuovo film è piuttosto semplice e richiama direttamente il primo capitolo: il ragno radioattivo che ha morso Miles su Terra-1610 veniva da Terra-42 ed era destinato a qualcun altro. Questo errore ha provocato un’instabilità pericolosa nel multiverso.

Il prologo sostanzialmente autoconclusivo contiene le migliori istanze narrative e le idee più originali del film: Gwen Stacy – Spider-Woman su Terra 65 combatte il crimine, tenendo nascosta la sua identità al padre, capitano di polizia, che è sulle tracce dell’eroina mascherata, perchè crede che abbia ucciso Peter Parker, che in questo universo si era trasformato in Lizard ed era stato sconfitto da Gwen.

Quando dal Guggenheim arriva un allarme per un misterioso avvoltoio con sembianze umane, padre e figlia si dirigono al museo per contrastare la minaccia. Vulture è una creatura di carta che sembra arrivare dal Rinascimento leonardesco: in soccorso di Spider-Woman giungono quindi Miguel O’Hara e Jessica Drew, altri Spider-Man che fanno parte della Spider-Society, che cerca di evitare le aberrazioni e le rotture del canone nel multiverso.

Dopo aver sconfitto Vulture e svelato al padre la sua vera identità Gwen si unisce agli altri due eroi, abbandonando il suo universo.

Nel frattempo su Terra-1610 Miles Morales è cresciuto, è all’ultimo anno prima del college. I suoi genitori sono all’oscuro di tutto e il suo comportamento erratico lo fa sembrare un adolescente problematico: in realtà la mancanza di Gwen è fortissima, così come quella dello zio Aaron.

Quasi casualmente, Miles incontra in un piccolo market un scienziato della Alchemax che si è trasformato in Spot, un villain capace di aprire buchi nello spazio e nel tempo. Apparentemente innocuo, sarà invece una fonte di grade preoccupazione per la Spider-Society, che manda Gwen sul campo.

Lei e Miles si ritrovano per la prima volta e quando Gwen si sposta a Mumbattan su Terra-50101, Miles la segue di nascosto. Qui incontrano Pavitr Prabhakar / Spider-Man India e Hobie Brown / Spider-Punk, ma Spot riesce ad assorbire tutto il potere del collisore della locale Alchemax, fuggendo di nuovo.

Nello scontro successivo, Miles evita la morte di un capitano di polizia, creando un errore nel canone dell’universo che sta per crollare e che richiede l’intervento della Spider-Society.

Quando Miles comprende che anche la morte di suo padre per mano di Spot è un evento canonico che non si può impedire, torna indietro e cerca di evitarlo. Solo che la macchina del tempo lo rimanda su Terra-42, da dove proviene il ragno che l’aveva morso, e non su Terra-1610.

Su Terra-42 ovviamente non c’è nessuno Spider-Man, suo zio Aaron è ancora vivo e Prowler è…

Il gioco rutilante degli universi paralleli, delle diverse versioni della stessa storia con le sue inevitabili varianti e le sue immutabili costanti, serve a coprire una semplicissima storia di formazione. Gwen e Miles sono due adolescenti con troppi poteri e troppe responsabilità, senza nessuno con cui condividerle. Il contesto familiare non pare ostile, tuttavia il conflitto è inevitabile. Così come l’allontanamento, tappa essenziale per ogni diciottenne americano.

I tre registi usano toni delicati e una certa grazia nel mostrare il contesto familiare eppure siamo di fronte a scene e confronti visti mille volte nei film americani. L’unico brivido lo si prova davvero quando Gwen e Miles si incontrano e decidono di osservare lo skyline di Brooklyn a testa in giù. Questo è forse l’unico momento nel film in cui la velocità furiosa e concitata, la superfetazione di immagini, sfondi, musica e rumori sembra dar tregua ai nostri eroi, lasciandoli per un attimo soli, senza nessuno da inseguire, senza nessuno a cui rendere conto, davanti alla bellezza del mondo.

Peccato che duri troppo poco e che poi il film ritorni a correre spostandosi di universo in universo, con un passaggio anche nei lego, quasi volesse assecondare il modo compulsivo con cui gli adolescenti di oggi consumano ogni cosa.

Il lavoro sulle strutture grafiche dei fumetti e sul loro ritmo interno, con i retini, le sfocature nelle colorazioni, i dots è assai meno raffinato del primo film e comunque non stupisce più, perchè dopo la formidabile introduzione di Vulture nel prologo, Across the Spider-Verse si limita a confermare il pastiche visivo di Un nuovo universo, ma non si fonde più con le esigenze narrative di questo secondo capitolo.

Le suggestioni visive sono alla fine stremanti, continue, le sollecitazioni della colonna sonora di Pemberton non consentono mai lo spazio di un discorso vero, se non quelli coi genitori, che tuttavia sono anch’essi parte di un canone narrativo ormai risaputo.

Basterebbe notare come è stato scritto il personaggio-mentore di Miles in questo film, ovvero Hobie Brown, uno Spider-Punk con la superficialità di una macchietta, buono per l’alleggerimento comico e contenitore di stravaganze fuori tempo massimo.

Quando poi anche il pubblico più distratto comprende che l’avventura finisce con un cliffhanger neanche particolarmente emozionante e che l’unica chiusura è un canonico, ma piuttosto deludente, …to be continued, il film mi pare perda anche il residuo interesse di chi non si è annoiato a morte nell’assistere a quello che è in fondo un lunghissimo contenitore di personaggi e storie possibili, un catalogo di Spider-Man futuri da cui pescare a piene mani, con il fastidioso intercalare delle cover dei fumetti in cui appaiono, quasi a strizzare l’occhio ai nerd che già sanno tutto.

Confidiamo che la terza parte dia un senso compiuto a quello che ora appare come un passaggio poco ispirato che ricicla le grandi idee del primo capitolo, senza aggiungerne mezza nuova, finendo piuttosto per consumare l’originalità di quelle vecchie.

Quando purtroppo i peggiori vezzi della serialità contaminano il cinema, come in questo caso, bisogna semplicemente riconoscerli e chiamarli con il loro nome: Spider-Man: Across the Spider-Verse è semplicemente un filler.

 

 

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