Bright Star ***
Dove era finita Jane Campion? Dopo il sontuoso trittico Un angelo alla mia tavola, Lezioni di piano, Ritratto di signora, la regista neozelandese sembrava aver perso il senso del suo cinema.
Sia Holy Smoke, sia In the cut erano stati fallimenti autoriali e commerciali, nonostante le prove coraggiose di Kate Winslett e Meg Ryan.
Questo nuovo Bright Star, presentato in anteprima a Cannes 2009, ed accolto con rinnovato entusiasmo, è un altro strepitoso ritratto di signora, che esalta, commuove, rapisce, per la bellezza delle immagini, per la bravura degli interpreti e per la misura nel racconto.
La Campion è capace di trasmettere sensualità ed erotismo in ogni scena, senza bisogno di mostrare quasi nulla: la sua macchina da presa si muove tra le stoffe, i volti, le porte, gli specchi, la bellezza della natura, fondendo sogni e illusioni, realtà e incanto.
In Bright star, la regista australiana rievoca gli ultimi anni di vita del poeta John Keats, tra crisi creative, scarso successo commerciale, l’amore impossibile per Fanny Browne e la malattia che lo obbligherà ad un inutile viaggio finale in Italia.
I due protagonisti vivono un sentimento impossibile, osteggiato dagli uomini e dai pregiudizi.
Keats è ritratto come l’immaginario poetico ce l’ha tramandato: giovane, preso dai suoi versi, incapace di compromessi sulla sua arte e fragilissimo.
La sorpresa è invece Fanny, che la Campion ha scelto evidentemente per il suo carattere indomito, irrequieto, eppure modernissimo.
Appassionata di tessuti e ricami, il film la ritrae in un meraviglioso gioco di costumi, che esaltano la bellezza ed il volto di Abbie Cornish, ancora più incantevole della Kidman che fu.
La Campion sfida il romanticismo più puro, non ha timore di sporcarsi le mani col melò e dipinge immagini di bellezza senza pari.
Coadiuvata da un cast in stato di grazia, su cui spiccano le interpretazioni Ben Whishaw e Abbie Cornish, nelle parti principali, la Campion trova la misura e lo slancio poetico, per raccontare ancora una volta una passione, destinata a scontrarsi con i condizionamenti sociali: siamo ancora dalle parti di Henry James, naturalmente.
La Cornish è una rivelazione, misuratissima, sensuale, avvolta in costumi di bellezza non convenzionale, offre un’interpretazione di grande forza ed impatto emotivo.
Le luci di Greig Fraser illuminano in chiaroscuro le stagioni della campagna inglese con grazia pittorica, senza spingere il film nelle secche di un vuoto formalismo: ogni inquadratura assomiglia ad un tableau vivant, quasi ci trovassimo in un film di Greenaway.
Da non perdere.




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