“I love You, but You’re not serious people”
C’era una volta Logan Roy, magnate della comunicazione tirannico e capriccioso, capace di costruire un enorme impero mediatico nel corso di una carriera leggendaria.
La sua Waystar riunisce l’informazione della ATN, canale all-news ultra conservatore, ai parchi giochi a tema, una casa di produzione cinematografica a nuove acquisizioni web.
Ma il vecchio leone, capace di influenzare con il suo peso la politica e la società americana, sente avvicinarsi la fine: problemi di salute, ricadute, sfide nuove e una importante offerta di acquisizione aprono scenari nuovi.
La sua successione è stata sin dall’inizio della serie, scritta da Jesse Armstrong, un affare di famiglia. Escluso il primogenito Connor, un tipo strambo e del tutto inaffidabile, i tre figli Shiv, Roman e Kendall si sono dati battaglia, spesso tra di loro e sovente anche contro il genitore, per prendere il suo posto a capo di un’azienda che è rimasta, nonostante la mole, sempre a carattere padronale.
Il marito di Shiv, Tom, è a capo della ATN, il cugino Greg è il suo braccio destro operativo, la consigliera Gerri è la sua madrina, Karl e Frank il COO e CFO della società sono praticamente di casa.
Nelle prime tre stagioni abbiamo assistito a tradimenti, rotture che parevano insanabili, acquisizioni e vendite, ma soprattutto al tentativo continuamente frustrato dei tre figli di Logan di accreditarsi come l’erede designato alla guida della Waystar. Le strategie dei tre sono state spesso diverse e contraddittorie: a volte cercando l’approvazione e la sottomissione paterna, altre volte scontrandosi duramente con la sua autorità, fino a mettere in crisi il sistema di potere della Waystar.
La quarta stagione risolve bruscamente e in modo molto anticipato la profonda crisi sancita alla fine della terza stagione, con i tre figli allontanati dalla società al termine della festa italiana per il nuovo matrimonio della madre.
Nella terza puntata di questa quarta stagione Logan Roy muore. Fuori scena, su un aereo che lo sta portando ad incontrare Mattson, lo svedese che con la sua GoJo è intenzionato ad acquistare la Waystar.
La successione si apre per davvero e le tensioni che sembravano appianate almeno fra i tre fratelli tornano a galla prepotentemente: Kendall e Roman, nominati ad interim CEO e CFO della società, vogliono opporsi all’acquisto e gestire e rilanciare la Waystar anche sulla scorta del progetto residenziale che il padre stava supervisionando negli ultimi giorni di vita.
La sorella Shiv invece ha scelto di sostenere Mattson, con l’obiettivo di essere nominata, dopo l’acquisto, CEO americana della società.
Sullo sfondo assistiamo ad una contrastatissima battaglia presidenziale con assalto ai seggi di Milwaukee e la scelta di Roman e Tom di assegnare comunque la vittoria provvisoria sulla ATN al candidato conservatore, che sembra voler bloccare la cessione della società agli svedesi in nome dell’interesse nazionale.
Ma sarà davvero così? Le ultime puntate della serie raccontano tre giorni di fuoco: la notte elettorale, il funerale di Logan, il voto del consiglio della Waystar sull’offerta di Gojo.
Le alleanze cambiano, così come le aspettative dei protagonisti. Quando i tre finalmente sono sul punto di trovare una soluzione, un nuovo ribaltamento li lascia in fondo tutti sconfitti.
“We’re nothing. We’re bullshit” dice infine Roman a Kendall e sono le ultime parole che sentiremo dai fratelli Roy.
Ispirato alla figura di Rupert Murdoch e all’epopea della Fox, Succession è stata per quattro stagioni la serie di punta della HBO, mescolando la grande tragedia shakeaspeariana di un Re Lear incapace di abdicare all’informazione da tabloid, l’epopea di una famiglia disfunzionale al racconto di un’America divisa e manipolata.
Il raffinatissimo gioco di Armstrong è stato quello di far emergere un po’ alla volta le fragilità personali e psicologiche dei tre fratelli, le loro insicurezze, il loro desiderio inappagato di approvazione paterna sempre contrapposto all’istinto primario di mostrarsi all’altezza della ferocia paterna rivoltando contro di lui le sue stesse strategie.
Più i Roy si avvicinavano a Logan più ne venivano respinti, più cercavano di avvicinarsi e più sentivano la loro inadeguatezza. La loro ambizione smisurata si è sempre scontrata con un edipo irrisolto.
Succession ha scavato con grande maestria in queste ansie continuamente insoddisfatte, riuscendo nel contempo a stratificare il racconto attraverso linee narrative diverse e comprimari capaci di prendersi la scena in modo formidabile come i Disgusting Brothers, ovvero la coppia formata da Tom e Gregg, legati da una relazione in cui le più tossiche dinamiche di potere e di sottomissione sono state sfruttate in modo tragicomico.
Lo stesso Mattson, miliardario nordico e progressista, ha i suoi scheletri nell’armadio, dal rapporto da stalker con la sua manager Ebba ai numeri truccati delle sue sottoscrizioni.
E’ un mondo brutale quello di Succession, un mondo plasmato da Logan Roy che finisce per inghiottirlo, lasciando dietro di lui solo macerie umane e amarezza. Un mondo in cui non c’è più spazio per compromessi e ragionevolezza, in cui l’ego di ciascuno è più grande di ogni altro sentimento. Il risultato è in fondo tragico: l’impero è perduto, la successione impossibile, il servilismo premiato.
Non ce la sentiamo di piangere una sola lacrima per nessuno dei personaggi di Succession, tutti ugualmente detestabili e come scrivevamo a proposito della prima stagione “senza dignità nè valori, capaci di cambiare idea al primo stormir di fronde, attaccati prim’ancora che al denaro, che non gli è mai mancato, al potere, che lo ha sempre accompagnato”.
Eppure si rimane affascianti dalla mediocrità di questi personaggi, così come dai loro fallimenti. Come già intuivamo nel corso della prima stagione, lo stallo dei Roy, incapaci di scegliere o di nominare un successore, avrebbe facilitato l’ascesa di altri soggetti, meno vincolati ai rapporti familiari, ma capaci della stessa rapacità di Logan, della sua stessa assenza di scrupoli.
La bravura di Armstrong e dei suoi collaboratori, da McKay e Ferrell che l’hanno prodotta a Mark Mylod che ne ha diretto 16 episodi, è stata quella di fermarsi dopo quattro stagioni, dando un senso di urgenza e di chiusura alla loro storia, senza trascinare all’infinito e in modo stucchevole quello che doveva invece rimanere serrato ed essenziale. La scelta di far scomparire Roy proprio all’inizio dell’ultima stagione e in un modo così anticlimatico è stata poi la ciliegina di una torta che abbiamo assaporato con gusto crescente nel corso di questi ultimi quattro anni.
Titolo originale: Succession 4
Durata media episodio: 55 minuti
Numero degli episodi: 10
Distribuzione originale: HBO
Distribuzione italiana: Sky Atlantic
Genere: Dramedy
Consigliato: a coloro che amano le famiglie disfunzionali.
Sconsigliato: a coloro che credono alla favola del capitalismo etico.
Visioni parallele: Billions, la serie tv, che racconta lo scontro tra un procuratore federale di N.Y. e un finanziere miliardario che guida un società che non arretra di fronte a nulla pur di accumulare ricchezza e potere.

